Che la crisi della magistratura sia ormai cronica è addirittura pleonastico dirlo. Da vent’anni si susseguono ministri, governi, riforme più o meno parziali, polemiche a non finire, ma i risultati non cambiano: processi che durano decenni , che finiscono nel nulla o che addirittura non iniziano mai sono all’ordine del giorno.
Eppure qualche proposta di riforma era già stata lanciata vent’anni fa con il nostro libro “Terzo strapotere” scritto da Fabio Florindi con prefazione di Antonio Martino ed edito da LibertatesLibri (libro attualmente ancora reperibile sul sito Libertates.com).
Tutto quello che si proponeva in questo libro è tuttora valido e disatteso:
- semplificazione e informatizzazione delle procedure: per ottenere atti giudiziari occorrono ancora accessi alle cancellerie e gran uso di moduli cartacei quando ormai ogni (anche) piccolo artigiano usa normalmente i sistemi informatici
- responsabilità civile dei giudici per dolo e colpa grave. Mentre per altre categorie di professionisti (ad esempio medici e commercialisti) questa possibilità è in essere da tempo per i magistrati esiste, ma è quasi esclusivamente teorica. Nel 2020 sono stati condannati a risarcire solo 8 magistrati!
- Carriere basate sul merito. È questo un punto cruciale: la carriera basata su criteri di anzianità risale alla burocrazia ottocentesca in cui veniva premiata la fedeltà e non è applicata da decenni in nessuna attività imprenditoriale. I giudici dovrebbero avere avanzamenti di carriera in base al merito: valutando non tanto quante più cause gestiscono (sarebbe un incentivo a tirar via) quanto più cause vengono ribaltate in appello (segno questo che sono procedimenti male impostati o addirittura pretestuosi)
- Separazione delle carriere. Pubblico ministero e giudice hanno funzioni e scopi diversi: l’uno rappresenta l’interesse dello Stato e quindi di tutti i cittadini e si confronta con il difensore che tutela i diritti dell’accusato, mentre il giudice deve essere arbitro imparziale tra le parti. Le stesse argomentazioni a contrario sono deboli: si dice che si finirebbe per far soggiacere i pubblici ministeri all’autorità politica, ma questo non avverrebbe affatto se questi magistrati dovessero rispondere esclusivamente a un loro organo di controllo e che lo scambio delle funzioni migliori l’esperienza dei giudici, ma allora, per paradosso, perché non scambiare anche le funzioni di difensore e pubblico ministero?
In verità una riforma seria della magistratura non andrebbe vista come un attacco ai magistrati o una loro delegittimazione, ma come una difesa di tutti quei magistrati che (e sono la grande maggioranza) si impegnano quotidianamente per far funzionare una macchina, quella della magistratura, sempre più inefficiente, arrugginita e invecchiata
di Angelo Gazzaniga