Ma il Magris grande giornalista e confezionatore di indagini è anche un grande narratore?
Al giorno d’oggi il titolo più ambito per quanti frequentano il territorio della letteratura, magari al livello più vasto e facilmente accessibile della critica, è di conseguire il riconoscimento di essere pure un narratore coi fiocchi, costi quel che costi, anche facendo forza alla propria natura, che magari appare ben attrezzata a sostenere appunto i cimenti storico-critici dell’ambito letterario, ma assai meno dotata di scorrevolezza narrativa. Un destino del genere grava su Claudio Magris, che certo come abile confezionatore di indagini sul mondo letterario mitteleuropeo-germanico ci sa fare, ha acquisito ampi meriti. Si aggiunga anche una vena facile a stendere articoli confortevoli su temi etici, in questa veste egli è l’invitato e inviato numero uno dell’organo nazionale più prestigioso, il “Corriere della sera”, un quotidiano che a sua volta si mostra pienamente abile nel lanciare qualche suo autore, investendolo del compito di stendere i fervorini d’occasione, davanti a crimini, disgrazie, catastrofi dell’umanità. Si pensi come appunto il “Corriere” ha saputo mettere in orbita a suo tempo il Pasolini degli scritti “corsari”, con operazione così massiccia che ancora pesa sulla nostra testa e ci affligge. Ora è il turno di Magris a essere intronizzato, e dunque quanto promana da lui deve essere celebrato, imposto quasi d’ufficio ai lettori. Per carità, su questi fronti gli posso riconoscere anch’io un valido curriculum, tra gli opinionisti reclutati dall’organo nazionale il suo sinistrismo benevolo e confortante risuona sempre preferibile al confronto con i predicatori destrorsi sul tipo dei Giavazzi e Panebianco e Galli della Loggia. Ma da questi meriti alla pretesa di aggiungere pure il serto di grande narratore il passo è lungo, e Magris invano, a mio avviso, tenta di compierlo, anche perché, proprio costretto dalla preminenza acquisita sul fronte saggistico e di commentatore moraleggiante, deve fare grande, non può certo limitarsi a quale opera smunta e di corte dimensioni, da lui devono sgorgare quelle che Franco Moretti chiamerebbe opere-mondo, o quanto meno questo è quanto la sua solida posizione di critico-mentore lo costringe ad effettuare. Ecco dunque il monumentale “Non luogo a procedere”, che il quotidiano nazionale, con una lunga scia di echeggiamenti conformi, ha tentato di imporre all’attenzione dei lettori. Disgraziati quelli che obbediscono a una simile incalzante pressione e coazione all’acquisto, sarebbe interessante andare a raccogliere le loro sincere reazioni a lettura avvenuta.
Infatti Magris “ce la mette tutta”, deve fare grande, e a dire il vero il motivo ispiratore di partenza sarebbe anche funzionale, il romanzo si riferisce a un personaggio, pare vissuto davvero, che fu mosso dall’intenzione di raccogliere in un museo colossale i reperti di tutte le guerre del mondo. Ottimo spunto per andare a infilzare nel maxi-racconto tante vicende. Accanto a questo spunto, che già consente di allargare l’orizzonte dei materiali accessibili, se ne aggiunge un altro, più modesto e prosaico, di tale Luisa, incaricata di fare da segretaria di questa enorme raccolta, con l’opportunità di immettere una nuova pedina e di dotarla della discendenza da un padre portoricano con relativo sangue misto. E dunque si apre la possibilità di balzar fuori dalla Trieste tanto cara al nostro Autore, procedendo verso lidi lontani ed esotici. In sostanza, Magris muove alla ricerca spasmodica di ogni occasione di dolore e strazio che abbia afflitto l’umanità, e dunque con gaudio si appropria della questione dei negri con relativa oppressione e schiavitù, ma soprattutto un ruolo privilegiato e dominante spetta alla questione ebrea. Il romanzo consiste in una visita alle varie stanze di questo folto museo immaginario e alle armi che vi sono accumulate, ognuna delle quali ci racconta la sua storia, e dunque viene da qui la legittimazione a diffondersi su tante plaghe e piaghe dell’umanità. Potremmo dire che più le armi raccontano vicende lontane dai nostri giorni, e più appare pretestuoso il collegamento cui ci invitano. In prospettiva compare perfino Massimiliano d’Asburgo con le sue pene e il suo martirio. Si delinea così come un immenso album di figurine, alcune ormai sfiorite e lontane, altre invece più vicine e incalzanti. Il guaio è che la scrittura del Nostro è sempre puntigliosa, farraginosa, il lettore fa una grande fatica a penetrare nelle varie caselle di questo enorme gioco dell’oca, magari rassicurato dall’apprendere che poi un incendio ha distrutto l’intera serie di fantasmi ossessivi qui radunati. Molti dei quali provengono dall’ansia appropriativa, bulimica dell’Autore, ovvero al progetto di stendere l’opera-mondo che riesca a contenere tutti i nostri patimenti, Mentre un qualche grado di vivacità si può percepire man mano che ci avviciniamo all’attualità. Per esempio, è funzionale che una visita alle sale 42 e 43 del museo, dove è depositata una sirena che suonava l’allarme quando Trieste, negli anni ’40, era bombardata dagli aerei degli Alleati, sia associata alle scariche elettriche con cui veniva torturato un prete che stava con i partigiani, racchiuso nella famigerata Villa Trieste dove i repubblichini, in combutta con le SS tedesche, compivano i loro orridi misfatti. Il tutto potrebbe anche essere visto come una torta gremita di cibi, molti dei quali risultano indigesti, mentre la lettura diviene più proficua quando, quasi con zoomate progressive, ci si avvicina a quello che è il vero obiettivo caro al narratore, dirci degli eccidi che si compivano ai danni di ebrei e partigiani nella infausta Risiera di San Sabba. Sono abbastanza forti ed efficaci le ricognizioni che un occhio delegato dal narrante compie sui muri di quel luogo di orrore infinito, a decifrare le proteste, i disperati gridi di dolore graffiti dalle vittime annunciate. Forse, se Magris avesse rinunciato a una vasta porzione delle sue ambizioni eccessive, concentrandosi invece su questo nucleo di sua puntuale conoscenza, l’esito narrativo sarebbe stato più convincente. O forse no, quando non c’è la natura rispondente alla funzione, nulla da fare, il super-colto Magris vada a leggersi le pagine che Malaparte dedica ai flagelli di quei tempi, affidate a “Kaputt” e alla “Pelle”, e impari la lezione.
Claudio Magris, Non luogo a procedere, Garzanti, pp. 362, euro 20.
Renato Barilli
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