“Maledetta concorrenza” potrebbe essere il leitmotiv di tutta una politica italiana, di qualsiasi colore politico o situazione.
Di esempi ne potremmo portare a iosa: dalla tenace, incrollabile difesa dei privilegi dei balneari che, nonostante le leggi sulla concorrenza della UE siano datate 2005 (la famosa Bolkestein), continuano a pagare concessioni di poche decine di migliaia di euro a fronte di incassi milionari; alle imprese di trasporti locali che continuano a sfuggire all’obbligo di essere messe in concorrenza nonostante forniscano un servizio di pessima qualità a fronte di perdite continue per gli enti che le posseggono.
Ma con gli ultimi decreti legge si sono aggiunte due altre perle:
le norme per snellire gli appalti e quelle per l’”equo compenso” per i professionisti.
- le norme per snellire gli appalti, norme per altro necessarie perché in Italia spesso sono più lunghe le procedure burocratiche che i lavori stessi, hanno stabilito che per lavori al di sotto dei 250.000 euro i comuni possono affidarli a trattativa privata e per quelli sotto i 5 milioni è sufficiente scegliere tra almeno 3 preventivi. Questo significa che in un caso i lavori saranno affidati ad amici, parenti e amici degli amici; nell’altro che è sufficiente che tre imprese si mettano d’accordo per presentare preventivi concordati e poi aggiudicarsi i lavori a turno.
Non si sarebbe potuto ridurre il numero di passaggi burocratici inserendo la figura del “general contractor” responsabile di tutti i passaggi e di tutte le competenze, come viene fatto negli USA? - L’”equo compenso” per i professionisti è il compendio di tutte le richieste delle categorie interessate: un prezzo minimo stabilito dai rispettivi ordini professionali e fatto rispettare mediante sanzioni a chi fa fatture al di sotto degli standard prestabiliti. Un autentico ritorno al sistema medievale delle gilde e delle corporazioni! Solo chi è iscritto può esercitare con prezzi stabiliti dall’alto.
Ma perché allora tanti ostacoli allo stabilire un compenso minimo per i runner che, loro si, vengono spietatamente sfruttati?
La vera risposta è che attraverso la concorrenza (parliamo sempre, si badi bene, di concorrenza e non di privatizzazioni) si crea valore perché le imprese in concorrenza non solo sono spinte a ridurre le richieste, ma anche a migliorare i propri servizi e la propria organizzazione.
Mentre il limitare, o escludere, la concorrenza porta a situazioni di monopolio od oligopolio in cui gli sforzi delle imprese sono volti non a migliorare i propri servizi, ma a difendere i propri privilegi e le proprie rendite.
Un esempio, tra i tanti, potrebbe essere quello del trasporto ferroviario: sulle tratte dell’alta velocità dopo che si è introdotta la concorrenza possiamo tutti constatare come il servizio sia migliorato e i costi praticamente dimezzati in dieci anni..
Ma allora perché non aprire alla concorrenza? Perché solo in questo modo si difendono i privilegi dei propri amici, i voti dei membri delle corporazioni?
Ma in questo modo non si risolve uno dei problemi fondamentali dell’Italia, Paese che continua a considerare una giusta concorrenza come un elemento negativo, figlio del più nocivo capitalismo, e non un modo per evitare gli sprechi e le rendite di posizione di posizioni monopolistiche garantite per legge
di Angelo Gazzaniga