Margherita e Sabrina: è tutto qui l’amore?

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Il matrimonio gay è diverso da quello “normale”: perché?

Niente male il film pruriginoso d’autunno, “Io e lei”, diretto da Maria Sole Tognazzi. Protagonista una complessa e complessata Margherita Buy, trascinata in un ménage lesbico da una solare e volgarotta Sabrina Ferilli. Una storia gay che scorre via veloce, senza proclami né lacrime malandrine, in cui gli uomini sono tutti prevedibili e inutili, mentre il bacio francese dell’ultima scena annuncia con moderato accompagnamento di violini il lieto fine al femminile.
Non male, ma indiscutibilmente, seppure non dichiaratamente, un film politico. La sua morale è trasparente: non solo l’omosessualità è da mettere sullo stesso piano dell’amore fra uomo e donna, ma è addirittura superiore, più disinteressata, comprensiva, vincente. Perché smarrirsi allora nei meandri di una famiglia tradizionale, dove rischi di ritrovarti con un marito pantofolaio e intento a gustarsi la Champions League in televisione, quando puoi avere una bella creatura del tuo stesso sesso che comprende i tuoi gusti e ti prepara amorevolmente la cena?
Così parlò garbatamente la regista, per bocca delle sue notevoli attrici, è la conclusione politica sorge naturale: le unioni gay devono godere degli stessi diritti, se non addirittura di alcuni privilegi, rispetto a quelle “tradizionali”.
Eppure, certo ai di là delle intenzioni, un alone di tristezza claustrofobica avvolge fin dall’inizio tutta la storia, sfiorando costantemente l’inconscio dello spettatore. Perché l’idea del legittimo matrimonio omosessuale – cioè il messaggio “politico” del film – viene presentata anzitutto come una fuga dal mondo esterno, “normale” e dunque impermeabile ai comportamenti non ortodossi. (Le due protagoniste, già nella prima scena, salgono in ascensore nel loro appartamento fingendo di non conoscersi, a beneficio esclusivo dei vicini perbenisti).
Ma il ménage Buy-Ferilli rivela presto una sua ulteriore caratteristica esistenziale: è una specie di assicurazione sulla vita contro l’ignoto, un esorcizzare la incomprensibile diversità maschile, una via di fuga a due, un’incapacità di adattarsi all’idea stessa di darsi completamente a qualcuno che non sia un’immagine riflessa di noi stessi. Ma soprattutto l’amore lesbico finisce per proporsi principalmente come risposta a un bisogno: mi occorre che tu sia qui per il mio equilibrio mentale, la mia sicurezza, la mia paura di fallire, la mia necessità di svegliarmi la mattina con un volto rassicurante al mio fianco. Io, io, io, io: il titolo più adatto a una simile celebrazione della personalità afflitta da ego ipertrofico sarebbe stato appunto: “Io, io, io, io e lei”. Sfugge invece alla regista e alle attrici, nonché allo sceneggiatore Ivan Cotroneo, incapaci di un profondo scandaglio del mistero amoroso, il carattere dinamico e coraggioso dell’eros di coppia, la sua capacità di volgersi al futuro, la naturale tendenza a fondare una nuova vita a due in cui si cammina sempre sul filo, senza rete di protezione, però accompagnati da qualcun altro, sognato e desiderato, pronto a stringerci la mano.
E i figli, questa scommessa più avventurosa di un azzardo alla roulette? Nel film non sono previsti – una fortuna, certamente, giacché l’elogio dell’amore in provetta e dell’utero in affitto avrebbero conferito al film il tono del proclama. Ma se anche ci fossero stati avrebbero finito col rappresentare semplicemente un altro “bisogno” soddisfatto, una forma di maternità surrogata e somministrata come valium contro l’angoscia, una variante di prozac in dosi massicce. Perciò se i figli fossero entrati nel copione di “Io e lei” non avrebbero mai potuto essere – per dirlo col poeta Khalil Gibran – “frecce scagliate dai genitori verso l’infinito” (“tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani”).
Il bisogno di una stampella, di qualcosa che ci appartenga e di cui possiamo disporre a piacimento, fa di questo film “politico” una dichiarazione insieme di conformismo morale e di rinuncia all’altalena della vita. Tanto da produrre, per uno di quegli effetti indesiderati e imprevedibili che abbondano nell’arte, come in ogni altra cosa umana, un effetto contrario e indesiderato: in barba alla retorica montante sulle unioni civili, fa venire in mente che oggi è l’amore coniugale fra uomo e donna la vera pietra di scandalo, sentimentale ed erotica, capace di turbare i sonni del quietismo conformista.

Dario Fertilio

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