Perché un Draghi, liberista e quasi calvinista, ha sentito il bisogno di salvare un Mussari (amministratore del Montepaschi) dalla bancarotta?
Si sta tornando in queste ore e giornate convulse caratterizzate dall’uso strumentale degli scandali bancari – l’Italia è sempre in campagna elettorale – a parlare di Mario Draghi, governatore impenetrabile della Banca Centrale Europea che, a parere di chi scrive, almeno dal 1992 tenta non senza spregiudicatezza la razionalizzazione reaganiana del Sistema Italia. Questo Mr. Britannia, un liberista dalla cultura straordinaria, è stato tirato in ballo da Matteo Renzi per una supposta “culpa in vigilando” nella governance del sistema creditizio nazionale. Le modalità e gli argomenti usati da un Renzi oggettivamente troppo nervoso, con caratteristiche plebee da showman “demo-populista”, non possono tuttavia censurare la vergognosa benedizione che con andreottismo 2.0 Draghi diede all’acquisto di Antonveneta da parte del Monte Paschi di Siena il 17/3/2008. Perché un uomo della preparazione e soprattutto del cosmopolitismo calvinista di Mario Draghi ha avuto la necessità di salvare Giuseppe Mussari, ex amministratore delegato del disastrato istituto senese, dalla probabile bancarotta fraudolenta in netto contrasto con gli stessi principi ispiratori della sua azione politico-tecnocratica?
La psicologia, come sempre, conta più di tutto il resto. L’interpretazione più realistica della dissociazione di Mario Draghi, un po’ Adam Smith un po’ Niccolò Machiavelli, è la stessa che Eugenio Scalfari diede di un altro governatore di Bankitalia, Guido Carli, in un libro passato alla storia del giornalismo quale “Razza Padrona– Storia della borghesia di Stato”, alla voce: “Un enigma: Guido Carli” (non a caso maestro dello stesso Draghi): “Nell’avventura di Carli c’è… una contraddizione profonda, un elemento al tempo stesso ambiguo e patetico, la storia d’un “grand commis” al servizio d’uno stato incapace, la nostalgia d’un leader mancato per scelta propria e la testimonianza vivente d’una capacità di sdoppiamento tecnico e politico che rasenta la dissociazione. Il sistema in difesa del quale Carli s’è battuto per quattordici anni consecutivi è stato quello della libera impresa, dei meccanismi decisionali decentrati, degli snodi e delle articolazioni plurime sia nella comunità degli affari sia nella società italiana, della quale la prima non è che una parte. Ma il sistema per il quale Carli ha concretamente operato e che alla fine è emerso come una nuova realtà a lui ostile e incognita è stato l’opposto di quello da lui vagheggiato: rigido, sclerotico, dominato dalla legge della forza e della camorra, sempre meno legato all’Europa e alla comunità internazionale. Se la nostra generazione ha avuto come destino storico quello di vivere fino in fondo questa contraddizione, Carli ne ha fornito l’esempio più clamoroso. Della nuova razza padrona egli ha sempre diffidato; dei grandi feudatari e maestri di palazzo che si sono progressivamente impadroniti della Repubblica ha sempre previsto le malefatte; ma ha anche avuto per la loro vitale ingordigia di potere l’attrazione e l’indulgenza che si ha talvolta verso chi si vorrebbe veder militare nel campo proprio e che affascina e seduce anche se combatte sotto avversa bandiera… Insomma, un governatore “dimezzato”… I tempi non potevano esprimerne uno più connaturato ad essi e di più alto livello…”.
Non è forse vero anche di Mario Draghi oggi? La vita è un enigma, e l’unica cosa che conti è darle un senso. Le persone snob adorano i mascalzoni…
di Alexander Bush