MARIO DRAGHI E’ ANDREOTTI SENZA LA GOBBA

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“Mio marito era un uomo fragile”
Antonella Tognazzi, vedova di David Rossi

Se lo Zeitgeist è eteronomia, non resta che trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Nothing else. Ma ci vorrebbe Giuseppe Gagliardi. Poi la roulette del Destino fa il suo, con olimpica indifferenza alla pietas. Ci sono uomini che hanno lo charme di sintonizzarsi con lo Spirito dei Tempi, senza possedere la minima briciola di originalità: uno di questi è Mario Draghi; l’icona sostituisce la persona. Looking good, feeling bad. Dalla locuzione di Friedman.
La caratteristica di un personaggio insondabile come Mario Draghi, che a 15 anni doveva piccolo-borghesemente impressionare Guido Carli – e cominciava a indossare una maschera allora – è di funzionare tout court nell’emergenza. Nothing else; lo dico scattando la fotografia Polaroid, o I have a camera. Muoiono i suoi genitori, il padre, quando il presunto enfant prodige ne aveva 15, la madre quando ne aveva 19, e fa gli effetti speciali; c’è la pandemia, e fa gli effetti speciali (sul Financial Times) quando chi scrive era a letto per il malessere psicogeno del Covid-19.
C’è la crisi dell’Europa sul ciglio d’un precipizio, e il manifesto di Draghi scuote l’Unione europea nel suo crepuscolo, o nel crepuscolo degli Dei. Ma attenti a Mr Wolf, che della simulazione-dissimulazione fa un’arte come solo Giulio Andreotti prima di lui sapeva fare: cattolico piccolo-borghese dei Parioli, divorato dal senso di colpa e cattolicamente contrario al successo che la Dea Fortuna gli ha assicurato, è capace di una bassezza senza pietas. Lavora “behind the scene”, trame ordendo. Meschinità producendo, e doppiogiochismi luciferini realizzando. Un “master piece” di mediocrità, o la mediocrità del master piece. Reinventò la sua persona in personaggio all’incontro decisivo con Guido Carli, che l’Edipus della madre ambiziosa della medietà dei Parioli gli rovesciò addosso come un vulnus del Destino: l’Es di Mario adolescente era schiacciato dalla volontà di potenza, e altro non gli rimaneva che non deludere chi riponeva aspettative altissime su di lui. Mi chiedo se è da questo momento che il diniego e l’imbroglio vadano di pari passo, nell’avventura di un drago che pronunzierà le tre parole dalla “sindrome di hybris” illuminato o fulminato d’immenso. “Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce”, è la confessione del diniego, firmato Giulio Andreotti. Whatever it takes. Qualunque cosa accada. Parole – sia detto di passata –, quelle del luglio 2012 prive di valore estetico. Tutto quello che ha detto e scritto – dell’emergenza figlio – è privo di valore estetico (è vero tanto di Giulio quanto di Mario). Non pensa, ma agisce. One track mind per vocazione, non ha la visione ma è settoriale per maledizione. Chi di settorialità ferisce, di settorialità perisce. Le “zombie firms” vanno ammazzate, la spesa in disavanzo va “reinventata”, ma non attuata. I diritti dei lavoratori vanno tranciati, e i paesi dell’Euro saranno abbandonati. Vince il più forte e muore il più debole. Una parola è chiave, “usque ad nauseam”. Resilienza, con il trucco della proiezione. E poi diventa Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, l’uomo senza inconscio. Tutto è resilienza nella vita di quest’uomo che a telefono con un drago di provincia, Giuseppe Mussari – il Raggio calabrese di Siena – gli chiese, a richiesta dell’autorizzazione alla scalata di Antonveneta da parte di Mps: “Ma li avete i soldi?”; ingenuità, o “simulazione-dissimulazione”? E le “due diligence” andarono a farsi fottere. Jordan Belfort, il lupo di Wall Street, almeno le rispettava. Era il 3 marzo 2008. Esattamente cinque anni dopo, il 6 marzo 2013, il responsabile dell’area comunicazione di Morte Paschi di Siena precipitava dalla finestra dell’istituto di Rocca Salimbeni. Sapeva troppo, e non era un drago. Tra le porte girevoli si stressò, si lacerò e poi morì. Perché c’è sempre un anello debole della catena in un cold case che si rispetti. Caso aperto e fragilità. Siamo tra i labirinti di Eyes Wide Shut cinquanta sfumature di un drago, 1:24 minuti per la precisione. “Gentilmente, si tolga la maschera”. E Tom Cruise, più banale che grande, si smascherò, ma Stanley Kubrick morì inseguendo la sua opera che di vita autonoma viveva. Antonella Tognazzi è intervenuta a gamba tesa in pieno Romanzo Quirinale nel 2022, ma ora non parla più. A volte non resta che accontentarsi delle briciole. Le briciole dell’oscurità. Paolo Mondani ha guardato l’abisso, e dall’abisso è stato guardato. Ior: Istituto delle Opere di Religione, che per poco il quasi avvocato, quasi banchiere, quasi capitalista non si trovò a dirigere. Da Marcinkus a Mussari, latin heroes rambeschi e rimbambiti. Wild parties e corruzione, fa rima con perversione. Il nostro eroe di Reggio Calabria s’è accontentato di una sentenza d’assoluzione definitiva e dei suoi segreti. Siena è il “delirio della provincia”, ma lo shadow banking con i derivati Alexandria e Santorini – matrioske per un cold case – è made in Usa, e forse la globalizzazione della finanza ombra è la pistola fumante che l’Occidente è al tramonto. Il 24 marzo 2013 moriva suicida Boris Berezovskij a Londra.

Anche i genitori – alto-borghesi, però – di John Maynard Keynes riponevano aspirazioni altissime sul loro amato figlio, educandolo ad un calvinismo autoimposto che non ammetteva pietas. Ma il giovane Maynard era geniale, Mr Wolf è normale. La sua opera preferita è “American Tabloid” di James Ellroy, perché gli appartengono le stesse meschinità cattoliche di Camelot senza la Nuova Frontiera. Scrive Andrea Bonanni su “la Repubblica” del 17 aprile 2024 nel giorno della Baia dei Porci, fotografando il narcisismo e anche il darwinismo dell’aurea mediocritas sintonizzata con la democrazia dell’applauso, se è vero che la democratie des applaudisements nel grigiore dell’inconscio collettivo è un omaggio allo Spirito dei Tempi:
“L’Europa non sta perdendo la sfida economica con le altre potenze globali, Cina e Stati Uniti. L’ha già persa, a causa della propria frammentazione. Se vuole recuperare terreno per salvare il proprio modello sociale e politico deve pensarsi come entità sovranazionale. Occorre “una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa”. E’ questo, molto in sintesi, il “manifesto” per l’Europa che Mario Draghi ha illustrato martedì 16 aprile 2024, in un convegno a Bruxelles a poche settimane dal voto che chiamerà 450 milioni di cittadini ad eleggere il nuovo Parlamento Ue.”

“L’opera è data dai miracoli del caso”, come disse Honorè de Balzac. Come “Mussolini, ultimo atto” di Carlo Lizzani, non bellissima ma immortale grazie a Rod Steiger, Mussolini per “proiezione”. Scrive Claudio Tito, ne “Chi può suggerire il nome di Mario” e i colori sono tra Lux et Tenebrys, mentre l’Occidente affonda come il Titanic; si salvi chi può, nell’ora più buia: “Un perfetto programma di legislatura per la nuova Commissione”. Nel corridoio largo e con le vetrate altissime che nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles conduce verso l’ingresso dell’Aula, ieri pomeriggio non si parlava d’altro. Di Mario Draghi. Del suo discorso. Considerato da tutti “la” piattaforma per l’esecutivo europeo 2024-2029. In realtà ieri l’Assemblea non era convocata. Molti parlamentari, però, erano presenti per partecipare alla cerimonia per il Premio cinematografico Lux. Ma più che del vincitore (il film tedesco “La sala dei professori”), si parlava dell’ex premier italiano. I suoi interventi nelle istituzioni europee vengono ormai considerati una discesa in campo.”

Ilker Catak è stato salvato da Draghi? Artisti e politici, che strana coppia… Funzionano allo stesso modo, parola di Oliver Stone.
Descendit de coelis propter nos homine, per parafrasare lo scettico Gustavo Zagrebelsky, che di eleganza ferisce, già autore de “La dittatura del presente”. La sua severità è compatibile con l’oscurità oligarchica di una democrazia al tramonto. E infatti a Gianni Agnelli Gustavo piaceva.
Abbiamo bisogno di Barbara Spinelli, che Piero Ottone incontrò “sans vetements” nell’appartamento di Tommaso Padoa Schioppa – l’elite non è acqua –, per rimettere le cose al loro posto, e lo dico con l’orgoglio dello snobismo come carta di riserva contro il buonismo divorante della Liguria dove vivo, o scelgo di navigare piuttosto che di vivere. “Meglio navigare che vivere”, per citare Plutarco; se lo citava Flavio Carboni in un’intervista molto bella di Peter Gomez, lo posso citare anch’io: “… Chi legga il discorso dell’ex presidente del Consiglio, tutto verrà in mente tranne che un pensatore e un protagonista politico. Draghi è un tecnico, impermeabile per via del pilota automatico alle sorprese di un voto nazionale o europeo. Nelle parole che dice e nel rapporto sulla competitività che presenterà a giugno, si mette al servizio di un’Europa-fortezza ineluttabilmente in guerra, e che lo sarà a lungo visto che le parole “pace” e “diplomazia” sono spettacolarmente assenti. Abbonda, invece, sino a divenire filo conduttore, la parola “difesa”, che appare ben nove volte. Prima di credere nel “cambiamento radicale” che Draghi promette, varrebbe la pena capire quel che intende quando suggerisce di competere più efficacemente con Stati Uniti e Cina, indossando gli abiti e le abitudini di un’Europa più compatta, economicamente, industrialmente e tecnologicamente. Se i Paesi rivali sono forti, dice, è anche perché sono “soggetti a minori oneri normativi e ricevono pesanti sovvenzioni”. L’Europa soffre di troppe norme (immagino parli di clima, welfare, commercio) e le converrà adattarsi…”.
Lui, Mario, è “post-keynesiano” fino alla morte poiché ha la presunzione, che della hybris si nutre, di superare Keynes reinventando la “Teoria Generale dell’Occupazione” con il darwinismo del Gruppo dei Trenta all’opera il 14 dicembre 2020 con il trucco del “punto di equilibrio”. E più i fatti smentiscono l’assunto di quell’intervento, non resta che stuzzicare la vanità di Paul Krugman (invece che ascoltarlo), o fingere di citarlo; in posizione opposta a Mario: un atteggiamento, che più berlusconiano non si può. Si sa, che tra Mr Wolf e il Caimano correva buon sangue. Due Caimani. A dire il vero, il primo è un po’ la versione in miniatura di Neville Chamberlain; ma all’epoca, non c’era la cattiveria di adesso, o forse sì. Visto che i londinesi – come ricordava Irving Stone – non volevano Sigmund Freud nella loro città, a costo di far morire i Freud nel forno crematorio di un campo di concentramento. La cattiveria è la cifra della fine di un’epoca, e non fa sconti a nessuno. Si segnala “l’eterno ritorno dell’uguale” nella Weltanschauung di un uomo senza Weltanschauung, che talvolta ricorre all’escamotage dell’isteria. Era vero anche del Divo Giulio.

Keynes. Speranze tradite. Il lato oscuro dell’Europa secondo Draghi è Eyes Wide Shut, la fine della civiltà occidentale. E il peggio deve ancora arrivare.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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