“… La vulgata vuole che siano stati i nuovi vertici di Mps, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, a scoprire il trucco dei derivati trovando nella cassaforte di Vigni il contratto con Nomura su Alexandria (lo rivelò il Fatto a gennaio 2013)… Già nel 2010 le strane operazioni in liquidità avevano spinto Bankitalia a mandare gli ispettori. La situazione è così critica che ci ritornano a settembre 2011… L’ispezione si svolge nelle settimane cruciali della caduta del governo Berlusconi, l’arrivo di Monti e, come detto, l’insediamento di Draghi alla Bce.
Forse la storia sarebbe cambiata se la bomba Mps fosse esplosa prima…”
“Quello che nessuno dice di Draghi e Mps – Nel 2007 l’allora governatore non bloccò l’acquisto suicida dell’istituto padovano”, Carlo Di Foggia
Il 19 agosto 2021 è stato pubblicato su Libertates l’imperdibile “Monte dei Paschi di Siena Banca dal 1472 – Una nuova Alitalia” a cura dell’ordoliberale Angelo Gazzaniga, dove l’autore osserva come il geniale giornalista Luigi Bisignani nel suo pezzo “Monte dei Paschi, cosa si rischia con la mossa di Draghi”: “In questi giorni vengono a compimento le vicende di due grandi imprese italiane tanto diverse ma con destini tanto simili: Alitalia e Montepaschi… Quanto sarebbe stato meglio per tutti se queste imprese avessero fatto la fine di tutte le ditte giunte per vari motivi alla fine della loro vita: fallire! Ne abbiamo del resto esempi proprio per imprese dello stesso ramo: La Swissair (si, proprio la compagnia di bandiera svizzera) che, fallita per errori di gestione, fu sostituita da una compagnia più piccola e affiliata alla Lufthansa (la Swiss) che ora ha 9000 dipendenti e che è in utile, senza essere di peso allo Stato. Stessa trafila fu seguita per il Banco Ambrosiano che, fallito per le operazioni sconsiderate di Calvi, fu sostituito nel giro di un week end da una nuova ditta (il Nuovo Banco Ambrosiano) senza nessuna perdita per dipendenti e depositanti. Il lasciar fallire un’impresa decotta non è un atto d’imperio, ma un prendere atto di una situazione irreversibile e normale in un’economia efficiente e liberale…”.
Solo una nota alla condivisibile diagnosi schumpeteriana di Gazzaniga: la “distruzione creatrice” del verminaio camorristico del Banco Ambrosiano è stata resa possibile dall’azione coraggiosa di due galantuomini isolati dalla Balena Bianca: l’allora Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, e il Segretario di Stato del Vaticano Agostino Casaroli. Perché – allora come oggi – manca un establishment.
Non si può dare torto al Fatto Quotidiano su un fatto gravissimo che è riemerso in questi giorni (al netto del ruolo che Mario Draghi sta oggettivamente svolgendo come il Roosevelt dell’economia italiana, dal dicembre del 2020): nel 2007 il governatore della Banca d’Italia non bloccò – pur avendone il potere – l’acquisto suicida di Banca Antonveneta da parte del Monte Paschi di Siena.
Giuseppe Mussari, protagonista dell’operazione degna di un film come “La frode” con Richard Gere, si è così salvato dalla galera per bancarotta fraudolenta.
David Rossi, responsabile dell’area comunicazione del Monte Paschi di Siena, si tolse la vita gettandosi fuori dalla finestra della banca. Si domanda il cronista di razza Carlo Di Foggia – e non è l’unico a farlo – qual è stata la motivazione che ha spinto l’ambiziosissimo (e talentuoso) Super Mario a dare un salvagente al Gianpiero Fiorani di Siena, addirittura biograficamente agli antipodi dell’ex enfant prodige dell’economista keynesiano Federico Caffè (Mussari è un personaggio da “latin heroes” nel “delirio della provincia” del capitalismo senza capitali che fa rivoltare nella tomba Adam Smith, è alleato della massoneria senese e ha fatto delle forme inferiori dell’intelligenza: fiuto e furberia, la filosofia d’una vita): “Il disastro Mps ha un’origine. Nel 2007 il presidente Giuseppe Mussari – dalemiano, poi tremontiano, ma soprattutto caro alla massoneria senese, padrona della banca – decide di strapagare Antonveneta. Il 17 marzo 2008 il governatore di Bankitalia Mario Draghi autorizza l’operazione: “Non risulta in contrasto col principio della sana e prudente gestione”, scrive. Mussari paga 9 miliardi e se ne accolla 7,5 di debiti: 17 miliardi per un istituto che il venditore, il Santander di Emilio Botin, aveva pagato tre volte meno pochi mesi prima rilevandolo da Abn Amro. Botin, legatissimo all’Opus Dei, gliela vende a scatola chiusa. Pochi mesi prima la finanza cattolica (che faceva schifo al protestante Martin Lutero, ndr) gli aveva sbarrato la strada della scalata al San Paolo Imi: i torinesi preferirono consegnarsi alla Banca Intesa di Giovanni Bazoli. Il sistema italiano ricompensa Botin girandosi dall’altra parte quando Mussari decide l’azzardo…”. Un azzardo che lo ha salvato dalle patrie galere, a differenza di Gianpiero Fiorani caduto nella polvere insieme al governatore ciociaro Antonio Fazio, scisso tra le opere di San Tommaso e i “furbetti del quartierino”.
Continua l’imperdibile Di Foggia: “… La vigilanza sapeva che Mussari stava suicidando la banca. Pochi mesi prima, una lunga ispezione aveva trovato una situazione critica in Antonveneta. L’ispezione si chiude a dicembre 2006 con un esito “in prevalenza sfavorevole” e la richiesta di multare vertici e collegio sindacale: 64 pagine che prefigurano la futura esplosione delle sofferenze (i crediti inesigibili), pari a 4 miliardi, più un altro miliardo di incagli e la previsione di nuove perdite per 2,8 miliardi; altri 1,8 miliardi sono “a rischio di decadimento qualitativo”. La gestione dell’istituto viene fatta a pezzi con 5 voti negativi su 6: perde clienti; è ingessata; i controlli gestionali “non prevedono analisi di redditività” e la contabilità “è connotata da prassi poco efficaci e da aree di manualità”. (insomma, una situazione di sudamericana illegalità di poco inferiore alla Banca Privata Italiana del gambler siciliano Michele Sindona, ndr).
Perché allora Bankitalia dà l’ok?…”.
Le risposte sono due: perché Super Mario – ambizioso, come lo sono di solito le persone molto intelligenti – voleva arrivare alla tanto agognata meta di Governatore della Banca Centrale Europea contando sull’appoggio di quella stessa “cleptocrazia massonica” (per citare Giovanni Spadolini) che aveva contrastato durante la carriera da banchiere centrale tra la Goldman Sachs e il Ministero del Tesoro (ma da governatore della Bce nel 2012, salvò l’Euro dalla catastrofe con quelle sole tre parole “Whatever it takes”, e fu un’abilità geniale); la seconda motivazione è di natura psicologica: un’attrazione irresistibile per i banditi ereditata da Guido Carli, che ha esercitato su Mario un’influenza molto più forte di quella avuta da Federico Caffè, scomparso misteriosamente nel 1987 (per probabile esaurimento nervoso).
Il capolavoro di Eugenio Scalfari (a metà tra Luigi Albertini e Arthur Schlesinger) e Giuseppe Turani del 1974 “Razza padrona – storia della borghesia di Stato”, che è un atto d’accusa al delinquente di professione Eugenio Cefis, ha un capitolo imperdibile, dove il genio di Eugenio (“Come Eugenio ce ne sono uno o due al secolo”: Piero Ottone dixit), si è manifestato in tutto il suo splendore.
“Un enigma: Guido Carli”; orbene, ciò che Scalfari ha scritto di Guido Carli vale anche per Mario Draghi, suo “pupillo”. Leggere per credere: “… E’ stato (Guido Carli, ndr), nell’arco di questi quattordici anni, l’uomo che più lucidamente e più razionalmente d’ogni altro in Italia abbia avvisato sulle tendenze di fondo emergenti dall’interno stesso della struttura produttiva e sociale, l’avvocato più eloquente delle ragioni dell’imprenditoria, privata o pubblica che fosse; ma nello stesso tempo quello che ha dovuto apprestare e gestire gli strumenti tecnici con i quali l’imprenditoria è stata gradualmente strangolata e condotta infine a essere nient’altro che un elemento di puntello del regime. Nell’avventura di Carli c’è dunque una contraddizione profonda, un elemento al tempo stesso ambiguo e patetico, la storia d’un grand commis al servizio d’uno stato incapace, la nostalgia d’un leader mancato per scelta propria e la testimonianza vivente d’una capacità di sdoppiamento tecnico e politico che rasenta la dissociazione… Insomma, un governatore “dimezzato”, come il visconte della favola calviniana. I tempi non potevano esprimerne uno più connaturato ad essi e di più alto livello…” (non dimentichiamo che Guido Carli favorì la resistibile ascesa del finanziere di Patti Michele Sindona, ndr).
Era il maggio del 2017 quando leggevo per la prima volta queste parole di Scalfari solo riassuntivamente riportate – con qualche brutale omissione per la tirannia dello spazio –, e che a tutt’oggi sortiscono una forte impressione su di me. Ma non c’è dubbio che Mario Draghi, di cui proprio Guido Carli era il maestro al punto che il primo è la creatura del secondo, è stato un governatore anch’egli “dimezzato” dalla stessa fatal attraction per i banditi. E i tempi non potevano esprimerne uno di più alto livello. Che sullo yacht Britannia della Regina Elisabetta davanti agli Invisibles della City, illustrò la Mano Invisibile di Adam Smith il 2 giugno 1992 – mentre pareva che la Repubblica Italiana si stesse disgregando sotto i colpi delle tangenti e delle bombe: “Non abbiamo una Thatcher”; un colpo di bazooka al partito dell’“Onorata Società Sindona Andreotti”, anche se non vinse la scommessa delle Privatizzazioni: gli italiani non le volevano, e ancora oggi non le vogliono.
In un passaggio cruciale dell’intervista doppia di Affari italiani a Elio Lannutti e Franco Fracassi – autori del libro “Morte dei Paschi” edito da Paper First – Marco Antonellis domanda a Fracassi e Lannutti: “Perché Mps è fallita?”, Fracassi risponde: “Perché il suo direttore generale, Giuseppe Mussari, si è imbarcato in operazioni finanziarie internazionali molto più grandi di lui. Che lui non comprendeva. Che lo hanno sovrastato. Come il classico pollo che si trova davanti a un banchetto per strada dove alcune persone fanno il gioco delle tre carte, e senza un prestidigitatore si decide di fare una puntata”; Lannutti invece dà questa risposta: “Per l’assenza di vigilanza e l’indegno teatrino dello scaricabarile tra Consob e Bankitalia. Vi sono evidenti responsabilità della Banca d’Italia (gestione Draghi – Tarantola, poi Visco), con la complicità di una cupola bancaria che non ha voluto vedere in tempo la genesi del più grave crack finanziario della Repubblica, addossato come sempre a risparmiatori, correntisti, lavoratori”.
“Oltre ai vertici della banca, chi è responsabile del crack di Mps?”, Lannutti risponde: “Il presidente Mussari e Bankitalia, con l’acquisto di Banca Antonveneta, che non aveva i conti in ordine, come si evince da un rapporto del 9.3.2007 della filiale di Padova di Bankitalia. Per le irregolarità contabili, che consentirono a Mps di nascondere le perdite e di falsificare i bilanci (come si evince dalle inchieste dei magistrati). Per il mancato intervento di Mario Draghi che ha consentito al principale protagonista Giuseppe Mussari di diventare Presidente dell’Abi, concertare assieme politiche creditizie fraudolente, autorizzando l’acquisto di una banca decotta a un prezzo folle, con la delibera del 9.3.2007 mediante aumento di capitale ed operazioni a debito fino a 9 miliardi, il cui costo finale è arrivato a 17 miliardi di euro”.
E’ un disastro che ancora oggi si manifesta sugli equilibri del Sistema Paese, divorato dai costi sociali di questo “andreottismo senza Andreotti”. Ne deduce con tono di denuncia l’ottimo giornalista Francesco Bonazzi nella sua analisi “Il giallo del maxi-esborso per Antonveneta e il ruolo di Bankitalia”, che Mario Draghi potrebbe avere addirittura commesso un reato di falso in atto pubblico (sic!) (ma la decorrenza dei termini non consente l’inoltro dell’avviso di garanzia anche in presenza della “notitia criminis”): “… I documenti che provano queste tesi sono stati depositati alla Procura di Roma da un avvocato senese, Paolo Emilio Falaschi, appoggiato dall’Adusbef di Elio Lannutti. Nell’esposto si ipotizza che l’autorizzazione di Bankitalia all’operazione suicida costituisca un falso in atto pubblico (i fatti sono del 2008, il reato si estingue in 10 anni). Il pm Giancarlo Cirielli ha aperto un fascicolo d’indagine. Nella primavera del 2008 Il Monte dei Paschi, guidato da Giuseppe Mussari, compra per 17 miliardi Antonveneta, che gli spagnoli avevano pagato tre mesi prima 6 miliardi. Lo fanno senza alcuna due diligence e accollandosi un prestito da 7,5 miliardi che Santander aveva accordato ad Antonveneta per puntellarne i conti. La domanda è: sapeva Bankitalia di questo finanziamento da 7,5 miliardi? Secondo il legale senese lo sapeva perfettamente perché aveva appena ispezionato la banca. Alla Procura di Roma è stata fornita la distinta dei pagamenti effettuati da Mps. Si tratta di 8 bonifici a favore di Abn Amro, Banco Santander e Abbey National Treasury Service tra il 30 maggio 2008 e il 30 aprile 2009 per un totale di 17.007.760.687, 52 euro. Ma se si va a prendere l’autorizzazione all’operazione firmata da Mario Draghi il 17 marzo 2008 si legge che “il costo dell’acquisizione sarà di 9 miliardi di euro”. Si badi, “costo”, non “prezzo”. E invece il “costo” ammonterà a quei 17 miliardi.
Ancora più stupefacente la lettura della relazione ispettiva del 9 marzo 2007 firmata dalla Banca d’Italia su Antonveneta. Vi si contestano “un’insufficiente capacità di governo delle principali variabili gestionali e il progressivo deterioramento del clima aziendale”, oltre a “rapporti con la clientela connotati dall’applicazione di prassi tariffarie particolarmente penalizzanti, con conseguente erosione delle quote di mercato”.
Altro che la “distruzione creatrice” di Joseph Schumpeter!
Sullo sfondo di questi fatti analizzati fin nei dettagli più scabrosi e a causa dei loro intrecci danteschi, si è consumato il “passaggio all’atto” suicidario del one track mind David Rossi – un uomo unilaterale quanto Roberto Calvi, che aveva il lavoro come vita e nient’altro al di fuori di questo – stritolato psicologicamente dal “gioco grande del potere”.
Il lucidissimo Gianfranco Coppola nel suo pezzo “Cronaca di un suicidio annunciato. Un’inchiesta sulla morte di David Rossi”, impartisce ai dietrologi di questo mondo una lezione che andrebbe imparata a memoria: “… Rossi si tolse la vita nel momento in cui l’autorità giudiziaria accese un faro su chi gestì Mps e, in particolare, l’operazione Antonveneta, “in primis” l’ex presidente Giuseppe Mussari. E Rossi, che fino a quel momento aveva lavorato sotto l’ombrello protettivo del vecchio management, cominciò a perdere ogni certezza quando il 19 febbraio del 2013 subì (non in veste di indagato) una serie di perquisizioni, in ufficio, in casa e nella macchina. Pochi mesi prima (novembre 2012) aveva perso il padre e la crisi del Monte, per la quale lui temeva un arresto di lì a poco, si era andata ad aggiungere alle preoccupazioni per lo stato di salute della moglie.
Poche ore prima del suicidio, Rossi, come riporta Ascheri, ebbe un colloquio con una “consulente aziendale-soggetto formatore”, la dottoressa Carla Lucia Ciani, cooptata dalla nuova dirigenza MPS per agevolare l’integrazione tra vecchi manager e quelli appena arrivati. E la testimonianza della “coach” è illuminante perché evidenzia, in modo neutro e senza pregiudizi, un contesto “presuicidario”.
“Si sentiva quasi il senso di disgrazia imminente” – è il ricordo dell’esperta a proposito di David Rossi – questo era fortissimo, usava espressioni quali: “ho paura che mi possano arrestare”; “ho paura di perdere il lavoro” come se fosse accusato di qualcosa che addirittura pensava che io fossi lì per aiutarlo a comunicare le sue dimissioni”. E ancora, dalle parole della dottoressa Ciani: “L’impressione che ho tratto dall’incontro è che lui avesse vissuto l’esperienza lavorativa in un contesto protetto: ad un certo punto invece si è sentito solo e questa condizione gli ha creato una sorta di apnea da panico che non sapeva gestire… lui disse che non riusciva a trovare un appoggio e ciò gli dava una continua frustrazione. A me ha dato l’impressione che, perso il lavoro (come lui pensava di perdere, ndr), avrebbe perso tutto, avrebbe perso se stesso, proprio perché non c’era distacco in lui fra vita privata e lavorativa, quasi che il suo ruolo professionale fosse tutta la sua vita”. Nel finale del verbale reso ai tre pm di Siena, viene sintetizzata dalla teste la pluralità di cause che avrebbero portato poi Rossi a uccidersi: “Mi parlò della paura di essere arrestato, del fatto che sua moglie non fosse in condizione di sostenersi, che avrebbe perso il lavoro se fosse successo qualcosa di grave”.
Tradotto: la patologia che affliggeva David Rossi è la stessa che ha stritolato Roberto Calvi, il “navigatore disgraziato” del Banco Ambrosiano: la sindrome Marilyn: looking good, feeling bad.
Sembrare bene, stare male; perfetta era stata la sintesi di Piero Ottone rispetto a Roberto Calvi: “Aveva fatto tutto quello che aveva fatto solo per costruire il suo personaggio: il personaggio crollò nel momento in cui vennero ad arrestarlo”. E tentò il suicidio nel carcere di Lodi.
Lo stesso accadde a David Rossi, per lo shock subito dall’ispezione della Guardia di Finanza che lasciava intravedere ben più minacciosi scenari.
Alla domanda rivolta da Affariitaliani.it a Fracassi e Lannutti “Secondo voi, perché è morto Rossi?”, il fondatore di Adusbef Consumatori Lannutti dice: “Perché da capo della comunicazione e stretto collaboratore di Giuseppe Mussari, ex presidente del Monte dei Paschi e dell’Abi (Associazione bancaria italiana) conosceva molti segreti del groviglio armonioso di Siena, che avrebbe potuto rivelare ai magistrati…”. Sconvolto dall’ispezione delle Fiamme Gialle, che rompeva il suo equilibrio da normotico: persona apparentemente inserita in un contesto ad alto funzionamento, ma in realtà fragile.
Nel capitolo 9 del libro “Morte dei Paschi – Dal suicidio di David Rossi ai risparmiatori truffati. Ecco chi ha ucciso la banca di Siena”, Elio Lannutti scrive alla voce “Surrealismo finanziario – La madre di tutti gli affari”: “… “Lo Ior venne coinvolto nell’affare (Mps – Antonveneta, ndr). I dirigenti dello Ior organizzarono incontri qui in Vaticano”, ha rivelato l’anonimo monsignore che lavorava nelle finanze vaticane”. Paolo Mondani di Report: “Mussari era accompagnato da qualcuno in quegli incontri, lei se lo ricorda?” “Veniva con David Rossi, il povero ragazzo scomparso tragicamente”.
Tutto tiene, come direbbe Tommaso Buscetta. Sempre da “La madre di tutti gli affari” di Lannutti e Fracassi: “… E poi c’erano il Vaticano e lo Ior. Una fonte interna al Vaticano ha raccontato al Corriere della Sera: “Furono aperti almeno quattro conti intestati a quattro organizzazioni religiose, che coprono cinque personaggi che hanno avuto un ruolo chiave nella costruzione dell’acquisto di Antonveneta”.
Ha rivelato a Report un anonimo monsignore che lavorava nelle finanze vaticane: “I convenuti decisero di aprire quattro conti presso lo Ior, intestati ad altrettanti enti religiosi”.
Paolo Mondani: “E questi quattro conti coperti corrispondevano ad altrettante persone fisiche?”.
“Sì, esatto. E tra loro c’erano esponenti di Montepaschi”.
“E a che cosa sono serviti questi conti?”
“Sono serviti a far transitare una parte del denaro dell’operazione, rendendola non tracciabile”.
“Sono diventati la tangente per qualcuno?”
“Beh, anch’io lo immagino”.
“E quei soldi oggi, ora, dove sono?”.
“Una parte sta dentro il Vaticano. Non dimentichi mai che lo Ior ci ha guadagnato”.
La ricostruzione svolta da Elio Lannutti fa venire i brividi:
“Il testimone del Corriere della Sera andò oltre, mostrando un foglietto con il numero di uno dei quattro conti, il 779245000141, aperto il 27 ottobre 2008, codice shift IOPR-VAVX che rappresentava “la conferma dell’avvenuta ricezione di denaro”. L’identificativo D779245000141 segnalava “il deposito di centomila euro in contanti avvenuto il 2 novembre 2009”. Infine, con l’identificativo D7421H500002, su quel conto arrivarono “un milione e duecentomila di euro in tre tranche, che successivamente” fu “interamente prelevato”.
Soldi (occultamente inseriti nel “derivato Alexandria” che consentì a Mps l’acquisto di Antonveneta in barba alle “due diligence”, ndr) che sarebbero serviti a pagare “le persone utilizzate nel 2007 per organizzare la seconda vendita di Antonveneta”, quella al Monte. Ha scritto il Corriere della Sera: “Secondo gli inquirenti, il procuratore aggiunto Nello Rossi e i sostituti Stefano Rocco Fava e Marco Pesci, gli intestatari dei conti si sarebbero appoggiati a una banca italiana, quella “del Fucino, con sede in via Tomacelli a Roma”. Un metodo di pagamento di tangenti che ricorderebbe quello ricostruito, con dovizia di particolari nel libro Vaticano Spa, dal giornalista d’inchiesta Gianluigi Nuzzi. Il reporter si avvalse dell’archivio personale di un prelato vaticano, monsignor Renato Dardozzi, un consigliere della Segreteria di Stato della Santa Sede che aveva avuto accesso a tutte le vicende dello Ior e del Vaticano dagli anni Ottanta fino alla metà dei Novanta. Sistema che fu utilizzato per riciclare una tangente da 150 miliardi di lire che Enimont, la multinazionale petrolchimica, guidata dal finanziere Raul Gardini, fece pervenire all’inizio degli anni Novanta a quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale…”.
Ps – Oggi sappiamo grazie alle rivelazioni inedite di Antonio Di Pietro alla Susanna Turco per l’Espresso del febbraio 2020, che se Raul Gardini non si fosse suicidato la Procura di Milano avrebbe avuto gli elementi sufficienti per far arrestare Giulio Andreotti quale persona giuridica del “Conto Spellman” intestato allo Ior nel quale era depositata la maxi-tangente Enimont da 150 miliardi di lire (la più grande tangente mai versata ad un politico: rivelazioni confermate da Piercamillo Davigo in un’intervista di Andrea Purgatori).
Chissà, cosa sapremo sulla “liaison dangereuse” tra Mussari e Rossi, della quale si può appena cogliere la superficie.
Ma i lettori hanno capito come la pensa chi scrive.
A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina.
di Alexander Bush