Nella Commissione d’inchiesta su mafia e massoneria conclude proponendo misure già proposte dal fascismo…
Avviso alla Commissione parlamentare d’inchiesta su mafia e massoneria: se in Italia non esiste una legge a “tutela del nome”, la colpa non è dei massoni ma della perdurante distrazione di massa dei “politici” che si pascono di pappolate sui “segreti massonici”. L’unico vero complotto in atto è quello contro la libertà d’associazione. Vediamo perché.
Il 21 dicembre 2017 sull’Italia è sceso il buio pesto. Anziché festa del Sole Invitto, questo Solstizio d’Inverno rimarrà negli annali come sconfitta della civiltà giuridica e, più in generale, della libertà. Questo è il succo della Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, in relazione alle (presunte) infiltrazioni di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta nella Massoneria in Sicilia e Calabria.
Due premesse, prima di addentrarci nel sommario esame della Relazione. Istituita con la legge 19 giugno 2013, n. 87, la Commissione ha operato con i poteri di corte di giustizia, incluso quello di ordinare il sequestro dei piedilista di loggia ai sensi degli articoli 247 e seguenti del codice di procedura penale. Tuttavia la Relazione non è una “sentenza” ma una sequenza di divagazioni ripartite in quattro sezioni suddivise in 21 paragrafi (alcuni dei quali frantumati in sottoparagrafi), completa di conclusioni e di proposte. Se, come suol dirsi, le sentenze non si discutono ma si applicano, la Relazione è una “opinione”, scritta in italiano talora zoppicante e soggetta a tutte le riserve del caso.
Sin dalla premessa i Commissari mettono a nudo i limiti del loro metodo e svuotano la validità scientifica delle loro conclusioni. La Commissione si propose di “avviare un filone di inchiesta dedicato ai rapporti tra mafia e massoneria”. Sennonché essa dà per scontata la nozione di “mafia” e non chiarisce cosa intenda per “massoneria” (Italiana? Universale? Con quali riconoscimenti internazionali e quali rituali?…). Essa mescola realtà diversissime, riferendosi “a tutte le forme e ai raggruppamenti criminali di questo tipo” (quale?), “che siano comunque di estremo pericolo per il sistema sociale, economico e istituzionale”. Fantasmi. Mentre afferma che in Italia esistono almeno un centinaio di organizzazioni sedicenti massoniche (in realtà se ne contano assai di più), la Commissione decise di concentrarsi su “una parte significativa della massoneria ufficiale o considerata ‘regolare’”: classificazione possibile, codesta, solo nel presupposto che lo Stato abbia titolo e voglia di fissare ed enunciare i requisiti di legittimità e regolarità delle associazioni massoniche in Italia e all’estero. Sarebbe come decidesse se sono più cristiani i cattolici, gli evangelici, i riformati o gli ortodossi: tante sette in libera contesa. Sennonché il pubblico potere è del tutto incompetente a entrare nel merito delle chiese come delle logge. In Italia, infatti, la “massoneria” è poco e male conosciuta (molto chiacchierata, invece, sulla base di pregiudizi ottusi, frutto di incultura) e comunque non è “riconosciuta”. Quindi la scelta della Commissione di interpellare i rappresentanti legali di quattro Comunità (Grande Oriente d’Italia, Gran Loggia d’Italia di Palazzo Vitelleschi, Gran Loggia Regolare d’Italia e, chissà come mai, la Serenissima Gran Loggia d’Italia, detta sbrigativamente “Serenissima”) è del tutto arbitraria. Lo ha fatto dichiaratamente “a campione” (una parte per il tutto), accampando che “quelle associazioni di tipo massonico presentano talune peculiari caratteristiche che, insieme considerate, possono risolversi nell’agevolazione dell’accesso mafioso” (sic!). Lo si potrebbe dire anche della chiesa cattolica, visto che non sono mancati ecclesiastici in odore di mafia anziché di santità, e di innumerevoli altri “corpi” pubblici ed enti privati.
La Commissione ha cercato conforto nell’audizione dell’ex gran maestro Giuliano Di Bernardo. Sempre avvolto in aura mistica, ancora una volta questi ha vantato l’“abolizione dei cappucci e delle spade in quanto ritenuti ormai anacronistici”. Altri due “testi”, Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente, e Antonio Binni, sovrano gran commendatore e gran maestro della Gran Loggia, hanno invano cercato di far comprendere ai Commissari, palesemente digiuni delle più elementari cognizioni di genesi e storia della massoneria, che per i Liberi Muratori il rituale non è un orpello bensì sostanza, come i paramenti liturgici nei riti religiosi, che “legano insieme” e separano il sacro dal profano (o “laico”, cioè “ignaro di cose sacre”, come stigmatizzato dal poeta: “odi vulgus profanum, et arceo”).
La Commissione ha affastellato informazioni di dettaglio su singoli affiliati risultati condannati per reati vari, si mostra scandalizzata perché in loggia non vi sarebbero “soggetti riconducibili ai mestieri più umili o al novero dei disoccupati” (già il saccente Enzo Biagi domandò a Manlio Cecovini quanti braccianti fossero in loggia) e, sulla scia di Cesare Lombroso, deplora la “segretezza che permea il mondo massonico” in specie in aree (geoetniche?) “fisiologicamente” tolleranti verso l’illegalità e quindi esposte a “infiltrazioni criminali”.
Si tratta di induzioni, mentre non risponde affatto al vero che “il segreto costituisce il perno di alcune obbedienze”, circonfuse da “un alone di mistero”. La Commissione confonde crassamente la riservatezza con “segretezza strutturale” e stigmatizza la “chiara riluttanza” dei grandi maestri a “riferire i fatti”, “anche quando i fatti nascosti abbiano assunto astratto rilievo penale”. Per porvi rimedio essa invoca i “pilastri della trasparenza intesa come anticamera del controllo sociale” e lamenta che la massoneria conservi “talune usanze, consone ai momenti storici in cui furono introdotte” ma “inaccettabili con l’avvento della democrazia”, senza però specificare quali siano queste “usanze”: grembiule, guanti, sciarpa, distintivo all’occhiello, arcana stretta di mano, triplice bacio…?
In sintesi, la Commissione ammicca, strizza l’occhiolino e rimane nel vago: fa esattamente ciò che essa rimprovera agli esponenti della massoneria, come bene ha rilevato l’on. Daniele Capezzone, “vox clamantis in deserto” in un Paese a schiena china e genuflesso anche se nessuno glielo chiede. Per vocazione…
Dopo molte divagazioni, la Commissione constata “la mancanza di un regime generale che renda obbligatoria la diffusione di notizie concernenti qualsivoglia compagine associativa” e ripete il mantra: “le obbedienze, di fatto, operano in un vero e proprio regime di segretezza, che ben poco ha a che vedere con l’invocato diritto alla riservatezza”.
La sua ricetta è semplice. Premessa la stupida asserzione di Felice Cavallotti (“non tutti i massoni sono delinquenti ma tutti i delinquenti sono massoni”: Cavallotti, in realtà, disse “farabbutti”, non “delinquenti”), essa ritiene che occorrano “una normativa statale con una portata generalizzata”, verifiche periodiche sull’appartenenza dei dipendenti pubblici ad associazioni, con pene severe per dichiarazioni reticenti o mendaci, e l’estensione dell’investigazione da Sicilia e Calabria all’intero Paese, su “reati spia” e sui “fattori di rischio derivanti dall’appartenenza alla massoneria o ad altre associazioni similari”.
Esattamente come fece il regime fascista, che nel 1925-1926 annientò la massoneria e nel 1938 impose l’autoscioglimento ai Rotary, sorti dal 1923 e rimasti sempre invisi alla chiesa di Roma. La Commissione ha ritenuto bene di farsi forte di padre Francesco S.J, saltem papa, ricordando che questi “ha respinto le credenziali di un ambasciatore straniero presso la Santa Sede perché iscritto alla massoneria”. E all’Italia che importa? Deve forse lo Stato prendere norma dalla condotta della Città del Vaticano?
In sintesi, la Relazione mira ad abolire la libertà di associazione che è tutt’uno con quella politica. Se manca una legge sulle associazioni non è certo colpa della massoneria, che la chiede da decenni, sull’esempio della Francia che se ne dotò dal 1901 e di Paesi quali la Gran Bretagna e le Americhe, ove la massoneria è libera, a differenza di quanto accade in quasi tutti i Paesi islamici, ove i massoni sono perseguitati.
La “Commissione antimafia” ha un antecedente illustre al quale sicuramente si ispira la sig.na on. Rosi Bindi: Tina Anselmi. Nel diario pubblicato a cura di Anna Vinci (“La P2 nei Diari Segreti”, ed. Chiarelettere) la famosa “staffetta partigiana” annotò il “compito storico” fatto proprio quale presidente della Commissione parlamentare d’Inchiesta sulla loggia massonica P2: “con la giustizia determinare il cambiamento di una parte della classe dirigente del paese, compresa quella della DC” (pag. 18). Dovevano sopravvivere solo i comunisti e i loro accoliti. Quella commissione fece da pedana al salto successivo: Tangentopoli. Epperciò si dotò anche di “quattro esperti, presi su indicazione del PCI e della DC”: non liberali, repubblicani, socialdemocratici o socialisti, né, semplicemente, storici senza etichetta. Gli “esperti” dovevano essere “all’obbedienza”: non del Grande Architetto ma dei partiti di potere. Della greppia. Di quali esperti si è valsa la Commissione Bindi?
La Relazione Anselmi, impastata di congetture e scientificamente irrilevante, passò solo a maggioranza: ne vennero pubblicate altre cinque “di minoranza”, in forte dissenso con la prima. La Relazione Bindi, invece, è stata approvata all’unanimità: il che conferma la fatuità culturale di tanti “rappresentanti della nazione”, inconsapevoli – per stanchezza? per indifferenza? per pochezza? – che all’estero (e quindi già a partire dall’altra riva del Tevere) tale Relazione raccoglie solo il plauso dei fondamentalisti.
di Aldo A. Mola