Il licenziamento in diretta di una presentatrice perché non aveva interrotto un ospite sgradito ai potenti mostra come in Egitto una delle libertà fondamentali: quella di parola sia ancora ben lontana dall’essere stata conquistata
Licenziata in diretta. È accaduto alla presentatrice egiziana Rana Al-Duwaik del canale privato Faraeen, sorto nel 2008. Il proprietario della televisione, Tawfiq Okasha, ha interrotto con una telefonata il dialogo della Duwaik con un ospite, esperto di materie giudiriche, e le ha detto:
“Ma che stai facendo? Perché continui questa conversazione? Perché non l’hai ancora interrotto?”
Al che la ragazza, visibilmente smarrita, ha replicato:
“Ha appena cominciato a parlare”.
“Basta” le ha bruscamente ingiunto lui, con voce calma ma perentoria. “Chiudi la trasmissione, vattene e impara il mestiere”.
La Duwaik – volto atterrito, principio di balbuzie – ha annuito senza fare commenti. Dopo un lungo attimo di pausa ha bofonchiato:
“Cari ascoltatori, interrompiamo qui la nostra trasmissione, grazie per l’ascolto e arrivederci”.
Si tratta, dicono i ben informati, del primo caso del genere nella storia dei media arabi.
È vero, casi simili si sono presentati anche in passato. Mia moglie, per esempio, del canale privato Al Tahrir, è stata di recente costretta a sospendere una trasmissione perché sorpresa dal direttore dei programmi in lite con un ospite (noto sostenitore di El-Sisi e quindi gradito ai proprietari del canale). Ma nel caso della presentatrice Rana Al-Duwaik tutto è avvenuto in diretta e sotto gli occhi allibiti degli spettatori. Soprattutto senza una chiara motivazione oltre all’ostilità manifestata dal “pazzoide” – così viene definito su Twitter Okasha – nei confronti dell’ospite in questione.
Ora, una decisione presa d’imperio a questo modo impone una serie di riflessioni.
Innanzitutto, come sono organizzati i rapporti gerarchici qui in Egitto? La risposta è una sola: in maniera ferrea. Come ormai da decenni non avviene più in Occidente, qui vige ancora la regola secondo la quale il superiore ordina impunemente al subalterno e costui a chi gli è sottoposto, e via di questo passo fino all’ultimo dei paria. La gerarchia è rispettata tapinamente: diritti sindacali e quant’altro giocano un ruolo molto relativo. Dal vertice della piramide – il Presidente della Repubblica – allo stuolo dei dirigenti pubblici e privati (passando naturalmente per le grandi cariche politiche) non è affatto inusuale osservare un atteggiamento di tipo autoritaristico, faraonico, in chiunque disponga di qualche coriandolo di potere.
Il caso Duwaik-Okasha mette però in luce un altro aspetto non meno importante: la sopravvivenza – e anzi il ritorno in auge – del vecchio regime e dei suoi automatismi. Un ripristino della reazione che ha in personaggi come Tawfiq Okasha una sorta di paradigma.
Mubarakiano di ferro, strenuo oppositore della rivoluzione e dei movimenti giovanili liberali e progressisti che l’hanno promossa, Okasha incarna di fatto il vecchio che avanza: quella classe imprenditoriale oligarchica che, con la caduta di Morsi e l’irrompere sulla scena dei militari, è tornata a fare il bello e il cattivo tempo in Egitto.
Terzo elemento da sottolineare è che in questo stato di cose la libertà dei media è ormai sotto ostaggio. Tranne rare e luminose eccezioni – i canali OnTv e Cbc, per esempio, pure proni di recente a una “intervista-zerbino” al candidato alla presidenza Abdel Fattah El-Sisi – la quasi totalità delle televisioni e dei media pubblici e privati egiziani sono al servizio della propaganda elettorale dei militari e della loro punta di diamante: El-Sisi. Assistere a un dibattito aperto e democratico è diventato pertanto praticamente illusorio. Censura – ma soprattutto autocensura – la fanno da padrone, e la “sisilatria” si è definitivamente convertita in una propaganda a tutto campo su qualsiasi media intenda procedere indisturbato all’interno della scena informativa egiziana.
Insomma, il caso in questione è un esempio di semplice prepotenza manageriale. Ma le implicazioni che porta con sé sono profonde e gravi. Quello che è accaduto alla povera Rana Al-Duwaik è la prova che – banditi, giustamente, i Fratelli musulmani dallo scacchiere politico – ormai non resta più che una sola alternativa: o stare con la classe imprenditoriale collusa con gli interessi della giunta militare o essere esclusi dal dibattito politico.
Marco Alloni