“In Russia abbiamo un proverbio: il potere conta più del denaro”
Mikhail Khodorkovsky a Isabelle Kumar
“Se il Colosseo fosse in Antartide, sarebbe pieno di pinguini”
George Soros
Il falso e l’autentico si incontrano; a determinare l’incontro tra falso e autentico è il “punto di equilibrio”. Ma non c’è dubbio che il problema – irrisolvibile tout court – è stato risolto cinematograficamente da Martin Scorsese (solo un artista poteva farlo) nel film “The Departed – Il bene e il male” con Jack Nicholson, Leonardo Di Caprio e Matt Damon, un’opera magistrale.
Che cos’è il “concetto di equilibrio”?
In una parola, è il fatto di avere all’incirca ragione sbagliando. “Preferisco avere all’incirca ragione, che precisamente torto” è stata la battuta di John Maynard Keynes tra le sue più potenti: il problema è che egli lo ha pagato con la vita, poiché – presentando la sua teoria sotto forma di idea universalmente valida – non ha tenuto conto del fatto che la realtà è superiore per importanza alla ragione.
Chi ha il privilegio – a questo mondo – di avere all’incirca ragione, lo può pagare con la vita proprio atteso il fatto che le realtà soggettive interagiscono con le realtà oggettive.
Dunque, qual è stato il grande merito di George Soros? Di aver presentato la teoria della riflessività nel solco di Karl Popper, argomento troppo impegnativo per un libro figuriamoci per un articolo (sic!).
Qui basti dire che tutte le costruzioni umane sono “intrinsecamente imperfette” e vanno subordinate alla riflessività dei fenomeni umani, in quanto la nostra conoscenza – informata all’illusione del “Ego cogito, ergo sum sive existo” di René Descartes Cartesio – è limitata, e dobbiamo tendere al miglioramento senza fine della nostra società, del quale il presupposto indefettibile è il passaggio dalla Ragione alla Fallibilità; argomento tutt’altro che da sesso degli angeli, in quanto 1) il carteggio tra Sigmund Freud e Albert Einstein alla voce “Perché l’uomo fa la guerra? Einstein chiede, Freud spiega”, pubblicato dal raffinato Antonello Caporale su Il Fatto Quotidiano, è stato superato da George Soros: “La condizione ideale sarebbe naturalmente una comunità umana che avesse assoggettato la sua vita pulsionale alla dittatura della ragione. Ma secondo ogni probabilità questa è una speranza utopistica”; orbene, la risposta data da Freud ad Einstein entra irrimediabilmente in contrasto con la teoria della riflessività, per la quale la ragione è nella realtà, non è la realtà (sic!); 2) la persecuzione di Galileo Galilei si ricollega all’“eterno ritorno dell’uguale” dei giorni nostri nel respingimento autoritario e arrogante delle verità che non ci piacciono, come è il caso di Ilaria Capua. Mentre sono le verità che non ci piacciono che dovremmo accettare, così da agevolare la trasformazione delle terribili “società chiuse” nelle “società aperte” che tendono ad un miglioramento senza fine.
Il limite della meravigliosa teoria della riflessività è che tende essa stessa a cedere sul “concetto di equilibrio”, cioè sulla sua rivelazione come universalmente valida: se si considera che la realtà è ambigua e complessa – e certamente lo è! – in maniera teoretica “a fortiori”, si può essere indotti a commettere l’errore addirittura di favorire comportamenti criminali quando si deve scegliere se stare dalla parte delle guardie o dei ladri senza ambigui tentennamenti.
Per esempio, l’affermazione ambigua di George Soros sul sexgate di Bill Clinton che quasi gli costò la Presidenza non è sottoscrivibile tout court (Eugenio Scalfari avrebbe detto che Soros eguagliava il cerchiobottismo di Sergio Romano), contenuta nel libro “La crisi del capitalismo globale”: “La persecuzione contro il presidente Bill Clinton, e il possibile atto d’accusa nei suoi confronti appaiono, in questo contesto, reazioni altrettanto violente nella direzione opposta. Secondo me, sia Clinton sia il procuratore indipendente Kenneth W. Starr sono in torto, salvo che il comportamento di Starr è molto più pericoloso per la Costituzione di quello di Clinton.”
E’ un errore: il comportamento di Kenneth W. Starr e di Bill Clinton non possono essere messi sullo stesso piano, ma questa ipotesi falsa è stata condizionata dall’adesione ideologica di George Soros alla teoria della riflessività. Si possono mettere Bettino Craxi e Antonio Di Pietro sullo stesso piano? Tuttavia resta il fatto che Soros ha avuto l’intuizione geniale di sostituire la Ragione con la Fallibilità, inaugurando il superamento dell’Illuminismo che è stato sconfessato dai fatti duecento anni dopo la fine dell’assolutismo “veluti si Deus daretur”.
Quella che Paolo Flores d’Arcais chiama “l’overdose di Montesquieu” che era il sogno dei fanatici alla Robespierre e Rosseau non è null’altro che la finzione dell’autos nomos che non è un principio universalmente valido, solo che si ponga mente al fatto che la Rivoluzione francese del 1789 si è risolta nel bagno di sangue del giacobinismo del terrore.
Scusatemi queste riflessioni in libertà, che sono certamente condizionate (anche) dalle mie sindromi maniacali di tipo II, ma Soros ci insegna che le emozioni fanno parte della realtà e condizionano i nostri comportamenti: il finanziere ungaro-americano che nel 1979 ha aperto le fondazioni della Opening Society, si rese conto da “market operator” ipomaniacale che poteva perdere svariati miliardi sul terreno da giuoco dei mercati finanziari in quanto le emozioni alla base dei suoi investimenti lo facevano sbagliare (sic!), e questa stessa valutazione mediata dalla cosiddetta “proiezione” è stata l’incipit della teoria della riflessività da egli presentata; chapeau, ecco la bellezza del genio che della proiezione si alimenta, da Sigmund Freud a George Soros. Tuttavia l’errore che gli psicologi fanno è di elevare la proiezione al punto di equilibrio. La proiezione non è la realtà, è parte della realtà.
Arriviamo a Mikhail Borisovic Khodorkovsky, che in questi giorni è impegnato anima e corpo nella guerra civile che sta dilaniando la Russia, ed è scomparso dalla scena ufficiale proprio per questo (a dirmelo quasi imbarazzato è stato Maurizio Molinari): la situazione del caso Ucraina è tale per cui o Khodorkovsky con i suoi uomini riesce a sbarazzarsi di Putin attraverso un colpo di Stato, o Putin userà le armi nucleari tattiche in Ucraina tertium non datur. Staremo a vedere; “Events, my dear boy. Only events”, sayd Harold Mac Millan a quel tale che lo intervistava.
Orbene, un fatto è certo: l’ex oligarca resiliente alla prigionia in Siberia per ben 10 anni – ma le difficoltà aguzzano l’ingegno – ha fatto sua la teoria della riflessività come manifesto di Weltanschauung, in un’intervista molto bella a Isabelle Kumar.
Pertanto, intendo incastrare l’enigmatico Khodorkovsky – che secondo me è ancora pericoloso nei suoi arcani istinti criminali – ai fatti più importanti dell’analisi proposta alla giornalista di Euronews Global Conversation, “impiccandolo” – se così si può dire – alle sue affermazioni, “senza cedere alla trappola sofista di anteporre la forma alla sostanza” per dirla alla Alberto Bisin; forse posso io stesso commettere degli errori, ma varrebbe la pena di commetterli.
“Le parole hanno un senso”, come dice Nanni Moretti. Quanto scommettiamo che Putin finirà recluso in un ospedale psichiatrico, e che sarà Khodorkovsky in persona a portargli le medicine?
Isabelle Kumar: “Che le piaccia o no, lei resta il simbolo della classe degli oligarchi di Russia.
Quanto è influente oggi quella classe? Esercita ancora un potere?”
Khodorkovsky: “A mio parere l’idea stessa che gli oligarchi russi siano influenti è stata messa nella testa dei russi, con successo, e anche nella testa dei colleghi occidentali, da Boris Berezovsky. Ma in realtà la Russia è un paese completamente diverso. Sono il potere, le autorità i responsabili del denaro nel nostro Paese, non il contrario. Né ai tempi di Eltsin né in quelli di Putin i ricchi avevano influenza sulle decisioni politiche. Per questo, il tentativo di fare pressione sull’entourage di Putin con le sanzioni per dirgli cosa fare, è un tentativo destinato al fallimento sin dall’inizio. Naturalmente quelle sanzioni legano le mani dello stesso Putin privandolo della possibilità di ricompensare i propri compari. E’ così che funziona, non il contrario.
Isabelle Kumar: “Davvero? Non crede che quanto le è accaduto ha provocato il panico fra quelle persone? Anche se lei sostiene il contrario, quelle persone erano abbastanza influenti in Russia. Quello che le è accaduto ha spaventato la classe degli oligarchi in Russia e fuori dal paese?”
Khodorkovsky: “Vorrei riformulare la mia posizione. I ricchi in Russia non hanno mai avuto un vero e proprio potere, paragonato a quello del Cremlino. Il Cremlino di Eltsin, il Cremlino di Putin determina il comportamento politico del Paese. Abbiamo un proverbio in Russia per dire che il potere conta più del denaro. E’ così che funziona in Russia…”.
Orbene, la versione data da Khodorkovsky a Isabelle Kumar su Boris Berezovsky – un “infame oligarca”, per citare il commento di George Soros, morto suicida a Londra tagliandosi la gola nel marzo del 2013 dopo aver consumato un patrimonio da 10 miliardi di dollari a droga e puttane – è menzognera nella sua eccessiva ambiguità e costerà cara allo stesso Khodorkovsky, una volta che dovesse insediarsi al Cremlino e interloquire alla pari con Roman Abramovic e soci: “Né ai tempi di Eltsin né in quelli di Putin i ricchi avevano influenza sulle decisioni politiche…”. Ma Berezovsky, che era collegato alla mafia russa, tentò di avere influenza sulle decisioni politiche, con la “strategia della tensione” mafio-terroristica: tuttavia senza successo, proprio perché – per citare le parole di Khodorkovsky – “sono il potere, le autorità responsabili del denaro nel nostro Paese, non il contrario” (cioè Putin, ndr). Ma è un fatto che Berezovsky ordinò di buttare giù una palazzina a Mosca che ospitava 3000 persone uccise nel sonno, allo scopo di portare Vladimir Putin – all’epoca sconosciuto direttore dei servizi di sicurezza federali – alla successione di Boris Eltsin, e così da proteggere i propri loschi affari e dei compari oligarchi: la manovra diabolica da “guerra psicologica” paragonata da Soros all’incendio del Reichstag da parte del Partito Nazista in effetti contribuì a portare Putin al potere come l’eroe della guerra alla Cecenia, nella stessa misura in cui il ritardo nella liberazione degli ostaggi detenuti nell’ambasciata di Teheran contribuì a portare Reagan alla Casa Bianca (quasi ammazzato 4 mesi dopo!); ma una volta insediato al Cremlino l’“uomo senza volto” ha fatto arrestare Berezovsky – che aveva dunque tentato un’estorsione mafiosa in suo danno (io ti mando al potere ma tu sei mio, in sostanza) – e ha poi avviato la guerra agli oligarchi costringendoli ad un patto che era la risposta violenta al metodo Berezovsky: o voi accettate che io sono il potere politico e che voi oligarchi non avete influenza sulle decisioni politiche, o io vi faccio mettere in galera, e i reati commessi da “white collar crimes” dei capitalisti senza capitali erano oggettivamente impressionanti: lo sa bene l’esperto antimafia Pino Arlacchi, persona dal tratto ambiguo ma che ha profonda conoscenza del dossier Russia, e fu chiamato a collaborare come esperto anticrimine contro i capibastone dagli uomini dell’entourage di Putin; non è chiaro se lo stesso Khodorkovsky fosse corresponsabile dell’attentato alla palazzina, o ne fosse comunque stato messo al corrente come persona informata sui fatti: in ogni caso, non lo sapremo mai, ma come diceva Giulio Andreotti “A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina”.
Quando uno fa parte della mafia nega di farne parte, con il trucco della rimozione: ma il “diniego” fa parte del genio, da Berezovsky a Khodorkovsky.
Khodorkovsky reinterpreta questi stessi fatti a Isabelle Kumar, come persona cambiata rispetto a prima della prigione – dice –, cioè da fondatore di Open Russia che è una costola della “Opening Society”, e chi scrive gli crede: il punto è che è in assoluta buona fede: “… Non credo di aver rappresentato una minaccia politica per il presidente Putin nel 2003 perché ero psicologicamente parte del sistema. All’epoca pensavo a come favorire lo sviluppo industriale e a come favorire lo sviluppo della società civile, ma non avvertivo l’urgenza di un impegno politico. Credevo che altri si sarebbero occupati della politica. Quando sono uscito di prigione, ero una persona diversa. Adesso non mi interessano più gli affari, ma il futuro della Russia ed è un futuro che riesco a vedere chiaramente. Voglio che la Russia diventi un Paese democratico e so che cosa serve perché questo accada. A giudicare dalla pressione che viene esercitata su di me, direi che anche Putin considera efficaci i miei sforzi…”. Un sorriso compiaciuto compare sulla “faccia d’angelo” di Khodorkovsky.
Un capolavoro di ambiguità, questa frase. Non trovate?
E arriviamo ai diari di George Soros, dove – nella poliedricità degli argomenti trattati: “Essere molte cose significa essere nessuno: lo dice Kant”, per citare un passaggio de “Relazione intima” di Romain Gary, che forse era troppe cose – si occupa anche di Boris Berezovskij; orbene, la “non-coincidenza” tra la versione del Citizen K e quella di Soros è un fatto che forse è noto soltanto agli addetti ai lavori. Da “La crisi del capitalismo globale”, nel capitolo “Chi ha rovinato la Russia?”; mi scuso per la brutalità delle sintesi dei diari di Soros, che nel suo tratto ingenuo e di grande umiltà non diffusa tra i suoi stessi interlocutori (sic!), rappresenta un modello per chi scrive: “… (Berezovskij, ndr) Teneva in pugno Eltsin grazie ai favori illeciti che aveva predisposto a vantaggio della sua famiglia. Ad esempio, aveva fatto del genero di Eltsin un manager dell’Aeroflot, i ricavi in valuta pregiata della compagnia aerea venivano stornati in una società svizzera chiamata Forus, la quale, come mi è stato spiegato, significava proprio “per noi” (è come dire “for us”, Cosa Nostra; non è proprio il pensiero di Khodorkovsky, che ha detto che i ricchi non comandano in Russia ma è il potere politico che decide del denaro!, ndr). Questo gli conferiva un potere su Eltsin di cui nessun altro oligarca godeva. Aveva strumenti per condizionare (Anatoly, ndr) Chubais, e quando le cose si sono messe male non ha esitato a farne uso…”. Corruzione, per essere chiari. “E’ questa la prospettiva da cui guardo gli eventi successivi. Berezovskij e la famiglia Eltsin stavano cercando un modo per perpetuare l’impunità durante l’amministrazione Eltsin. Hanno fatto tentativi disparati, alcuni dei quali davvero ridicoli… La situazione di Berezovskij è diventata disperata nel 1999, quando è scoppiato lo scandalo del riciclaggio di denaro sporco nelle banche statunitensi; l’episodio gli ha fatto capire che non poteva più trovare rifugio in Occidente (lo scandalo del riciclaggio tout court è da chiarire: gli oligarchi avevano fatto le loro fortune non con i soldi della mafia, ma defraudando i buoni del Tesoro dei lavoratori con il trucco dei “prestiti contro azioni”, e poi i profitti sono stati reinvestiti nelle attività criminali: il reinvestimento di denaro esiste, ma è incompatibile con un’economia legale, ndr). In un modo o nell’altro doveva trovare un successore di Eltsin che lo proteggesse. Allora è stato architettato il piano per sostenere la candidatura di Putin… Comunque, non potevo proprio credere che le esplosioni negli edifici di Mosca potessero far parte di un piano per giustificare la guerra. Era fin troppo diabolico. Non sarebbe stato un caso unico – la storia russa è piena di crimini commessi da agenti provocatori, dalla spia Azev nell’epoca zarista all’assassinio di Kirov, addotto a pretesto per scatenare le purghe staliniane –, ma avrebbe comunque costituito una categoria a sé. Tuttavia non potevo escludere quella possibilità. Nell’ottica di Berezovskij quegli attentati avrebbero aiutato a eleggere un presidente che avrebbe procurato un salvacondotto a Eltsin e alla sua famiglia, ma avrebbero anche consentito a Berezovskij di avere un’arma di ricatto contro Putin. Per ora non è venuto a galla niente che possa contraddire questa teoria. Potremmo non scoprire mai la verità sulle esplosioni di Mosca, ma non c’è dubbio che la guerra in Cecenia ha spinto Putin verso la vittoria. Trovo tutto ciò a dir poco angosciante…”. Concludeva nel 1999 nei suoi “diari personali” che costituiranno poi i bestseller: “Putin cercherà di restaurare uno Stato forte, e forse ci riuscirà. Per molti aspetti, ciò sarebbe desiderabile. Come ci ha insegnato l’esperienza russa, uno Stato debole può minacciare la libertà. Un’autorità che sappia far rispettare le regole è indispensabile per il funzionamento di un’economia di mercato…”. Poi c’è stata l’aggressione all’Ucraina, che però è seguita all’invasione filonazista del Donbass nel 2014 da parte dell’esercito ucraino che era l’anticamera dell’assalto putiniano alla Crimea, in uno scenario sorprendentemente simile al 1914-’18: ieri la Belle èpoque 1870-1914 si riversava nella Prima Guerra morendo per consunzione con l’assassinio dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo; oggi la Silicon valley bank 1980-2022 si rovescia in Ucraina; dobbiamo sostituire la Ragione con la Fallibilità, anche se poi bisogna decidere da che parte stare.
Se c’è una cosa che Freud, un genio pieno di difetti, ci ha insegnato è la “coazione a ripetere” dell’errore: Khodorkovsky nel 2003 fu ingenuo a rivaleggiare con Putin pensando di poter arrivare al Cremlino – dove c’era un ex agente Kgb –, oggi è ingenuo a pensare di poter controllare gli oligarchi che hanno tutto l’interesse sì a rovesciare Putin con una rivoluzione, ma subordinano la Russia al prisma dei loro interessi personali e di portafoglio.
La mafia non è compatibile con il free trade. Ma l’analisi di Giovanni Falcone a Claudio Martelli, dopo un volo a Mosca nel 1992, è stata superata dai fatti: “La mafia è andata al potere in Russia”; non è successo né con Boris Eltsin, né con Vladimir Putin. Falcone era ingenuo.
E’ un’illusione pensare di poter indirizzare uno come Roman Abramovic – con il quale avrei paura francamente a prendere il caffè – alla trasparenza della concorrenza.
Comunque vada, Khodorkovsky imprigionato sine die nelle sue contraddizioni biografiche, non ne uscirà vivo.
“E tutto tornerà come prima”, per citare il finale mozzafiato dello sceneggiatore Lino Jannuzzi nel film di Francesco Rosi “Lucky Luciano – Il padrino americano”.
E’ la storia del mondo.
di Alexander Bush