MIKHAIL KHODORKOVSKY, PIU’ MALEDETTO CHE CRIMINALE L’ex oligarca è schiacciato sul “punto di equilibrio” tra Roman Abramovic e Vladimir Putin

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“Forse perché reduce dalla disastrosa alluvione della Romagna, per l’Italia dovrebbe essere più facile identificarsi nel dramma della diga colpita in Ucraina: il rischio di inondazioni in tutta la regione di Kherson, il pericolo di morte per 40 mila civili ucraini che potrebbero ritrovarsi sommersi dall’acqua.”
“Un crimine alla Stalin”, Enrico Franceschini

La distruzione della diga sul Dnepr rischio Vajont come ha titolato “la Repubblica” di Maurizio Molinari non è opera di Vladimir Putin, che ha le ore contate nella Fiera della vanità: ormai è come un topo in un angolo, per chiedergli il copyright. E chi scrive, che ha avuto un ruolo nella “covert action” che ha contribuito al mandato d’arresto nei suoi confronti, curiosamente ora si trova a difenderlo (sic!): si, avete capito bene. Putin non c’entra niente con questa storia; così come non c’entrava niente con l’attentato alla palazzina a Mosca nel 1999 che costò la vita a 3000 persone uccise nel sonno, in modo da assicurargli l’ascesa al Cremlino da oscuro direttore dei servizi di sicurezza federali: era un’idea diabolica di Boris Berezovskij, per avere un’arma di ricatto nei suoi confronti. Ma quando Vladimir, ex agente Kgb, l’“Asperger senza volto”, al Cremlino c’è arrivato – non con l’attentato, ma la covert action terroristica della mafia russa era compatibile con il suo insediamento a capo della Presidenza russa –, ha fatto arrestare Berezovskij e ha dichiarato guerra al cartello degli oligarchi. Una delle vittime di questa guerra è stato l’allora trentottenne Mikhail Khodorkovsky, che ha pagato un prezzo minore di Berezovskij.
10 anni di carcere in Siberia sarebbero stati un vulnus tollerabile, rispetto al suicidio di Berezovskij che era in una situazione disperata nel 2013 a Londra dopo che il suo patrimonio era stato divorato da Roman Abramovic, il più pericoloso criminale oggi in circolazione nel mondo. Tanto normale quanto bastardo. La vicenda dell’ex direttore della Yukos – “je ne suis plus un insider du pouvoir russe” – è paragonabile al film “Papillon”, ma al remake di Michael Noer, non alla versione prima e precisamente al momento dell’arresto di Henry Charrière. Khodorkovsky è un rompicapo, un enigma dentro un mistero ma ha interiorizzato il principio della riflessività intrinseca ai fenomeni umani a causa dei traumi subiti nella vita e sta vincendo la guerra in Russia, proprio ora che l’impianto di Nova Kakhovska controllato dai russi è stato fatto saltare con danni incalcolabili.
Un crimine di guerra che non ha precedenti dall’annus horribilis 1999, quando Cosa Nostra russa si era illusa di farsi Stato: ma lo Stato era Vladimir, e piegò gli oligarchi con la via giudiziaria al potere. Una sorta di Mani Pulite russa, che coinvolse Pino Arlacchi come consulente estero: da collaboratore di Giovanni Falcone, a collaboratore di Vladimir.
Russia e Italia, come si somigliano: la tragedia di due paesi arretrati che non hanno giocato la carta dell’occidentalizzazione ma stanno tentando di giuocarla, e si trovano tra i venti dello Zeitstil.
Sospese tra successo e fallimento, autoritarismo fascista e business as usual.
Apprendo dall’articolo di Brunella Giovara:

“Due uomini su un gommone, stravolti, gridano al nulla: “Gente! C’è qualcuno? Uscite!”. Ma nessuno risponde, la periferia di Nova Kakhovka sembra deserta, i remi sfiorano le foglie degli alberi, l’acqua sta già toccando le finestre dei primi piani e arriverà ai tetti. “Katastròfa!”, si sente un’altra voce gridare, questa è la nuova catastrofe che si abbatte su un Paese già disgraziato, l’alluvione che si mescola alla guerra, la gente che muore nella corrente mostruosa del Dnepr, gli animali che urlano e moriranno tra poco, i colpi di mortaio dei russi. Le mine anticarro, trascinate via, esplodono con altri boati. Chi è stato, a far saltare in aria la grande diga di Kakhovka?
Questi sono gli effetti di un’idea diabolica: sommergere completamente la regione di Kherson.
Chi è sopravvissuto ai bombardamenti, adesso può morire annegato in uno dei più grandi fiumi d’Europa, e nessuno può farci granchè. E l’allarme è stato quasi inutile. Alle 2,50 della notte tra lunedì e martedì una grande esplosione ha svegliato chi per caso dormiva (la zona è sempre sotto bombardamento). Il fiume è il fronte, sulla sponda destra gli ucraini, sulla sinistra i russi occupanti. La diga è in mano ai russi dall’inizio della guerra, così come la centrale atomica di Energodar, che è 100 chilometri a monte. Come effetto, un Vajont, per chi se lo ricorda.
Una enorme massa d’acqua che esplode, travolge e trascina ogni cosa. Le case, viste andarsene verso la distruzione definitiva. Vacche e cavalli, rotolanti nella corrente. Umani, urlanti. Non si sa quanti morti. Il presidente Zelensky riunisce il Consiglio di sicurezza. “E’ un attacco terroristico. Ora faremo di tutto per salvare le persone, con tutti i servizi, militari, governo, uffici”. Ci vorrebbe l’esercito, ma la controffensiva per riconquistare i territori russificati impegna i militari sul fronte del sud e a est. E i russi dicono di non essere stati loro, ma chi si prenderebbe la colpa di questo disastro, nero su bianco. “Gli ucraini vogliono togliere l’acqua alla Crimea”, perché da lì parte il grande canale Krymsky che rifornisce la penisola occupata…”.

Chi è stato allora a compiere questo delitto che favorisce il deficit spending tanto caro a John Maynard Keynes nel New Deal dell’Ucraina? Abramovic, il degno erede di Berezovskij è venuto incontro all’auspicio di Mario Draghi al MIT, Massachusetts Institute of Technology: “non possiamo permettere che gli Stati Uniti perdano la guerra”. Whatever it takes.
L’isolamento di Putin diventa ora totale, e la sua destituzione non è più un’opzione. Diventa realtà.
Abramovic vuole avere un’arma di ricatto contro Khodorkovsky: io ti faccio diventare Presidente, tu sei mio. Sei di mia proprietà. Un’offerta che non si può rifiutare: il Padrino di Michael Corleone.
Facciamo un passo indietro. Scriveva George Soros nei suoi libri per la Società Aperta (ripubblico alcuni passaggi): “… La situazione di Berezovskij è diventata disperata nel 1999, quando è scoppiato lo scandalo del riciclaggio di denaro sporco russo nelle banche statunitensi; l’episodio gli ha fatto capire che non poteva più trovare rifugio in Occidente. In un modo o nell’altro doveva trovare un successore di Eltsin che lo proteggesse. Allora è stato architettato il piano per sostenere la candidatura di Putin. Nel volo da Sochi a Mosca del 1997, Berezovskij mi aveva raccontato come aveva prezzolato i capi militari antirussi in Cecenia e in Abkhazia. Così, quando il leader ceceno Shamil Basayev ha invaso il Dagestan, ho fiutato l’imbroglio. Era semplice da smascherare: Basayev si sarebbe ritirato entro il termine posto da Putin? Lo ha fatto. Comunque, non potevo proprio credere che le esplosioni negli edifici di Mosca potessero far parte di un piano per giustificare la guerra. Era fin troppo diabolico. Non sarebbe stato un caso unico – la storia russa è piena di crimini commessi da agenti provocatori, dalla spia Azev nell’epoca zarista all’assassinio di Kirov, addotto a pretesto per scatenare le purghe staliniane –, ma avrebbe comunque costituito una categoria a sé. Tuttavia non potevo escludere quella possibilità. Nell’ottica di Berezovskij quegli attentati avevano una logica: non solo avrebbero aiutato a eleggere un presidente che avrebbe procurato un salvacondotto a Eltsin e alla sua famiglia, ma avrebbero anche consentito a Berezovskij di avere un’arma di ricatto contro Putin. Per ora non è venuto a galla niente che possa contraddire questa teoria.
Potremmo non scoprire mai la verità sulle esplosioni di Mosca, ma non c’è dubbio che la guerra in Cecenia ha spinto Putin verso la vittoria. Trovo tutto ciò a dir poco angosciante.
Tra il 1994 e il 1996, durante la guerra cecena, la popolazione russa era rimasta sconvolta vedendo in TV la devastazione e il dolore causati dall’invasione della Cecenia. Le proteste delle madri dei soldati di leva e degli attivisti dei diritti umani come Sergeij Kovalev, avevano contribuito a determinare una soluzione negoziale.
Stavolta la reazione della popolazione russa è stata l’opposto. E’ chiaro che i terroristi ceceni devono accollarsi una grande parte della colpa; hanno catturato cooperatori e giornalisti; li hanno tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto e spesso li hanno uccisi. Non è rimasto quasi più nessuno che osi impegnarsi per sostenere i ceceni o per denunciare le atrocità che hanno subito…”.

Ora Abramovic tenta “due piccioni con una fava”, come dicono a Palermo: distruggere Putin, e tenere in ostaggio il leader di Open Russia.
Il quale – per giunta – non ha il profilo antisociale di Roman, ma è un ex criminale alla Stefano Bontate (Giuseppe Carlo Marino parlava della “bontà dei Bontate” schiacciata dalla ferocia di Totò Riina, la “banalità del male”).

Sapete come finirà questa storia?
Khodorkovsky riesce a schiacciare Putin ancorchè come l’“utilizzatore finale” della distruzione della diga; non l’ha né favorita né contrastata (ma è contrario ai crimini di guerra): sta “sic et simpliciter” nel mezzo. Egli è afflitto dalla sindrome di hybris, vero giano bifronte: l’orgoglio precede la caduta.
E poi Mikhail tenterà di disfarsi di Roman Abramovic, una volta insediato al Cremlino al posto del Kgb che osò metterlo in Siberia. E infine, Roman senz’anima lo ucciderà senza pietas, non permettendogli la modernizzazione anglosassone della Russia su base reaganiana (tra parentesi, Ronald Reagan stava per essere ucciso poiché si era scordato di favorire gli amici…).
“Ogni uomo ha un solo destino”: per citare Vito Andolini. E il destino dell’uomo che sta andando al potere in Russia è inscritto nel nome.
Grandezza e fragilità. I colori più violenti della vita.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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