Una recensione al libro “La bambina e il sognatore” di Dacia Maraini
Ci può essere qualche rapporto, tra il “Non luogo a procedere” di Magris di cui ho detto alquanto male su queste pagine, e l’appena giunto in libreria “La bambina e il sognatore” di Dacia Maraini, almeno nel senso che si tratta di autori affermati, accolti da un battage pubblicitario estremo per il loro ruolo di opinionisti di grande notorietà; un ruolo, una affermazione in cui riesce difficile stabilire se l’attività narrativa sia un’appendice, o invece una causa promotrice.
Trovato un simile motivo di vicinanza, però i rispettivi percorsi si dividono del tutto. Magris, spinto dalla “noblesse oblige” della sua statura di saggista, e dal fatto che le sue prediche pubbliche insistono su temi come l’antisemitismo, le repressioni del nazismo eccetera, incupisce il suo discorso, rende al lettore il cammino quanto mai faticoso. Invece la Maraini corre il pericolo opposto, in campo narrativo scrive in modo “chiaro limpido”, si potrebbe perfino aggiungere il termine che completa il trio pubblicitario, “Recoaro”, ma certo la lettura, nel suo caso è gradevole, scorrevole.
Nello stesso tempo, c’è sempre in lei la sostenitrice di cause umanitarie, che in definitiva decide di “sceneggiare”. Il romanzo viene a condire con la favola, con la trama, tutta una serie di orrori e nequizie sociali di cui appunto la scrittrice è l’infaticabile fustigatrice a livello di commento etico. In definitiva, questo romanzo è un centone di tutte le cause che affliggono l’infanzia, come ci giungono ogni giorno veicolate dalle mille fonti delle cronache, delle denunce giornalistiche.
Anche nella Maraini, come in Magris, e questo è di nuovo un tratto che li accomuna, c’è l’ansia di fare grande, di non lasciarsi sfuggire, nel caso Maraini, nessuna possibile nequizia inflitta ai bambini in ogni civiltà e parte del mondo. Tutto il testo è in funzione di questa ansia di ingurgitare.
Incominciamo dal “sognatore” che campeggia nel titolo, nulla di più improprio, si tratta di un genitore che ha perso la figlia vittima di leucemia, caso clinico ahimé ben noto cui ancora si stenta a porre rimedio. Da quella morte segue la divisione dalla moglie, anche se balugina uno happy end finale in cui i due si ritroveranno. In un onirismo fiacco, e del tutto funzionale alla trama, il Nani Sapienza protagonista vede una bambina angosciata che chiede aiuto e scompare. Beninteso Freud c’entra ben poco in tutto questo, è appena l’annuncio di un fatto di cronaca, della scomparsa di una bambina in tutto rispondente ai tratti della figlia morta di malattia, Questo è un “attaccapanni” a cui la scrittrice può appendere tutti i casi che ci sono stati illustrati dalle cronache più o meno recenti. E’ stata la madre a cacciar via la figlia, o addirittura a ucciderla, come insinua una malevola vicina? O la bambina è stata rapita, e avviata a qualche mercato orientale che vive sulla prostituzione infantile e sul turismo sessuale dei nostri bravi padri di famiglia? Cose ben note, su cui abbiamo rivolto le nostre pubbliche esecrazioni, ma invano. Mossa dalla sua incontenibile bulimia, la Maraini infila nella calza tutta questa problematica, valendosi di una povera madre anche lei vittima del rapimento di una figlia che parte per l’Oriente a cercare di ritrovarla. Ma se non sbaglio una versione al maschile di una storia del genere ci è stata narrata in un film che si è valso dell’interpretazione robusta di Neelham. Eccetera, come concludere la triste vicenda, quale tra i vari esiti noti attraverso le cronache giornalistiche adottare? C’è dell’abilità, nell’autrice, nel percorrere anche le tappe dell’inchiesta, del “giallo”, infine propende per la soluzione suggerita da quel tale che ha tenuto reclusa la figlia per anni mettendola anche incinta, o del bruto che se ne vuole beare senza neppure violentarla. Anche questa è una soluzione scontata, si usa dire infatti che nei casi di scomparsa di bambini è inutile guardare lontano, bisogna invece andare a frugare negli immediati dintorni, anche se è alquanto inverosimile che, in una comunità ristretta come quella in cui la vicenda è situata, un essere autistico abbia potuto tenere rinchiusa in cantina, all’insaputa di tutti e senza che ne trapelasse alcun indizio, il “tesoro” delle sue libidini perverse. Ammettiamo che c’è qualche piacere e diletto nell’accompagnare il protagonista, e un suo giovane collaboratore, valido sostituto di Rex, lungo le piste ingegnose che portano a concludere nella casella finale questo gioco dell’oca o caccia al tesoro, dopo aver sostato in numerose altre stazioni, tanto per completare un enorme catalogo di tutte le possibilità insite nel dramma dell’infanzia conculcata e repressa.
Dacia Maraini, La bambina e il sognatore, Rizzoli, pp. 411, € 20.
Renato Barilli