“La realtà è ambigua e complessa. Ed è superiore per importanza alla ragione”
George Soros
“Siamo in un’epoca di decadenza? La fine della nostra civiltà è prossima?
Oppure i nostri figli vivranno meglio di noi, e i nipoti meglio dei figli?”
Piero Ottone, Il tramonto della nostra civiltà
“Se dovesse scoppiare una guerra per Taiwan tra Cina, Stati Uniti, Giappone e
Taiwan, è assai probabile che la Corea del Nord cercherebbe di approfittarsi
della situazione e che attaccherebbe la Corea del Sud per cercare di conquistarla.
La posta in gioco è altissima”.
Bill Emmott, “Dall’Ucraina a Gerusalemme l’incubo guerra mondiale”
Ecco a voi la fine dell’ordine democratico post- ’89 in sconfessione tout court della profezia di Francis Fukuyama: la fine della Storia. Il Novecento irrompe nella scena mondiale del 2023 nel peggiore dei modi. Riproponendo “gattopardescamente” la Shoah.
Mesi fa ho sostenuto su Libertates che l’Occidente volge al tramonto in senso “organicista”, entrando nella fase terminale della sua civiltà secondo la tesi spengleriana di Piero Ottone: il cesarismo compare alla fine di una civiltà, nel senso della sospensione autoritativo-fascista delle garanzie democratiche poste a presidio della convivenza civile e l’instaurarsi della dittatura.
Con l’orribile massacro di Hamas che è l’11 settembre di Israele, inizia la III guerra mondiale. Nuovi cesari “gattopardescamente hitleriani” – plus ca change, plus c’est la meme chose – compaiono all’orizzonte, raccogliendo le macerie di ciò che rimane dell’Occidente poiché sono in sintonia con lo Zeitstil; da soli come soggetti indipendenti non ce la farebbero, senza il soccorso dello Spirito dei Tempi che è grave quanto un secolo fa.
Le Cancellerie occidentali soprattutto nella fase Reagan-Bush, hanno commesso un grave errore a non interiorizzare il principio della riflessività tanto caro a George Soros: sostituire la Ragione – che è intrinsecamente fallace – con la Fallibilità, alla luce del fatto che l’Illuminismo è finito, che ci piaccia o no.
Trump in America con un piede in galera (è l’agente di Putin in Usa) e 6 miliardi di debiti e l’altro alla Casa Bianca, Putin in Russia aggredisce l’Ucraina e intende usare “l’opzione nucleare”; un nuovo 1929 è dietro l’angolo per l’economia mondiale; in Francia (dove il nuovo Chamberlain Macron è considerato dall’intelligence americana a libro paga dello zar Vladimir) ci sono prove tecniche di guerra civile con l’aiuto della CIA ed è cominciato inoltre il terrorismo batteriologico con la Sars Covid-19 per bypassare la “relatività di Einstein”: non si usano più le armi nucleari, ma si destabilizzano pezzi di popolazione globale con il terrorismo delle armi non convenzionali. Non dimentichiamo poi l’incognita di Taiwan.
Adesso arriva l’attacco a Israele che – salvando Benjamin Netanyahu dalla galera, e poi vedremo come (sic!), ancorchè persona informata sui fatti ed estraneo al mandato omicidiario della strage – provocherà l’effetto domino: Cina, Russia e Iran finanziano Hamas e staranno dalla parte della Palestina, gli Stati Uniti saranno obbligati a difendere Israele. E le compatibilità securitarie del mondo intero sorto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che conteneva la tragedia dell’Olocausto, si sbricioleranno. Tra parantesi, è gravissimo che la sedicente diplomatica Elena Basile, Ambassador of Italy to Sweden, affermi a Otto e mezzo dalla Lilli Gruber: “Sanno tutti che i presidenti degli Stati Uniti non possono diventarlo senza il sostegno degli ebrei”; ragionamenti da Mein Kampf. E se tornano i ragionamenti da Mein Kampf, è un sintomo del cedimento incipiente degli anticorpi democratici.
Le forze della “masso-mafia” globale – di cui parlava Agostino Cordova, e che costituiscono il nucleo della requisitoria del galantuomo Carlo Palermo a Milano un anno fa a Milano con Giuseppe Lombardo e Piercamillo Davigo, e la presentazione di Gianni Barbacetto – aspirano a portare ledemocrazie occidentali all’annientamento reciproco.
La solidarietà di chi scrive al popolo israelita è totale, senza se e senza ma, anche perché Hamas tiene a libro paga mezza informazione italiana con lo stesso giochino diabolico che ci fu con l’aggressione di Vladimir all’Ucraina: né con la Russia né con l’America. Un tempo si diceva né con le Br, né con lo Stato.
Scrive la Bibbia: “Che il tuo dire sia si si, no no perché il di più viene dal Maligno”.
Gli eredi di Mussolini, giuocatore di provato talento quanto a imbroglio (lo sapeva bene Ignazio Silone) – “dalla neutralità passiva a quella attiva e operante” – vanno a letto con il Diavolo e fanno il giuoco di Hamas. Mettendo abilmente sullo stesso piano aggressori e aggrediti, con tanto di terzismo criminogeno, che è figlio della corruzione nella Tangentopoli globale di Putin.
Spiace che anche un commentatore de “la Repubblica” ed ex conduttore televisivo aderisca a questa prostituzione intellettuale al servizio del Potere.
Ma, si sa, gli intellettuali sono puttane come diceva Montanelli, che non era un intellettuale…
Ammiro sinceramente Travaglio nella sua disinformazione scientifica, denunziata da Piero Grasso: è l’erede di Montanelli, che era l’enfant prodige di Mussolini (anche nel modo di firmare gli articoli con la M).
Come emerge dall’articolo “10 anni di stop and go” pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 18 ottobre: in esso, c’è tutto il rigore di Benito+Indro.
Scriveva Piero Ottone nel suo libro magistrale “Il tramonto della nostra civiltà” edito da Mondadori con previsioni tecnicamente nostradamusiane nel 1994 (il suo cosmopolitismo da uomo snob dava fastidio agli Scalfari provinciali): “… E’ difficile immaginare, nella vita pubblica come in quella privata, situazioni diverse da quelle in cui ci troviamo. Quando abbiamo successo, crediamo che continueremo ad averlo sempre; quando siamo malati, crediamo che non guariremo mai; non riusciamo a immaginare lo stato di salute se siamo sofferenti.
Oggi viviamo nei paesi occidentali in regime di democrazia parlamentare, e diamo per scontato che non cambierà mai: tutt’al più speriamo che migliorerà, che funzionerà meglio. Fukuyama sostiene addirittura che è finita la storia: abbiamo raggiunto tutto quello che potevamo desiderare di raggiungere, abbiamo la forma di governo ideale, ce la terremo per sempre e il grande romanzo di cappa e spada che la storia è finita, punto e basta. Ma si tratta di illusioni. E’ sempre possibile scivolare dalla democrazia alla dittatura. Abbiamo già detto nelle pagine precedenti che nel nostro avvenire possono comparire forme di cesarismo; è infatti il cesarismo la fase finale di una civiltà.
Torniamo sull’argomento, perché esso si collega col tema che abbiamo trattato in questo capitolo, cioè coi rapporti fra l’Occidente e il Terzo Mondo. Ma vediamo di chiarire innanzi tutto che cos’è il cesarismo. In una società indifferenziata, nella quale si sono cancellate le classi sociali, e che ha abbandonato le ideologie perché ha smesso di crederci, chi va al potere? Ci va chi si presenta meglio ai cittadini; chi fa meglio la propaganda sulla propria persona; chi piace di più.
Nei periodi pacifici, gli artifici per piacere di più sono spesso ingenui. Ronald Reagan è diventato presidente degli Stati Uniti perché, attore di professione, sapeva recitare (in un certo senso è successo con Mussolini, nda); aveva inoltre imparato a fare discorsi politici, a pagamento, alla fine dei pranzi, per conto di associazioni. Piacciono i candidati di aspetto giovanile, con la faccia simpatica. Nell’antica Roma erano importanti le apparizioni nel Foro; adesso è decisiva la televisione. Poiché il tempo televisivo costa, occorre molto denaro per comperarlo; una grande disponibilità di denaro è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per vincere. Occorreva denaro anche a Roma. I vincitori devono poi pagare i debiti, con gli interessi: è breve il passo verso la corruzione, coloro che conquistano il potere politico si sdebitano procurando lauti guadagni ai loro sostenitori. In una società decadente, l’elettorato delle metropoli manda dunque al potere i candidati secondo criteri eminentemente personali. Ma finchè la situazione generale è tranquilla sussistono le regole democratiche: l’elettorato è libero di cambiare gli uomini di governo a intervalli regolari… Le cose cambiano quando l’equilibrio sociale è sconvolto. Allora non si scelgono più i candidati secondo il taglio dei capelli… o secondo la radiosità del sorriso. In circostanze burrascose contano i rapporti di forza. E forza significa armi. Quando la pace è in pericolo, quando la gente scende in piazza, e la lotta è senza quartiere, vince chi ha l’esercito dalla sua. Così è avvenuto a Mosca nell’estate del 1993, quando è esploso un conflitto costituzionale fra il presidente e il Parlamento. Così avvenne a Roma, quando Giulio Cesare varcò il Rubicone. Ma chi conquista il potere a questo modo non lo abbandona in seguito a un responso elettorale: lo mantiene fino a quando disporrà della forza che gli ha consentito di conquistarlo. Questo è il cesarismo.”
Concludeva Ottone: “Oggi, l’ipotesi del cesarismo nei paesi avanzati dell’Occidente appare assurda. Ma acquisterebbe consistenza se la pressione del Terzo Mondo, in un modo o nell’altro, sconvolgesse gli equilibri; se creasse situazioni pericolose. Negli Stati Uniti, il Pentagono è un centro di potere distinto dagli altri, con una visione del mondo diversa da quella degli uomini politici, e costituisce in certe circostanze un governo invisibile, alternativo a quello della Casa Bianca.”
Lo abbiamo visto con l’11 settembre del 2001. E le accuse inquietanti dello psichiatra dipartimentale Steve Pieczenick a Paul Wolfowitz di complicità con Al Qaeda.
“Non c’è dubbio”, osservava Ottone nelle ultime pagine del suo libro, “che la Casa Bianca, oggidì, prevale. Quando il generale Mac Arthur, grande vincitore nell’Estremo Oriente, proconsole americano in Giappone nell’immediato dopoguerra, diede segni di insubordinazione, fu prontamente richiamato in patria. Ma i rapporti di forza fra classe politica e classe militare si rovescerebbero nell’ora del pericolo. E’ ingenuo credere che la situazione politica, essendo tranquilla nel presente, rimarrà tranquilla per sempre.”
Era il 1994 quando Piero Ottone scriveva queste riflessioni, senza poter immaginare che oggi Trump rischia una condanna fino a 561 anni di carcere mentre “scommette” sul crollo dell’America impedendo a Biden di fare la spesa in disavanzo. Un’America in bancarotta conviene a The Donald per arrivare alla Casa Bianca: banditismo politico. Tutto questo ha oggettivamente a che fare con il tramonto dell’Occidente come civiltà declinante. Così come Reagan non è stato il mandante del ritiro nella liberazione degli ostaggi americani detenuti nell’ambasciata a Teheran nel 1980, Netanyahu non è stato il mandante della strage di Hamas. Ma ci sono gruppi criminali che fanno pressione rispettivamente su Reagan prima, e Netanyahu poi.
Nessuno ne parla, ma nel settembre del 2023 uscì un’analisi di Renè Backmann su Antimafia Duemila scritta benissimo, che verrà qui essenzialmente riprodotta dal titolo “Israele, tutti contro Netanyahu: “Per noi ormai è un dittatore”, che non lasciava spazio a dubbi: il Primo Ministro di estrema destra di Israele che cavalcò il cadavere di Rabin, era prossimo al carcere. Qualcuno ha deciso di salvarlo con il metodo Berezovskij. Ecco a voi il Caimano d’Israele, l’utilizzatore finale; leggere per credere. L’analisi di Backmann riletta oggi nel post Hamas, fa venire i brividi:
“Tra qualche settimana o mese, Israele potrebbe trovarsi ad affrontare una crisi costituzionale storica. La Corte Suprema ha infatti iniziato a esaminare i ricorsi avanzati contro una parte importante della riforma della giustizia, approvata a luglio dal governo conservatore di Benjamin Netanyahu, che intende attribuire maggiori poteri al primo ministro israeliano, e che ha portato in piazza milioni di oppositori (un israeliano su due). I membri del governo si ritroveranno di fronte a una scelta cruciale: dovranno obbedire ad una legge respinta dalla maggior parte della popolazione oppure rispettare la volontà della Corte Suprema, nel caso in cui dovesse respingere il testo? Netanyahu e i suoi alleati “razzisti-fascisti”, come li ha definiti di recente l’ex direttore del Mossad Tamir Pardo, non sembrano più in grado di contenere la mobilitazione popolare. I manifestanti non si limitano più a denunciare i pericoli che minacciano la “democrazia” israeliana, così come ha funzionato dalla creazione dello Stato nel 1948, ma sollevano anche dubbi sul carattere realmente democratico di uno Stato che ha occupato e colonizzato, per mezzo secolo, la terra di un altro popolo, e che ha deciso di instaurare l’apartheid. I dubbi insinuano anche le istituzioni israeliane. All’inizio di settembre, Gali Baharav-Miara, procuratrice generale di Israele, ha annunciato al primo ministro che avrebbe sostenuto i ricorsi favorevoli alla soppressione della riforma della giustizia. La legge, ha detto, “priverebbe le persone di uno strumento cruciale per difendersi dall’esercizio arbitrario del potere” e porterebbe “il colpo fatale” al “sistema democratico”.
Ecco perché, ha concluso, “non c’è altra scelta che dichiarare nullo” il progetto di legge. Il ministro (Likud) della Cooperazione regionale, David Amsalem, ha definito qualche settimana fa Gali Baharev-Miara “la persona più pericolosa di Israele”. I quindici giudici della Corte Suprema si riuniscono per la prima volta nella storia di Israele dal 12 settembre scorso. Ma la situazione è paradossale: poiché la procuratrice generale è ostile alla legge, è un avvocato privato a difendere il testo del governo davanti alla Corte Suprema. Sorprendente è anche la posizione di Tamir Pardo, direttore del Mossad dal 2011 al 2016, che ad agosto, in un testo sul Yediot Aharonot, non ha nascosto la sua ostilità alla politica del primo ministro, mentre era stato proprio Netanyahu ad averlo nominato capo dei servizi segreti israeliani. Nel 2018 Pardo definì il Mossad “un’organizzazione criminale con la licenza” e si sa che, nel 2011, contestò, con l’appoggio dell’allora capo di stato maggiore Benny Gantz, la decisione di Netanyahu di attaccare l’Iran, un attacco che considerava illegale perché non aveva ottenuto il consenso del governo… Alcuni giorni fa, inoltre, con l’appoggio dei “Comandanti per la Sicurezza di Israele” (Cis), un’organizzazione che riunisce più di 540 alti ufficiali e direttori dei servizi di sicurezza, ha pubblicato un articolo in cui afferma che “ogni giorno avvicina sempre più Israele alla fine del sogno sionista”: “i messianici e i fascisti – ha scritto – hanno legato un blocco ultraortodosso, ultranazionalista e antisionista a Netanyahu e trasformato il suo partito democratico di destra in una formazione autoritaria, razzista e ultraortodossa”… Le parole di Tamir Pardo riflettono l’analisi avanzata dalle circa 2.300 personalità, accademici, intellettuali, artisti, rabbini, israeliani o amici di Israele, che hanno sottoscritto la petizione inviata ai membri delle organizzazioni ebraiche degli Stati Uniti con il titolo “L’elefante nella stanza”. Gli autori del testo notano che “esiste un legame diretto tra il recente attacco di Israele al sistema giudiziario e l’occupazione illegale di milioni di palestinesi… privati di quasi tutti i diritti fondamentali, compresi quelli di voto e di manifestare. Esposti inoltre a una violenza costante: solo quest’anno, le forze israeliane hanno ucciso più di 190 palestinesi in Cisgiordania e Gaza e demolito più di 590. I coloni bruciano, saccheggiano e uccidono, nella totale impunità. Senza uguali diritti per tutti, c’è il pericolo di dittatura”… La popolarità di Netanyahu sta crollando e il primo ministro, un “drogato di sondaggi”, come ha detto una volta un suo ex collaboratore, non può ignorarlo… Un sondaggio di Channel 3 indica che il 56% degli israeliani teme una “guerra interna” e che un terzo sta pensando di lasciare il Paese. Cosa che molti investitori, a quanto pare, hanno già fatto. Un rapporto del ministero delle Finanze ha rivelato che l’ammontare degli investimenti esteri è diminuito del 60% (rispetto al 2022) nel primo trimestre. E Netanyahu rischia di restare deluso se si aspetta il sostegno dell’esercito…”.
Il copyright è di Renè Backmann, settembre 2023
Ecco che arriva la strage di Hamas senza precedenti dalla fine dell’Olocausto, e lo scenario negativo per Netanyahu cambia rovesciandosi a suo favore. Israele ha bisogno di lui. Non è possibile condannarlo ora per i reati fiscali che lo vedono imputato in numerosi procedimenti giudiziari, oltretutto senza aver portato a termine l’agognata riforma della giustizia “ad personam”.
Ma Benjamin, ne siamo sicuri, non c’entra niente con questi crimini contro l’umanità che hanno costato la vita a migliaia di persone, anzi ingenuamente crede di poter usare “due piccioni con una fava”: distruggere Hamas e il blocco fascista-razzista-mafioso che lo tiene prigioniero.
Il problema non è Netanjahu, ma la crisi dell’Occidente.
Mala tempora currunt et pejora premunt etsi Deus non daretur.
di Alexander Bush