“… Emanuela era – ed è – una cittadina vaticana e questo rappresenta un unicum nella storia.
Non esiste un altro caso di scomparsa analogo, una vicenda in cui il Papa si sia preso la briga di intervenire in prima persona. Ci sono tutta una lunga serie di elementi che hanno reso il caso di Emanuela ancora così attuale. E per noi lo è e lo sarà ancora perché finchè non ci saranno elementi che ne proveranno la morte, noi continueremo a cercarla come fosse viva”
Laura Sgrò, avvocato della famiglia Orlandi in contatto con Pippo Calò dall’aprile 2018
Riproduciamo un passaggio decisivo dell’intervista di Andrea Purgatori del 22 aprile 2018 all’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi: “Lei ha fatto una richiesta molto particolare, ad un personaggio che in qualche modo è stato citato nella storia della scomparsa di Emanuela, Pippo Calò, l’ex cassiere di Cosa Nostra in questo momento al regime di 41-bis, detenuto nel carcere di Opera”. “Ci sono stati dei contatti con Pippo Calò, perché degli informatori hanno riportato alla sua persona delle informazioni. Quindi Pippo Calò sarebbe una persona informata sui fatti relativi alla sparizione di Emanuela Orlandi. Per cui l’ho contattato e lui mi ha risposto”. “Cosa ha risposto?” Andrea Purgatori
“Si è detto disponibile a parlarmi”.
“No, no. Io voglio che lei mi legga la lettera” “Gentile avvocatessa Sgrò, non mi sono dimenticato di darle una risposta. Chi le scrive è Giuseppe Calò. Ho avuto problemi a farle la nomina. Con tutti i processi definitivi, e poi mi mancano il numero dei procedimenti. Ho scritto al mio avvocato di Roma, dato che si sta occupando di un paio dei miei procedimenti. E gli ho chiesto di poterle fare una delega. Gli ho spiegato il motivo e di contattarla.
Cordiali saluti”. “Senta, non le sembra abbastanza clamoroso che Calò, che certamente non è persona che diciamo così ha distribuito informazioni e risposte a interrogatori, improvvisamente decida che su questa questione specifica di Emanuela Orlandi, ha voglia di parlare, di dire qualcosa?” “Mi auguro. Ed è per questo, visto che non ho avuto più riscontri, ho chiesto l’autorizzazione all’ingresso in carcere del direttore di Opera. Sono ancora in attesa di una risposta e approfitto di questa circostanza per fare un appello al Ministro degli Interni e al Ministro della Giustizia affinchè mi aiutino a entrare ad Opera. Questo perché sono passati già trentacinque anni dalla scomparsa (di Emanuela, ndr). E anche Pippo Calò ha un’età importante, per cui il tempo che passa è assolutamente nemico della verità”. Da allora sono passati tre anni, e Laura Sgrò è ancora in attesa di una risposta.
Parliamo di un’altra storia, che a questa è legata: l’omicidio di Roberto Calvi, un nevrotico tra i predatori. Lo abbiamo già visto…
Giovanni Paolo II ha presieduto il mandato omicidiario di Roberto Calvi mediante impiccagione sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982? Dal punto di vista giudiziario, sembra un fatto accertato.
Così racconta l’ex giudice istruttore Mario Almerighi (morto) che fece arrestare i sequestratori di Roberto Calvi Flavio Carboni e Pippo Calò per concorso in omicidio nello strangolamento del banchiere milanese sotto il Blackfriars Bridge, meglio noto come il Ponte dei Frati Neri a Londra nel cuore della City, nel capitolo “Il mosaico dell’ordine mondiale” del suo monumentale atto d’accusa “La borsa di Calvi”: “Questa storia non è una burla, un grande spettacolo di circo in cui i protagonisti vestono maschere e costumi di scena. E’ una storia di potere. Un potere cinico e impietoso. Un potere estraneo non solo alle religioni, ma anche all’etica, alla solidarietà, alla giustizia, alla legge. Un potere fondato su un sistema di arricchimento del quale fanno parte mafia, Vaticano, P2, che si incontrano e si scontrano su terreni non omogenei e con finalità diverse. Un potere fondato su un sistema in cui il vero padrone è il denaro. Un sistema dentro il quale non sono ammessi corpi estranei né intenti ricattatori che ne possano scalfire l’integrità. E il denaro non può essere utilizzato al di fuori degli interessi di chi lo ha prodotto. Roberto Calvi non lo capì. Forse fu questa la sua grande ingenuità, che pagò con la vita. Abbiamo visto che papa Wojtyla, o chi per lui, secondo quanto assunto dal banchiere (ma non solo), con i soldi della mafia riciclati dallo stesso Calvi e Marcinkus finanziava Solidarnosc a sostegno della sua battaglia democratica contro il regime totalitario del comunismo russo. Abbiamo anche visto che, sempre secondo il banchiere (e non solo), con il medesimo denaro il Vaticano sosteneva anche i peggiori regimi militari del Sud America. Tutto ciò nel segno di un’obiettiva convergenza con le linee guida della politica americana (Ronald Reagan, ndr)…”. A pag. 151 del capitolo “La mungitura del banchiere prima del macello” – Come Calvi riciclava i soldi della mafia”, il giudice Almerighi ci va giù pesante: “Si è visto e si vedrà ancora quanto Calvi abbia contribuito al riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla mafia. Ma al tesoriere Pippo Calò i conti non tornano. I capitali investiti non hanno dato gli attesi frutti. Non solo: sui libri contabili della cassa di Cosa Nostra manca persino la restituzione di parte di quei capitali.
Calvi era certamente consapevole di tutto ciò. Eppure, proprio nel periodo più acuto della crisi finanziaria del gruppo (Banco Ambrosiano, ndr) non pensa a quel creditore pericolosissimo, ma elargisce ben 19 milioni di dollari a Flavio Carboni. Per quale ragione? Si potrebbe ritenere che il faccendiere sardo sia stato incaricato da qualcuno – non sappiamo chi – di spremere il limone prima di buttarlo via oppure, se si vuole usare una metafora più pertinente, di mungere il banchiere prima del macello.
Di sicuro, nell’attività di riciclaggio che Calvi fece tramite le sue banche, la mafia era in abbondante credito. Un credito originato dall’alleanza con Marcinkus e dalla disponibilità dello stesso Calvi a venire incontro alle richieste di finanziamenti del Vaticano, necessari per arginare e sconfiggere il “pericolo comunista”. Non a caso, nella lettera scritta pochi giorni prima di essere ammazzato, il banchiere ricorda a papa Wojtyla i soldi concessi dal Banco per aiutare Solidarnosc in Polonia e combattere i sandinisti in Nicaragua. Un riferimento che ha il sapore dolce di una richiesta di aiuto ma anche quello agro del ricatto. A Cosa Nostra tutto ciò non interessa. Quanto preme alla mafia imprenditrice è recuperare il più possibile i capitali, o almeno parte di essi, prima che siano gli altri creditori a insinuarsi nel passivo del Banco”.
E’ quanto mai opportuno citare un altro passaggio – gesuiticamente rilevante – della lucida requisitoria del magistrato Mario Almerighi: “La lettura delle due lettere mi evoca l’immagine di una clessidra dentro la quale la sabbia invece di scendere sale verso l’alto.
Sono parole che mi provocano un improvviso peso allo stomaco e un intenso malessere. A distanza di molti anni mi viene in mente la cacciata dei mercanti dal tempio e la frase pronunciata di recente da papa Bergoglio: “La Chiesa non diventi mai una casa d’affari”.
“Tra i documenti venduti da Carboni a monsignor Hnilica viene sottoposta a sequestro una lettera che Calvi indirizza a papa Giovanni Paolo II in data 5 giugno 1982, cioè dodici giorni prima dell’impiccagione sul Tamigi. Eccone il testo.
Santità,
ho pensato molto, molto in questi giorni e ho capito che c’è una sola speranza per cercare di salvare la spaventosa situazione che mi vede coinvolto con lo Ior in una serie di tragiche vicende che vanno sempre più deteriorandosi e che finirebbero per travolgerci irreversibilmente.
Ho pensato molto, Santità, e ho concluso che Lei è l’ultima speranza, l’ultima. Da molti mesi ormai, mi vado dibattendo a destra e a manca, alla disperata ricerca di trovare chi responsabilmente possa rendersi conto della gravità di quanto è accaduto e di quanto più gravemente accadrà se non intervengono efficaci e tempestivi provvedimenti essenziali per respingere gli attacchi concentrici che hanno come principale bersaglio la Chiesa e, conseguentemente, la mia persona e il gruppo a me facente capo.
La politica dello struzzo, l’assurda negligenza, l’ostinata intransigenza e non pochi altri atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano mi danno la certezza che Sua Santità sia poco e male informata di tutto quanto ha per lunghi anni caratterizzato i rapporti intercorsi tra me, il mio gruppo e il Vaticano. Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commessi dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora ne subisco le conseguenze; sono stato io che, su preciso incarico di Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest; sono stato io che, di concerto con autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro-Sud America, la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io, infine, che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità a cui ho rivolto sempre il massimo rispetto ed obbedienza.
Santità, la domanda che mi pongo è questa: ma a chi giova un tale atteggiamento? Certo non a me o al mio gruppo, ma, ancora più certamente, non giova agl’interessi morali ed economici della Chiesa. E allora, Santità, mi convinco sempre di più che chi vuole male alla Chiesa (e non sono in pochi) trova, all’interno di essa, numerosi e autorevoli alleati.
Ora si tratta di stabilire quanto questi alleati sono in buona fede e quanti non lo sono. Dunque, le ipotesi sono due: per quelli che sono coscienti del male che hanno fatto e che potrebbero ancora fare, non c’è alcun dubbio: Lei, Santità, è l’obiettivo! Per quelli che invece sono in buona fede (ed è l’ipotesi meno credibile), Santità, non indugi un secondo, li allontani urgentemente dal loro incarico prima che sia troppo tardi! Certo, occorre molta buona volontà per non dire che bisogna essere ciechi, per non vedere che si sta preparando una grande congiura contro la Chiesa e la persona di Sua Santità.
“E ancora:
E ciò è facile dedurlo dalle assurde risposte che si continua a dare alle mie disperate grida di pericolo e ai miei reiterati inviti di chiarimento. Forse, e senza forse, la grande popolarità e simpatia di cui Lei, Santità, gode in molte parti del mondo e l’espandersi di esse preoccupano, e non poco, i Suoi avversari interni ed esterni, sino al punto da fare pensare a quelli interni, si
capisce, il tanto peggio, tanto meglio! Gli avversari esterni lo sappiamo chi sono e Lei, Santità, lo sa meglio di tutti e li combatte meglio di tutti; ma quelli interni, interni alla Chiesa voglio dire, e quelli affini, come alcuni democristiani, Lei Santità, li conosce? Io credo proprio di no!
Non sono un pettegolo e neanche uno che accusa per dispetto o per vendetta. E non m’interessa, perciò, soffermarmi sulle tante chiacchiere che essi fanno su alcuni prelati e, in particolare, sulla vita privata del segretario di Stato card. Casaroli (si sa, questo genere di chiacchiere che essi fanno su alcuni prelati e, in particolare, sulla vita privata del segretario di Stato card. Casaroli, non giova mai alla dignità della Chiesa), ma m’interessa moltissimo segnalarLe il buon rapporto che lega quest’ultimo ad ambienti e a personaggi notoriamente anticlericali comunisti e filocomunisti, come quello col ministro democristiano Nino Andreatta col quale, sembra, abbia trovato l’accordo per la distruzione e la spartizione del gruppo Ambrosiano. Ma a quale disegno vuole o deve obbedire il segretario di Stato del Vaticano? A quale ricatto? Santità, un eventuale crollo del Banco Ambrosiano provocherebbe una catastrofe di inimmaginabili proporzioni in cui la Chiesa ne subirebbe i danni più gravi! Bisogna evitarla a ogni costo! Molti sono coloro che mi fanno allettanti promesse di aiuto a condizione che io parli delle attività da me svolte nell’interesse della Chiesa; sono proprio molti coloro che vorrebbero sapere da me se ho fornito armi o altri mezzi ad alcuni regimi di paesi del Sud America per aiutarli a combattere i nostri comuni nemici e se ho fornito mezzi economici a Solidarnosc, anche armi e finanziamenti ad altre organizzazioni di paesi dell’Est; ma io non mi faccio e non voglio ricattare; io ho sempre scelto la strada della coerenza e della lealtà anche a costo di gravi rischi! Santità, a Lei mi rivolgo perché solo attraverso il Suo alto intervento è ancora possibile raggiungere un accordo tra le parti interessate e respingere il terribile spettro di una immane sciagura.
Ora, altro non mi rimane che sperare in una Sua sollecita chiamata che mi consenta di mettere a Sua disposizione importanti documenti in mio possesso e di spiegarLe a viva voce tutto quanto è accaduto e sta accadendo, certamente a Sua insaputa.
Grato e nel bacio del Sacro anello, mi confermo della Santità Vostra
Roberto Calvi
Commentava il magistrato in pensione Mario Almerighi: “Leggo e rileggo quelle parole. Sarà deformazione professionale, ma quella che ho davanti ha tutte le caratteristiche di una lettera ricattatoria nei confronti del papa. Una prova tangibile della disperazione di Calvi: una sorta di urlo, un presagio di morte”. Aggiunge chi scrive: è implicita nella disperazione laico-gesuitica di Calvi la estrema richiesta solidaristica di un uomo distrutto dall’esaurimento nervoso di riavere subito dal Vicario di Gesù Cristo – lo vedremo in seguito – 1.200 miliardi di lire, che con l’autorizzazione vergognosa della Santa Sede il “banchiere di Dio” veluti si Deus non daretur, aveva prelevato dalle casse di Cosa Nostra, come a dire: Santo Padre, abbiamo sbagliato entrambi a crederci onnipotenti in un disegno di distruzione del “socialismo reale”, ma a Voi mi rivolgo, nonostante tutto – traduzione arbitraria delle sue parole – poiché alla fine di questa tragica vicenda siete un uomo di cuore, un uomo di Chiesa. No, non era così. Roberto Calvi non lo aveva capito. Karol Wojtyla era un uomo di potere. Come i fatti successivi confermeranno. Anche se migliaia di ragazzi morivano per la dipendenza dall’eroina.
A pag. 161 della sua requisitoria “La borsa di Calvi” il giudice Almerighi condanna alla pena dell’ergastolo morale papa Giovanni Paolo II per la copertura accordata al Mercante del Tempio Paul Marcinkus, segretario dell’Istituto delle Opere di Religione; il capitolo si intitola “La sentenza di morte” – Le dichiarazioni dei pentiti”: “Cillari (pentito, ndr) ha reso anche le seguenti dichiarazioni: “La regia dell’omicidio parte dall’incontro del maggio ’82 in Sardegna, a casa di Carboni, tra Carboni, Pazienza, Marcinkus e Casillo. Io avevo accompagnato Casillo in Sardegna ma non partecipai all’incontro. Commentando quell’incontro, Casillo mi disse che era stata decisa una cosa più grossa del sequestro Cirillo. L’omicidio Calvi fu deciso – ritengo in quell’occasione – perché Calvi voleva ricattare il Vaticano, anzi in particolare Marcinkus. Fu Casillo a dirmi che Calvi voleva ricattare Marcinkus, anche se non mi disse esplicitamente che era stato deciso l’omicidio…”.
Continuava Almerighi: “Scrivono nella loro memoria i pubblici ministeri Monteleone e Tescaroli:
“Tra i moventi che hanno provocato la morte di Roberto Calvi vi è l’obiettivo di impedirgli di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali, della massoneria, della loggia P2 e dello Ior, con i quali aveva gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro, anche provenienti da Cosa Nostra. Attraverso una serie di passaggi tipici del riciclaggio, ingenti somme di denaro venivano infine accreditate presso la Cisalpine Overseas di Nassau gestita in società da Calvi e Marcinkus. Fu l’ispettore Graham Garner della Coopers e Lybrand a scoprire che la Cisalpine aveva inviato allo Ior una somma pari a circa 155 milioni di dollari proveniente dal Banco ambrosiano, senza causale né giustificazione alcuna. Calvi diede risposte evasive. Marcinkus si giustificò affermando che la mancanza di trasparenza dello Ior era esclusivamente legata alla necessità di segretezza nelle operazioni finanziarie condotte dal Vaticano”.
Nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di FLAVIO CARBONI, Mario Almerighi scriveva: “In realtà le operazioni segrete consistevano in finanziamenti a tutte quelle forze del mondo che si opponevano al comunismo e appoggiavano la politica degli Stati Uniti. E’ lo stesso Roberto Calvi – come abbiamo visto – a dirlo nella lettera scritta al papa prima di morire ammazzato, e il figlio Carlo lo confermerà dopo la morte del padre.
Furono gli ispettori della Banca d’Italia a scoprire che l’affiliata del gruppo Ambrosiano, il Banco ambrosiano andino, aveva un buco di 1000 miliardi di lire dovuto, tra l’altro,a forniture di armi alle forze politiche anticomuniste del Cile di Pinochet, del Nicaragua di Somoza, dell’Argentina, del Brasile, dell’Uruguay…”. E’ il momento apicale del tramonto dell’Occidente.
Dove poi – nelle geometrie della casualità – si inserisce anche il sequestro di persona da parte dei pedofili dei “prodotti Avon” della ragazzina Emanuela Orlandi, ritrovata dalla Banda della Magliana che la consegna a Marcinkus, e lei scompare tra le mura leonine. Il Vaticano come soggetto giuridico non può dire all’opinione pubblica: l’abbiamo ritrovata con l’aiuto della Mafia (sic!). Perché l’opinione pubblica a quel punto chiederebbe ai responsabili della Chiesa Cattolica: ma perché voi siete in rapporti con la Mafia?
Ed emergerebbe a quel punto il “peccato originale” che sta dietro l’operazione Solidarnosc. Mi sia consentito – come osservatore comune – di notare che lo Zeitstil, per parafrasare il filosofo Karl Jaspers, dell ’83 è dominato dalle Tenebre: Emanuela si trovava al momento sbagliato nel posto sbagliato. Per ben due volte. La prima in Piazza delle Cinque Lune, e la seconda davanti a Enrico De Pedis in persona che agiva su mandato di Marcinkus. Ma non è il caso a farla da padrone nelle nostre vite?
Tutto chiaro adesso?
di Alexander Bush