Enrico de Pedis consegna Emanuela Orlandi a Paul Marcinkus e la ragazzina non deve più tornare a casa: forse oggi è in Inghilterra
“Non mi interessavano i fascicoli sui finanziamenti di Wojtyla e dello Ior a Solidarnosc perché il
capo del sindacato polacco Lech Walesa aveva già confermato, proprio davanti a un giudice
italiano (Luca Tescaroli, ndr), che la chiesa di Giovanni Paolo II lo aveva finanziato in funzione
anticomunista. Mi interessavano quelli su Emanuela Orlandi e sul suo drammatico destino”
Emiliano Fittipaldi, “Gli impostori”
“A Roma tutto è lontano e tutto è vicino”
Helmut Bartolini
“Il 21 novembre 1982, in una Palermo tristissima dove “la speranza dei siciliani onesti” era stata
uccisa con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, arrivò Karol Wojtyla. Era la prima volta che
arrivava in Sicilia e i cristiani buoni e onesti lo accolsero con gioia e si sentirono meno soli e meno
disgraziati… Chi ha gestito i trasferimenti del Papa, chi ha ritenuto di garantire la sicurezza di
Wojtyla, che già il 13 maggio dell’anno precedente era stato raggiunto da due colpi di pistola
sparati da Mehmet Ali Agca? Chi ha scelto, in definitiva, l’autista della “papa mobile”? Chi ha
permesso che la persona del Capo della Chiesa Cattolica fosse affidata, per tutto il tempo della
visita a uno dei personaggi più importanti di Cosa Nostra? Sembra proprio incredibile, ma è così:
l’autista di Karol Wojtyla fu Angelo Siino, detto Bronson, pilota di rally e ministro delle finanze e
dei lavori pubblici di Cosa Nostra, braccio destro di Bernardo Provenzano e dispensatore, per
conto della Cupola, di appalti e tangenti, i primi per gli imprenditori “amici”, le seconde per gli
“amici” politici. Naturalmente, Karol Wojtyla di tutte queste storie non ne sapeva niente”.
Elio Camilleri, “L’autista del papa era il “ministro delle finanze” di cosa nostra”
Ricorre il 38esimo anniversario della scomparsa della ragazzina di 15 anni Emanuela Orlandi sequestrata in Piazza delle Cinque Lune a Roma il 22 giugno 1983, e mai più ritrovata – che dista 7 minuti tecnici dall’appartamento di Piero Ottone sito in vicolo Montevecchio in Via dei Coronari.
Orbene, sul suo rapimento – in realtà – a 38 anni di distanza, si sa quasi tutto. Mancano soltanto alcuni dettagli a integrazione della conoscenza tout court di una vicenda che, quantomeno dal punto di vista storico e pre-giudiziario appare perfettamente chiara.
Non è stata l’arcinota “Banda della Magliana” secondo la vulgata comune a rapire la cittadina dello Stato del Vaticano. Sia chiaro (anche se ha ragione il magistrato Otello Lupacchini a dire che la Banda della Magliana “non è un’entità metafisica”).
“E’ più vero che se fosse vero!”, direbbe Indro Montanelli.
Questa storia è andata diversamente, in un intreccio tra delinquenza comune e power èlite forse perché si inquadra nel “tramonto dell’Occidente” secondo Oswald Spengler e Piero Ottone, dove muore “l’innocenza” e trionfa la decadenza di una civiltà con la perversione in senso anti-sociale di tutti gli attori coinvolti – figlia della descente aux enfers della civiltà europea ed americana.
Bisogna citare il giornalista Emiliano Fittipaldi, che da queste righe verrà lungamente riprodotto.
Nella seconda parte del presente saggio verranno presentati i nuovi elementi utili alla soluzione del cold case:
“La scomparsa – Decido di partire dall’inizio. Dall’ultimo giorno in cui i familiari avevano visto la ragazzina, il 22 giugno 1983. Mi concentro sui fatti oggettivi contenuti nei tanti libri che hanno raccontato la vicenda e sulle poche carte della magistratura che contengono qualche punto fermo.
Mi procuro l’istruttoria, risalente al lontano 1997, del giudice Adele Rando, un magistrato che aveva indagato per anni, insieme ad altri colleghi che lo avevano fatto prima di lei. Aveva scritto la prima sentenza sul caso della ragazzina e sulla scomparsa, avvenuta poche settimane prima, di un’altra adolescente mai ritrovata, Mirella Gregori. (Le due giovani, quasi coetanee, sono state associate a un destino comune da media e pm; le sentenze sostengono invece con forza che gli accostamenti tra le due vicende furono orientati da un tentativo di depistaggio.) (ma io sono convinto che esista un collegamento eziologico tra Mirella Gregori e Emanuela Orlandi, ndr).
Dall’istruttoria capisco che, nella notte tra il 22 e il 23 giugno, Natalina Orlandi non aveva chiuso occhio. La sorella più piccola, Emanuela, di appena quindici anni e mezzo, non era infatti rientrata a casa. Chissà dove aveva dormito. I tentativi dei familiari di trovarla per le strade del centro di Roma erano andati a vuoto. Così, alle otto in punto della mattina, Natalina bussa alla porta dell’ispettore generale di Pubblica sicurezza in Vaticano.
Gli Orlandi sono sette (il capofamiglia Ercole, impiegato alla Prefettura della Casa pontificia, la moglie Maria e i cinque figli: Natalina, Pietro, Federica, Emanuela e Cristina) e risiedono nella Santa Sede. La prima denuncia va fatta dentro le mura leonine, anche se la scomparsa è presumibilmente avvenuta sul territorio italiano.
“Verso le ore 16.30 di ieri, mia sorella, Orlandi Emanuela, nata a Roma il 14 gennaio 1968, convivente, è uscita dalla nostra abitazione, per recarsi alla scuola di canto, sita in piazza Sant’Apollinare, nella scuola “Ludovico da Vittoria”, senza fare più ritorno in casa”, si legge nel verbale pubblicato per la prima volta da Pino Nicotri, uno dei giornalisti che con più attenzione ha scavato nella vicenda. “La medesima, verso le ore 19 successive, ha telefonato nella mia abitazione dove ha risposto l’altra mia sorella Federica, di anni 21, alla quale ha riferito di avere incontrato un uomo, non meglio descritto, il quale le aveva proposto se voleva fare una propaganda per una ditta di cosmetici, e precisamente per la ditta Avon, con sede, anzi mediante una sfilata, a Palazzo Borromini o via omonima, unitamente alle Sorelle Fontana. Concludeva, però, nella detta telefonata, che tra qualche minuto sarebbe tornata a casa, tuttavia a tuttora non si è vista. Durante la notte decorsa abbiamo interpellato, telefonicamente, la direttrice della predetta scuola di canto, suor Dolores (Salsano, N.d.A), la quale ha riferito che mia sorella è uscita da quella scuola, dove si era recata ieri pomeriggio, alle ore 19 – 19.15, e quindi è da presumere che la telefonata fatta mia sorella nella nostra abitazione sia stata appunto fatta dall’interno della scuola stessa, e cioè prima che Emanuela uscisse dalla scuola di canto.
“La stessa direttrice ha interpellato una ragazza, compagna di scuola di mia sorella, a nome Monzi Raffaella, su nostro suggerimento, e costei ha riferito di essere rimasta in compagnia di mia sorella fino alle 19.20 circa, dopo di che, adducendo che doveva aspettare il predetto uomo col quale aveva appuntamento, mia sorella è rimasta alla fermata dell’autobus della linea 70, mentre la sua amica se ne è andata a casa. “Dalla mia abitazione, invece, mia sorella Federica ha telefonato a un’altra compagna di scuola di Emanuela, Casini Maria Grazia, la quale ha riferito di aver lasciato mia sorella verso le ore 19.20 alla predetta fermata dell’autobus in compagnia di altra coetanea, della quale non si conosce il nome. Il telefono di Monzi Raffaella è il seguente…
Mia sorella Emanuela, prima di ieri, non aveva mai manifestato propositi di allontanarsi da casa, quindi è da avvalorare che possa essere stata allettata dalle proposte dell’uomo del quale non siamo in grado di dare alcuna indicazione. Mia sorella Emanuela corrisponde ai seguenti connotati: alta 165 cm circa, corporatura snella, viso regolare, capelli lunghi, lisci e castano scuri, occhi marroni e indossava pantaloni blu jeans, con camicetta bianca.”
Emanuela Orlandi è scomparsa da dodici ore e la preoccupazione è grande, soprattutto tra familiari e amici. Testimonianze e carte giudiziarie, che non porteranno mai né a imputazioni né a processi, aiutano a ricostruire i suoi ultimi movimenti.
Emanuela è un’adolescente molto vivace, graziosa e sveglia. Aveva appena terminato il secondo anno al liceo scientifico del convitto nazionale Vittorio Emanuele, a due passi da piazza Mazzini, con una pagella così così (tutti 6, qualche insufficienza, uno stiracchiato 8 in condotta). Ma, se non eccelleva in latino e in francese, era invece appassionata di musica.
Studiava solfeggio, pianoforte e flauto traverso dal 1979, quando si era iscritta a una scuola controllata direttamente dal Pontificio istituto di musica sacra del Vaticano, la Tommaso Ludovico da Victoria. Una scuola che si trovava in quegli anni nel Palazzo di Sant’Apollinare, di fronte a piazza delle Cinque Lune, la stessa sede, un tempo, del Pontificio Istituto di Sant’Apollinare che aveva avuto tra i suoi alunni anche il segretario di Stato Agostino Casaroli”.
Fermiamo solo un attimo il racconto del giornalista Emiliano Fittipaldi.
Emanuela era – oggi si direbbe – una ragazzina con “ADHD”, disturbo dell’iperattività, che tendeva a fare bene ciò che le piaceva e a scartare il resto con isteria: a 13 anni ebbe un piccolo esaurimento nervoso, e i genitori la tradussero dalla faticosa routine del liceo scientifico a un istituto di musica dove Emanuela poteva privilegiare “settorialmente” la vocazione per la musica. Quindi, peggioravano verosimilmente le “stramberie Asperger sotto soglia” della studentessa Emanuela, che sovente litigava nella “pubertà incipiente” con il fratello maggiore Pietro, al quale era molto legata; i rapitori pedofili di Emanuela notarono senz’altro, con interesse predatorio, la fragilità “ADHD” della debole e sveglia insieme Emanuela, trovandola una preda attraente. Continua la cronaca imperdibile di Fittipaldi, uomo dalle grandi risorse: “Emanuela, che era iscritta alla sezione vaticana dell’Azione cattolica, andava a giorni alterni alle lezioni di flauto, dalle 16 alle 19.
Il 22 giugno 1983 aveva cercato di scroccare un passaggio in moto al fratello Pietro. Invano (sbattendogli la porta in faccia: Pietro avrà questo rimorso per sempre, ndr).
L’appartamento degli Orlandi era al secondo piano del palazzo della Gendarmeria. Qui, nella piazzetta di Sant’Egidio, c’era la caserma degli uomini di Camillo Cibin, l’ex capo della polizia e dei servizi segreti vaticani poi sostituito dall’attuale numero uno Domenico Giani. Vi si affacciano le finestre dell’“Osservatore romano”, l’unico quotidiano stampato nella Santa Sede. Nessuno sa se, in quel 22 giugno del 1983, la Orlandi, dopo essere uscita di casa e dal territorio vaticano, abbia preso un autobus per raggiungere la sua lezione di musica. O se sia andata a piedi. E’ certo però che ha telefonato alla sorella Federica, probabilmente pochi minuti prima di uscire dalla scuola. Le ha detto che un rappresentante della Avon (“il balordo di Piazza Navona” lo ha definito bene Andrea Purgatori nell’eccellente documentario dell’aprile 2018 “Il caso Emanuela Orlandi speciale Atlantide”, ndr) le aveva proposto di pubblicizzare dei cosmetici a una sfilata della casa di moda Fontana a Palazzo Borromini, per una cifra da capogiro ai tempi: 375.000 lire. Federica dirà alla sorella di lasciar perdere.
La proposta di fare marketing per la Avon è una circostanza verificata, perché anche l’amica Raffaella confermerà che la ragazzina gliene aveva parlato. Sarà lei l’ultima persona a vedere Emanuela, riferendo prima alla famiglia Orlandi e poi alla polizia di averla lasciata in corso Rinascimento davanti alla fermata dell’autobus verso le 19.20 “Insieme a un’altra ragazza, sconosciuta, alla Monzi e comunque anche in seguito mai identificata… Subito dopo la scomparsa, inoltre, un vigile urbano in servizio a Palazzo Madama, Alfredo Sambuco, aveva raccontato di aver visto, verso le 17, la Orlandi chiacchierare sul marciapiede con un signore di quaranta-quarantacinque anni seduto al posto di guida di una Bmw verde. Lo sconosciuto stava mostrando alla ragazza “una borsa recante la scritta “Avon” contenente dei cosmetici”. Quando il vigile l’aveva invitato a circolare, l’uomo era subito andato via.
E’ un fatto che la Orlandi, dopo il presunto colloquio con il sedicente rappresentante della Avon, era entrata a scuola con un po’ di ritardo e aveva raccontato all’amica Raffaella e poi alla sorella Federica della possibilità di guadagnare qualche soldo facile. Ed è certo, pure, che la responsabile della ditta, interrogata dagli inquirenti, ha chiarito che per promuovere e vendere rossetti e ciprie usavano solo personale femminile e che nessuna delle oltre duecento dipendenti e collaboratrici aveva Bmw né borse griffate “Avon”. Il giorno successivo alla telefonata di Mario, la famiglia Orlandi, che aveva già fatto pubblicare sui giornali locali un minuscolo annuncio di scomparsa, decise di tappezzare il centro di Roma con tremila manifesti. Sopra, una grande foto di Emanuela con un nastro sulla fronte e la scritta a caratteri cubitali “Scomparsa”…”.
Orbene, questa non è un’ipotesi, è stato anche Andrea Purgatori a confermarlo: due balordi pedofili che propongono la vendita fraudolenta dei “prodotti Avon” di Piazza Navona – ecco a voi il falso verosimile – manipolano Emanuela Orlandi, e poi la sequestrano con il trucco della proposta di lavoro per 375.000 lire; poi ne fanno “carne da macello” in un sex party a base di droga esattamente come un mese prima avevano fatto alla malcapitata Mirella Gregori: solo che la Gregori è stata più fortunata, perché morì verosimilmente per “un incidente sul posto”: forse per un’overdose durante lo stupro di gruppo; Emanuela rimane in vita, ma non potrà più tornare a casa; Emanuela non potrà più essere restituita ai suoi cari, alla luce del fatto che entrano in azione Enrico De Pedis – il capo della Banda della Magliana – e la sua amante Sabrina Minardi, ex moglie del campione di calcio della Lazio Bruno Giordano. Attenzione, però: costoro sono soltanto gli ultimi anelli di un labirintico “gioco grande del potere” che è di dimensioni molto più grandi dei gangsters romani, e che arriva a coinvolgere tre personalità stravolgendo le loro vite: Paul Casimir Marcinkus, Agostino Casaroli e… sopra di loro c’è Karol Wojtyla. Che è un burattino nelle mani di Marcinkus, da quando Papa Albino Luciani dei 33 giorni è morto in circostanze misteriose dopo aver manifestato il proposito di rimuovere lo stesso Marcinkus (sic!), e grazie all’ingerenza del pirandelliano Zbgnew Brzezinsky, leader della Commissione Trilaterale, Wojtyla è asceso al soglio pontificio. Il primo papa straniero in 455 anni di storia ha le idee chiare: il fine giustifica i mezzi per vincere la guerra fredda. La Polonia è sacra.
La sindrome di hybris affligge il cardinale Wojtyla: un fatto ambiguo – questo – che si collega direttamente all’attentato di piazza San Pietro del 13 maggio 1981 e con la scomparsa di Emanuela Orlandi, poiché quasi sempre la “sindrome della visione” narcisisticamente connotata che ha a che fare con il senso dell’onnipotenza, si rovescia nella morte o nel fallimento.
Hybris e nemesis, due facce della stessa medaglia.
La realtà è ambigua, e caratterizzata dalla frustrazione della nostra “conoscenza intrinsecamente imperfetta” del mondo, come diceva il filosofo George Soros.
Tra l’altro tutti i cold case – i cosiddetti “casi aperti” – sono segnati dall’“eteronomia” della malattia mentale, che subordina l’autos-nomos all’eteros nomos; sarà cinico dirlo, ma questa è la vita
di Alexander Bush