“Indro Montanelli non era portato al ragionamento”
Piero Ottone
“La verità è dura come un aratro”
Pablo Neruda
“La vita ha un lato di tragedia”
Marco Massa
Nel Belpaese che oppone l’ideologia alla realtà, ancora oggi nel 2020 continuano a circolare leggende metropolitane e falsità sul licenziamento di Indro Montanelli dal “Corriere della Sera” nel 1973, per ordine del direttore Piero Ottone, uscito di scena il 17 aprile del 2017 a 92 anni: era il nonno di chi scrive. E’ veramente sorprendente, e per certi aspetti anche grave, che non sia intervenuto sul tema nessun commentatore o intellettuale semplicemente per raccontare come si sono svolti i fatti, e smentire le fake news oggi circolanti: 1) che Ottone avrebbe ordinato, con metodi bolscevichi, l’estromissione di Montanelli da Via Solferino nell’annus horribilis ’73 su mandato della proprietaria “zarina” Giulia Maria Crespi, perché il conservatorismo di Indro avrebbe fatto a pugni con il catto-comunismo dei primi due (è un falso clamoroso!), 2) che Ottone era filocomunista e Montanelli, invece, era di contro l’alfiere della cosiddetta borghesia capitalistica lombarda in contrapposizione all'(inesistente) apertura ottoniana verso il Pci. Ottone aveva un debole per Enrico Berlinguer? Forse solo in parte – come del resto anche Gianni Agnelli -, ma il suo presunto massimalismo è una stupidaggine trita e ritrita smentita categoricamente dal suo capolavoro Potere economico – La scienza della miseria spiegata al popolo, scritto con un cosmopolitismo alla John Kennedy.
Si tratta complessivamente di menzogne e distorsioni ideologiche della realtà – molto italiane, in verità, in un paese quale l’Italia che ancora oggi nel 2020, continua a rimanere piccolo-borghese e provinciale – che oscurano una verità ben diversa, e che forse potrebbe interessare i lettori di Libertates. Soprattutto, la libertà di raccontare il vero. Io ero molto legato a mio nonno, e ho la passione di dire che soltanto tre persone hanno capito veramente bene chi era Montanelli: Piero Ottone, Enzo Bettiza e Corrado Stajano; quest’ultimo è stato l’autore del capolavoro Un eroe borghese. L’assassinio di Giorgio Ambrosoli. Indro, il più brillante giornalista italiano del Novecento, era in realtà un artista mascherato da intellettuale con diagnosi di bipolarismo attenuato; orbene, il mascheramento pirandelliano di una persona (“Non siamo forse la patria di Pirandello?”, Piero Ottone dixit) non è mai senza prezzo, e comporta dei costi nevrotici altissimi per il soggetto che lo recita: che nel caso specifico di Montanelli, erano gravi crolli depressivi dell’umore cui era ciclicamente esposto dall’età degli undici anni in avanti: mentire a se stessi su chi si è veramente, non è senza prezzo.
Così si era espresso Enzo Bettiza in una memorabile intervista su R2 de la Repubblica, poco prima di morire: “Indro era di temperamento mercuriale, simpatico e dal pensiero bugiardo”; Ottone: “Indro non era portato al ragionamento”; Stajano, ne La città degli untori, scrisse il ritratto perfetto di una personalità bipolare che – ovviamente – il permalosissimo e principe dei Narcisi Indro -, avrebbe sdegnosamente respinto al mittente: “Per me Montanelli resta quello che ho scritto nel mio libro (La città degli untori, nda), un giornalista di arcani istinti che riuscì a rendere credibile la favola di essere uno che la cantava ai potenti di cui era al servizio”; è per questa stessa ragione, che il fondatore de “Il Giornale” (a parere di chi scrive) ebbe una diagnosi di disturbo bipolare II da
parte dello psichiatra della Clinica di Pisa Giovanni Cassano; si consiglia ai lettori di acquistare il bel libro scritto dal sostituto procuratore generale del Tribunale di Milano Vincenzo Calia Il caso Mattei – Le prove dell’omicidio del Presidente dell’Eni Enrico Mattei edito da Chiarelettere, che accusa Indro Montanelli di essere stato il mandante a mezzo stampa della campagna di insabbiamento sulla morte di Mattei per omicidio su mandato di Eugenio Cefis.
Restano memorabili le parole di Ottone sulla psiche dell’articolista di Fucecchio: il primo era dotato di una razionalità così profonda da essere incompatibile con gli arcani istinti del temperamento artistico del secondo, un vero genio dell’imbroglio che temeva di essere smascherato dal direttore del “Corsera”, e Indro stesso interiormente lo sapeva (sic): per queste ragioni, e non per altre motivazioni (figuriamoci di carattere ideologico!), Montanelli – che presentava tutti i segni d’un complesso d’inferiorità/superiorità verso l’Ottone cartesiano – cominciò a parlar male del direttore alle sue spalle (era testimone di ciò mezza redazione di via Solferino) fino alla necessità di una misura “autoritaria” nei suoi confronti. Quindi te ne vai se non ti piaccio.
Ecco che cosa scrisse mio nonno nel libro Preghiera o bordello – Storia, personaggi, fatti e misfatti del giornalismo italiano nel capitolo “Si ritorna alla stampa di regime – Nasce “Il Giornale” di Indro Montanelli. Dopo Cefis una triade misteriosa: Gelli,Ortolani, Calvi” (giustamente citato dal grande Vincenzo Calia nel suo libro): “… Indro Montanelli fece un giornale che prendeva a modello i giornali del passato, era un ritorno all’antico, e non ebbe il successo in cui sperava; non trovò un numero di lettori sufficiente per pareggiare costi e ricavi.
In quel brutto autunno, nel 1973, il grande Indro, ormai principe riconosciuto del giornalismo italiano, rischiò di cadere in una crisi esistenziale; quella crisi che aveva temuto, rimanendo sconvolto, quando gli si disse che doveva lasciare il Corriere. “La mia carriera di giornalista”, mi aveva detto, “finisce qui”. Poteva finire davvero?
Nel giro di poche ore, Gianni Agnelli gli telefonò, gli chiese di scrivere per La Stampa, e lui prontamente accettò. Ma il suo problema, ovviamente, non era quello di scrivere articoli, e di piazzarli da qualche parte; quel che importa, per un giornalista di razza, è l’insieme di un giornale, il suo spirito, la sua anima, la gente che ci lavora, le stanze, i muri. E’ vero che Indro stentava ormai a riconoscersi nel Corriere, così diverso. Ma si riconosceva forse nella Stampa? Non facevano una strana impressione quei suoi articoli, stampati con caratteri diversi, su una carta di grano diversa? E chi conosceva fra quelle brave persone della Stampa? Indro si sentì solo, all’improvviso; anche quei colleghi che gli avevano fatto tanti discorsi, per convincerlo ad attaccare il Corriere, a mettersi all’opposizione, magari ad andarsene per fare un nuovo giornale, adesso se ne stavano rintanati dov’erano, in attesa degli eventi. Un amico fedele, Gaetano Greco, lo mise in contatto con Nino Rovelli (il petroliere, ndr), che gli proponeva di fare un quotidiano. Poteva fidarsi?
Era proprio per avere lanciato l’idea di fondare una nuova testata per la borghesia lombarda, in antitesi al Corriere, e per essersi dichiarato disponibile a dirigerlo, che gli era stato imposto di lasciare il Corriere. Ma Rovelli… Presto si fece vivo Eugenio Cefis, con una proposta più interessante: garantiva il finanziamento dell’impresa, lasciando la proprietà nelle mani dei giornalisti. Fidarsi di Cefis? Indro aveva buoni rapporti con lui.
Un anno prima, fresco di nomina, avevo progettato un’inchiesta nelle pagine del Corriere su quei tandem minacciosi e misteriosi che si erano formati fra uomini politici e rappresentanti dell’industria di Stato, o finanziata dallo Stato (la razza padrona), per la precisione tre tandem, Fanfani e Cefis, Andreotti e Rovelli, Forlani e Girotti, che facevano fra di loro guerre e paci, a suon di miliardi. Come agivano? Il tema mi sembrava appassionante, e avevo proposto a Indro di occuparsi del tandem numero uno, Fanfani e Cefis, a tout seigneur son honneur, al giornalista più brillante spettava il tandem più importante, ma Indro mi disse che aveva stabilito buoni rapporti con Cefis, e non intendeva guastarli. Quindi declinò l’incarico. Anche gli altri colleghi si sottrassero. L’inchiesta non si fece mai… Accadde nel frattempo che i proprietari del Corriere decidessero comunque di vendere, prima ancora che nascesse l’anti-Corriere, e Cefis avrebbe rinunciato volentieri al Giornale, che non gli serviva più. Ma Indro gli forzò la mano, accelerò i tempi. I colleghi, adesso, arrivavano a frotte, quasi tutti dal Corriere, alcuni bravissimi. Nel maggio del 1974, qualche settimana prima della firma dell’accordo per la vendita del Corriere, uscì Il Giornale Nuovo.
Indro si buttò nell’impresa con l’entusiasmo di un ragazzo… A posteriori si può affermare che l’anima del Giornale di Indro fu l’anticomunismo. Non da lì, tuttavia, prese le mosse.
Montanelli non ebbe mai, nel profondo dell’animo, solide costruzioni ideologiche, non ebbe convinzioni politiche. Più artista che pensatore, più scrittore che reporter, andava a sensazioni…
Verso il comunismo conservava, giustamente, una profonda diffidenza; poi, nel 1956, si trovò in Ungheria, visse le giornate dell’insurrezione ungherese, capì che anche il comunismo stava cambiando, che c’erano tanti comunismi diversi. Uno degli ultimi articoli che scrisse per il Corriere sembrava addirittura un’apertura per il partito di Berlinguer; non possiamo più fidarci dei socialisti, diceva in sostanza, perchè non dialoghiamo direttamente coi comunisti?”
Partito Cefis, Il Giornale attraversò un periodo di incertezza, fino a quando non lo comperò Silvio Berlusconi, il nuovo finanziatore. Montanelli mantenne la sua indipendenza anche con lui, e si limitò a mettere a mettere a sua disposizione la pagina degli spettacoli che diventò un bollettino, o un house organ come ora si dice, della Fininvest…”.
Ps – Già, senza Silvio Berlusconi – del quale fu amico ininterrottamente per vent’anni, prima di andarsene per sua autonoma volontà da Il Giornale nel 1994 agli albori della cosiddetta “discesa in campo” di Sua Emittenza nel 1994 -, Montanelli non ce l’avrebbe mai fatta (erano due personalità ipomaniacali prive di inside razionale che s’intendevano perfettamente l’uno con l’altro).
E dal ’73 al 22 luglio del 2001, Indro continuò ad essere un artista mascherato da intellettuale, un doppiogiochista che faceva finta di cantarla ai potenti di cui era al servizio.
Essere o non essere: ecco il dilemma. E meno si sa su stessi, meglio è. “Non ho mai fatto quella bischerata della psicanalisi in vita mia”: Indro dixit. A futura memoria.
di Alexander Bush