Si parla tanto di pensioni di reversibilità, ma cosa sono e come dovrebbero funzionare?
È stata sufficiente una proposta di riforma del meccanismo delle pensioni di reversibilità per scatenare un’autentica battaglia tra diritti acquisiti, e quindi intoccabili, necessità di taglio dei costi, eccetera: una baruffa che ha evidenziato ancor di più come la materia previdenziale sia un argomento tanto sentito dai cittadini quanto arruffato da interpretazioni, concetti e pregiudizi atavici, nonché equivoci giuridici. Il solito coacervo di norme, interpretazioni, decreti risalenti spesso a decenni fa che rendono il tutto una giungla in cui alcuni hanno privilegi e rendite inammissibili, e altri non riescono nemmeno a ricevere di che vivere.
Non sarebbe il caso di studiare una riforma radicale che affronti tutta la problematica una volta per tutte? Una riforma, come quella proposta da Libertates, i cui punti salienti sono:
- un sistema pensionistico di tipo liberistico in cui ogni cittadino possa liberamente scegliere (sia con assicurazioni private sia pubbliche) quanto versare per la propria pensione, quando versare e quando andare in pensione. Questo perché il rapporto tra cittadino e ente deve tornare ad essere quello che era in origine: un’assicurazione sulla vita in cui il premio sono i versamenti e la rendita la pensione. Ovviamente la pensione (rendita) dipende dalla quantità e dalla durata dei versamenti (premio)
- compito dello Stato dovrebbe essere quello tipico liberale: controllare, indirizzare e garantire. In altre parole: far si che ogni cittadino versi quanto necessario per avere una pensione minima; garantire una pensione sociale che permetta ad ogni cittadino di vivere dignitosamente; controllare la gestione delle compagnie assicurative
- in questo caso il problema della reversibilità della pensione sarebbe superato: l’assicurato avrebbe (come ha già tuttora per le pensioni private) la facoltà di scegliere se far continuare la rendita (pensione) in capo ad altra persona (scelta da lui e non dalla legge) ricevendo una pensione inferiore oppure far cessare ogni rendita alla sua morte (ovviamente con una pensione più alta)
Una riforma che riporterebbe al senso originario del sistema pensionistico e contemporaneamente permetterebbe a tutti di essere veri cittadini che possono scegliere liberamente un aspetto tanto importante della loro vita: e non sudditi che possono (o debbono) andare in pensione quando lo decide lo Stato, vedendosi magari decurtata la rendita per favorire categorie che non hanno mai versato contributi.
La pensione sociale data in tutto o in parte a chi non ha potuto versare i necessari contributi sarebbe un’applicazione del principio di sussidiarietà: gestita autonomamente dallo Stato con i proventi della tassazione, del tutto svincolata dal sistema pensionistico-assicurativo.
Una soluzione molto più trasparente, efficiente e soprattutto equa rispetto al farraginoso sistema statalistico oggi in vigore.
Angelo Gazzaniga