Un ulteriore contributo alla discussione sul comportamento dell’esercito italiano in Jugoslavia durante la II guerra mondiale
Ho letto l’intervista di Gianfranco Miksa a Davide Conti. Sono rimasto a lungo in dubbio se meritasse commentarla o fosse meglio, considerando la sua faziosità, non perdervi tempo. Cercherò quindi di farlo nel minor tempo possibile.
Per quanto riguarda il comportamento del nostro Esercito nei Balcani è facile trovare avvenimenti che di per se stessi suscitano orrore, come ad esempio la fucilazione di ostaggi per rappresaglia. La “rappresaglia” e la “repressione (o sanzione) collettiva” erano previste dal diritto di guerra in linea con le Convenzioni di Ginevra, che avevano lo scopo di rendere, con il loro potere dissuasivo, la guerra meno inumana. Vi riuscirono nella prima guerra mondiale. Nella seconda in Jugoslavia, come altrove, i partigiani comunisti ricercavano spesso le rappresaglie per strumentalizzarle. Con questi metodi spregiudicati i partigiani comunisti riuscirono ad accrescere la loro importanza, giungendo a sostituire i cetnici quali referenti e destinatari dei rifornimenti anglo-americani.
Gli Italiani non poterono sottrarsi alla logica di una simile guerra. Possiamo però dire che complessivamente si comportarono nel modo migliore possibile. Possiamo anche valutare che le vittime degli Italiani siano state molto di meno di quanti furono da loro salvati dalle stragi interetniche, in particolare Serbi salvati dalle stragi ustascia, ma anche Croati salvati dalle vendette serbe. Sono valutazioni personali ma che penso dovrebbero avere un certo valore considerando le mie conoscenze degli ambienti militare, dalmata e balcanico e del fenomeno guerra che mi derivano dalle mie origini, da 37 anni di servizio militare, inclusi 7,5 di studi specifici a tempo pieno, e dalla mia partecipazione in Dalmazia ed in Erzegovina nel 1992 al conflitto interetnico nell’ambito della Missione di pace europea. Conoscenze che mi derivano anche da cinque anni spesi nel conoscere e mettere insieme dati di archivio e testimonianze dei reduci per scrivere il libro “I Bersaglieri in Dalmazia e il battaglione bersaglieri Zara” (attualmente reperibile nella 2^edizione inserita nel volume Studi storici militari 2004 dell’Uff. Storico dello SME).
Ma non è per la diversa valutazione complessiva del comportamento del nostro esercito che ho ravvisato faziosità nell’intervista. Quest’ultima considera ingiusta la mancanza della “cosidetta Norimberga italiana”, mancanza per la quale fornisce motivazioni storiche di massima condivisibili. Non trova però nulla da eccepire per la mancanza di una Norimberga jugoslava. L’intervista riferisce giustamente che “L’Armata popolare jugoslava di Tito risalendo il territorio nazionale realizzò una generale liquidazione violenta dei collaborazionisti …..” In tali stragi sono da comprendere, come dimostrano i recenti ritrovamenti, dalle 70000 alle 100000 vittime che, rifugiatesi in Austria alla fine della guerra, gli Inglesi avevano consegnato a Tito, così come avevano consegnati milioni di combattenti provenienti dall’URSS, ben sapendo che tutti sarebbero stati immediatamente soppressi. Ma l’intervista non trova nulla da ridire su di una mancata Norimberga inglese. Come non trova da ridire per la mancanza di una Norimberga per gli USA per i loro bombardamenti eccedenti le necessità belliche (Dresda, Nagasaki, ecc.), o francese per le “marocchinate”consentite alle proprie truppe in Italia, o dell’Unione Sovietica.
Si dirà che erano Nazioni che avevano vinto la guerra. Ma il criterio che la giustizia debba essere applicata solo ai perdenti non ha nulla a che fare con il principio di giustizia. Ma la faziosità risulta ancora più evidente dalla citazione della “narrazione dei vinti di Salò, che consideravano ……… la definizione dei confini con la Jugoslavia una mutilazione del territorio italiano”. Ritengo impossibile non riconoscere la cessione di città come Pola, Fiume e Zara come una mutilazione del territorio nazionale, anche se causata da una guerra persa da tutta la Nazione (non solo dai “vinti di Salò”).
Mi lascia quanto meno stupito vedere considerare un attacco militare al battaglione tedesco “Bozen” la deposizione di un ordigno esplosivo in un carretto delle immondizie fatto da Rosario Bentivegna travestito da spazzino. Un attentato che, con le previste conseguenze, costò la vita a circa 375 persone (inclusi i 33 soldati tedeschi, cittadini italiani). Gli attentatori non si presentarono per cercare di evitare la strage delle Fosse Ardeatine o per evitare almeno che altri fossero uccisi al posto loro. A Rosario Bentivegna venne concessa la MOVM e all’altra attentatrice Carla Capponi la MAVM, concessioni oltraggiose per gli altri decorati al Valor Militare. Meraviglia che tutto questo sembri normale per l’intervista, che pure stigmatizza, giustamente, i crimini di guerra.
Non trovo nulla di strano invece su quanto l’intervista afferma a proposito delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Rispecchia le opinioni di quanti, purtroppo tanti, non conoscono bene gli avvenimenti. L’intervista considera le foibe e l’esodo come l’epilogo di problemi che cominciano con il fascismo. In realtà l’esodo dalla Dalmazia non annessa all’Italia dopo la 1^ guerra mondiale, che viene stimato in circa 40.000 persone, ebbe il suo picco massimo nel 1921, prima quindi dell’affermazione del fascismo. Fu il risultato di uno scontro nazionale cominciato dopo il 1848 e in particolare dopo il 1866. Scontro determinato dalla nascita dei Risorgimenti italiano, croato e Serbo, alimentato e sfruttato dall’Austria in funzione anti italiana, specie in Dalmazia.
Se poi si considerano anche i conflitti interetnici dell’ultimo decennio del secolo scorso con le relative “pulizie etniche”, appare chiaro che foibe ed esodo degli Italiani al termine della 2^ guerra mondiale si configurano in una pulizia etnica complicata e condizionata dall’ideologia comunista. Le “pulizie etniche”, che hanno colpito prima gli Italiani e dopo le varie nazionalità slave, fanno quindi parte di un processo di semplificazione etnica conseguente alla ripartizione in Stati nazionali della penisola balcanica, area nella quale questi contrasti si manifestano in modi particolarmente violenti. La Venezia Giulia e la Dalmazia, ai margini di quest’area, ne hanno risentito.
Elio Ricciardi
Elio Ricciardi, è Generale di Brigata. Nato ad Ancora ed esule da Zara, ha prestato servizio in Dalmaria nel 1992, nell’ambito della missione di Osservazione Europea.
L’intervista di Gianfranco Miksa è pubblicata su Libertates con il titolo “Italiani in Jugoslavia, non brava gente”. L’articolo di Frediano Sessi sull’argomento ha il titolo: “Ma i crimini di Tito non si giustificano”.