Per la libertà di silenzio

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Un saggio in difesa dell’ultimo bastione della trascendenza nel nostro mondo: il silenzio

Spazia lo sguardo sulle Highlands mentre il pensiero va ai castelli visti e a quelli che dobbiamo ancora vedere, Urquhart, Eilean Donan, Dunnottar, Elgin. A un certo punto, dal finestrino dell’autobus, vedo due cartelli stradali che indicano Cawdor e Glamis. Un’emozione indicibile, penso alla tragedia di Shakespeare che, assieme al Giulio Cesare, è tra le mie preferite, il Macbeth. Rivedo le streghe che salutano Banquo e Macbeth con ambigue profezie e mi par di udire l’apprensione di Macbeth:<Rimanete, incompiute parlatrici,/e ditemi di più. Thane di Glamis/io so già d’essere, erede di Simel;/ma perché lo sarei anche di Cawdor?>. Il mio fantasticare è, però, interrotto dall’anziana signora che mi sta accanto e che ci parla, ininterrottamente, dei suoi appartamenti, delle spese per la casa, dei fortunati acquisti di ori e di altri preziosi, che le è capitato di fare in varie città italiane. Al viaggio in Scozia è stata invogliata da immagini suggestive viste su qualche rotocalco ma, una volta giunta in loco, getta ai paesaggi occhiate fuggitive giacché la mente e il cuore restano tra le mura domestiche,tra le sue cose, tra gli amici ai quali racconterà le intense(!) emozioni vissute tra laghi e boschi così .
Neppure nei santuari naturali dell’immaginazione letteraria, sugli altipiani immortalati da Walter Scott, nelle brughiere che ancora echeggiano dei (falsi) canti di Ossian, sulle rive del grande mare dove giungono gli echi delle note di Mendelssohn affascinato dalle Isole Ebridi e dalla Grotta di Fingal, è stato possibile ottenere un po’ di silenzio.
Il ‘piccolo mondo contemporaneo’non ama le pause di riflessione, i momenti di raccoglimento: rimanere in silenzio può essere un segno di maleducazione, la riprova che ci si annoia stando con i vicini, persino la rivelazione di una inaspettata misantropia. “Pisa, città dei silenzi!”, ,diceva D’Annunzio di quella che fu un tempo, per il padre Dante, il. Oggi se la laude venisse ricordata in un depliant turistico, sarebbe la fine di quel flusso di visitatori che, sulla via di Firenze, fanno sosta a Pisa. E chi vorrebbe mettere piede in quel mortorio, nel caso D’Annunzio avesse ragione!
La nostra rischia si essere la civiltà del rumore che si sostituisce al suono, impensabile senza il silenzio. Anni fa un collega della Sapienza di Roma, nostro ospite a Nervi, fuggì inorridito dal suo albergo—una elegantissima villa ottocentesca nel verde dell’antiparco—non riuscendo a sopportare il silenzio in cui s’immergeva dopo le 23. I rumori di Roma erano divenuti per lui una droga da cui non riusciva a (né voleva) disintossicarsi. Ogni volta che veniva a Genova, per una conferenza o per una lezione universitaria, il grande Luigi Firpo, al contrario, incaricava il suo più stretto collaboratore di trovargli una stanza d’albergo, da cui si sentisse unicamente il fruscio dei rami mossi dal vento. Ma Firpo, il più grande studioso italiano del Rinascimento, viveva in un’altra dimensione, quella storica, una consuetudine che rendeva le sue lezioni quasi un’evocazione magica dei condottieri, dei principi, dei pontefici che avevano segnato quell’epoca irripetibile.
Mai stato un nostalgico della provincia profonda, fosse quella abruzzese di Ignazio Silone o quella veneta di Antonio Fogazzaro o quella emiliana di Guareschi: i grandi progressi tecnologici–dalla chirurgia ai mezzi di comunicazione di massa, dall’automazione, nelle sue varie forme, al computer e al tablet ormai a disposizione di tutti–vanno, a mio avviso, messi all’attivo del secolo breve ma bisogna pur riconoscere che l’euforia del ‘nuovo’espone al rischio di un ebetismo di massa che ci fa acquistare un dvd solo per il piacere dell’, una moto solo per farci provare l’ebrezza dell’accelerata, col rumore inevitabile che sprigiona, (il fatto di poter raggiungere più facilmente le località amate passa in secondo piano), un frigorifero da laboratori NASA unicamente per mostrarlo agli amici, se è vero che i cibi si conservano altrettanto bene con i frigo comprati al supermarket degli elettrodomestici.
Sono i rumori, però, che ci garantiscono la maggiore ‘visibilità , da quello provocato dall’adolescente che spinge lo scooter a tutto gas (rovinando la marmitta) a quello del gruppo rock che ostenta la sua trasgressività rompendo, fino a tardi, i timpani del prossimo. Per questo il Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità il 2 luglio u.s. ha pubblicato un Appello al Governo, al Parlamento, alle amministrazioni regionali e comunali, alle polizie municipali, ai prefetti, alle forze dell’ordine, per rivendicare .
L’Appello (fra i trenta firmatari ci sono anch’io) esprime un’esigenza sacrosanta ma, a ben riflettere, non affronta (né si proponeva di farlo) l’entità e la gravità della vera e propria tragedia che incomberebbe sul nostro tempo qualora davvero l’umanità venisse privata del dono prezioso del silenzio. Non sono un filosofo ma qualcosa mi dice, per esprimere in poche parole un concetto ben altrimenti complesso e meritevole di approfondimento, che la perdita del silenzio potrebbe essere la caduta dell’ultimo bastione della Trascendenza rimasto ancora in piedi in un società laica e secolarizzata che s’è resa conto di poter fare a meno delle chiese—luoghi di elezione del silenzio, assieme ai cimiteri– e di poter fare leggi e stabilire regole di convivenza etsi Deus non daretur.
C’è silenzio e silenzio:c’è, ad esempio, quello ‘ecologico’ della Pioggia nel pineto: . Ermione, nei bellissimi versi dell’Immaginifico, è invitata a tacere come si invita a tacere lo spettatore in platea quando sta per iniziare il concerto e si spengono a poco a poco le luci in sala. Il silenzio dura un istante poi, improvvisamente, si apre il sipario e la musica ci trasporta in un’atmosfera ‘altra’, dove gli uomini e le loro passioni diventano pura poesia, in virtù della catarsi artistica. Nella Pioggia di D’Annunzio—ed è la ragione del suo fascino profondo che, forse, oggi, con i pericoli che minacciano il nostro habitat naturale, sentiamo più di un tempo– il sipario, però, si apre non sull’orchestra e sul suo direttore ma sulla natura stessa che sembra sfidare Mozart e Rossini con la sua partitura sinfonica eseguita dal vento e dalle acque:<Odi?La pioggia cade/su la solitaria/verdura/ con un crepitio che dura/ e varia nell’aria/secondo le fronde/ più rade, men rade |…| E il pino/ ha un suono, e il mirto/altro suono, e il ginepro/ altro ancora/stromenti diversi/ sotto innumerevoli dita> . Si comprende come il nostro grande pescarese potesse venire tanto apprezzato da un genio musicale come Claude Debussy!
E tuttavia, accanto al ‘silenzio ecologico’, ce n’è uno assai più , se così si può dire, quello ‘metafisico’. Lo si ritrova nel capolavoro di Giacomo Leopardi, L’Infinito, un sonetto sublime che si può solo ascoltare ,giacché ogni commento suona quasi come una profanazione:. Qui non si tace più per ‘cedere il microfono’ alla natura come nella Pioggia sul pineto ma per ‘annegare’ nell’abisso metafisico, per mollare gli ormeggi dal nostro infelice pianeta e librarsi in una dimensione ai confini tra il Tutto e il Nulla assoluti. Ermione resta saldamente con i piedi sulla terra, e il suo corpo si fa cosa, si fa natura, si fa acqua, si fa albero, si fa frutto—–, il solitario del Monte Tabor si lascia decisamente alle spalle la vita nelle sue forme più diverse e l’eco della natura gli rimane dentro solo come il segno, sempre più fioco, dell’incommensurabilità fra il transeunte e l’eterno : . Il vento ora serve soltanto come cornice del Silenzio.
Che cos’è l’Infinito? Sono le orme fantasmagoriche di un Dio che è morto, lasciando che la sua carcassa in miliardi di frammenti si tramutasse in stelle e galassie e buchi neri?E’ il baratro insondabile che un Dio epicureo, nel senso dell’assoluta atarassia e dell’indifferenza alle nostre miserie, ha posto tra sé e il mondo umano? In ogni caso, l’infinito resta il mistero per eccellenza, quello che ci richiama alla nostra radicale nullità, che ci fa sentire prigionieri dell’ come a Giovanni Pascoli appariva il nostro mondo.
Nell’Idillio maremmano,Giosuè Carducci, si faceva quasi il primo ‘filosofo della prassi’, allorché invitava a”passare oltre”, a non alzare gli occhi al cielo: .Il suo consiglio è stato seguito dai protagonisti (intellettuali e politici) del secolo scorso, con gli esiti che stanno ancora davanti a noi!
Recuperare il silenzio ‘metafisico’, in realtà, può significare,non solo la preservazione dell’ultimo anello che ancora ci lega all’esperienza religiosa, ma, altresì, una grande lezione di umiltà per quel Prometeo in sedicesimo che rischia di diventare l’uomo del nostro tempo–un Prometeo che,a differenza dell’eroe mitologico, non si prende più la briga di sottrarre il fuoco agli dei ma pretende che siano gli dei a consegnarglielo, riconoscendolo come un suo inalienabile ‘diritto sociale’. Forse non abbiamo più tanto tempo davanti a noi per riorientare le nostre vite, ma se ne avessimo ancora un po,’ dovremme investirlo proprio nel recupero del silenzio, la nostra paradossale ultima spiaggia.E il silenzio ,tra l’altro, potrebbe insegnarci a guardare, con virgiliana pietas alla storia, ai suoi errori, ai suoi insegnamenti che gli spiriti superficiali non sono mai stati in grado di apprendere. Dalla finestra sull’infinito, non sarebbe più così difficile riflettere,senza boria, sul passato e sul presente—-e, trovandoci nei pressi di Cawdor e di Glamis, ci ritroveremmo con la capacità di risentire, nel silenzio, le voci del genio immortale di Stratford-upon-Avon: . …..A patto che non sia seduta accanto a noi la signora ciarliera che non riesce a stare in silenzio neppure per pochi minuti!

Dino Cofrancesco

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Dino Cofrencesco
Dino Cofrancesco è uno dei più importanti intellettuali italiani nel campo della storia delle dottrine politiche e della filosofia. E' autore di innumerevoli saggi e tra i fondatori dei Comitati per le Libertà. Allergico all'ideologia dell'impegno, agli "intellettuali militanti", ai profeti e ai salvatori del mondo, ai mistici dell'antifascismo e dell'anticomunismo, ha sempre visto nel "lavoro intellettuale" una professione come un'altra, da esercitarsi con umiltà e, nella misura del possibile, "senza prendere partito". Per questo continua, oggi più che mai, a ritenere Raymond Aron, Isaiah Berlin e Max Weber gli autori più formativi del '900; per questo, al tempo dell'Intervista sul fascismo di Renzo De Felice, si schierò, senza esitazione, dalla parte della storiografia revisionista, senza timore di venir accusato di filofascismo.

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