Perchè la proprietà intellettuale è sacra

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cionti
Un’appassionata e documentata difesa del diritto alla proprietà intellettuale

Alessandro Litta Modignani ha recentemente commentato, su questo sito, il saggio di Fabio Macaluso: “E Mozart finì in una fossa comune – Vizi e virtù del copyright” (Egea), nel quale si afferma che- siccome, a seguito dell’avvento di internet, c’è chi propugna l’abolizione tout-court dei diritti di copyright- questi diritti vanno salvaguardati, ma che d’altra parte il sistema attuale è superato, irrazionale e anti-economico, cosicché vengono proposte alcune riforme. La conclusione di Litta Modignani è che << se i teorici di una “nuova economia della liberalità” tentano paradossalmente di mettere d’accordo l’ideologia “di sinistra” fautrice dell’uso gratuito dei beni comuni, con il liberismo puro “di destra”, che rifiuta qualsiasi intervento normativo – più realisticamente Macaluso ribadisce che, anche in questo caso, l’unica alternativa reale è tra il corretto svolgimento del mercato e il caos. Senza i diritti di copyright, gli autori sarebbero destinati alla fine del grande Amadeus, morto povero al punto da non potersi pagare neppure un funerale e una tomba >>. Tralascio il discorso sul merito delle riforme suggerite che sarebbe troppo lungo e mi soffermo brevemente sulla sopravvivenza del diritto d’autore e della proprietà intellettuale in genere che, lungi dal riguardare solo gli artisti e gli inventori, è la vera questione di fondo dell’economia globale, le cui imprese leaders non sono più le industrie manifatturiere, ma Google, YouTube e simili.
Dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, il comunismo- più o meno mascherato da “sinistra”- non ha osato più sostenere apertamente l’abolizione della proprietà privata dei beni materiali (limitandosi a cercare di eroderla lentamente con patrimoniali varie) e ciò sia per l’inattendibilità della tesi di fronte alle dure repliche della realtà; sia per la sempre più evidente e crescente perdita di valore di questo tipo di beni rispetto ai beni immateriali: è risultato sempre più chiaro e inoppugnabile che il “bene” vero era l’idea di utilizzare un ramo d’albero come clava e non certo il pezzo di legno secco rinvenibile in natura in misura praticamente illimitata. Senza contare che l’appropriazione dell’idea si prestava meglio ad essere travisata in “uso gratuito dei beni comuni”, secondo il tradizionale metodo comunista di orwelliana memoria.
Sennonché il diritto di proprietà su bene immateriale- opera o invenzione che sia- non solo è quello di maggior valore, ma anche il più saldamente e giustamente fondato, rispetto a quello molto più antico ed ora indiscusso su bene materiale, per almeno tre motivi che riassumo telegraficamente:
1. Approssimativamente possiamo dire che la proprietà sul bene materiale nasce dalla necessità di proteggere l’intervento dell’uomo sulla natura, e riservargli i frutti del suo lavoro: la raccolta è libera, l’agricoltura è protetta. Giusto o meno che sia, sta di fatto che le conseguenze sono che: a) La terra acquisita viene sottratta alla comunità; b) I frutti della coltivazione non sono attribuibili tutti al lavoro. La parte della terra, di per se considerata, resta rilevante.
Viceversa l’autore/inventore non sottrae nulla a nessuno, crea un nuovo bene che prima non c’era e che non ci sarebbe mai stato senza di lui. Certo, anche la sua creazione è basata sul preesistente patrimonio comune di conoscenze, ma questo non viene sottratto, né in tutto né in parte, resta nella piena disponibilità della comunità e chiunque può continuare ad utilizzarlo: la proprietà intellettuale è rigorosamente limitata alla creazione.
2. L’acquirente di un oggetto materiale dispone subito di un bene, che ha un suo valore di mercato, del tutto indipendentemente dal suo valore sociale. L’autore di un’opera intellettuale, pur avendola già creata, non ha ancora nulla di economicamente rilevante, finquando ( e può non bastare una vita, come è capitato a Tomasi di Lampedusa, piuttosto che a Van Gogh ) non ci sarà qualcuno che la condivida e la faccia sua, perché solo quando, ed esattamente nella misura in cui, diventa un bene per ciascun altro, diventa anche bene economico per il suo autore. E, mutatis mutandis, analogo discorso vale per l’inventore.
3. La proprietà di un bene materiale non ha limiti temporali, alcune famiglie possiedono ancora oggi castelli ereditati dai loro antenati che li hanno costruiti anche mille anni fa. La proprietà intellettuale ha un variabile limite temporale. Dopo, l’opera o l’invenzione diventa proprietà dell’umanità.
Dunque distruggere il diritto di proprietà intellettuale, giustamente definito “sacro”, non solo non è meno grave che distruggere la proprietà sui beni materiali, ma lo è molto, molto di più, perché è anche un delitto nei confronti dei più meritevoli, che non prendono e non chiedono niente a nessuno; si assumono tutto il rischio della loro “impresa”; e ne ricavano un compenso solo se, quando, ed esattamente quanto, il relativo “prodotto” è riconosciuto come indubitabilmente valido, concretamente, con l’acquisto. Né internet ha cambiato i termini della questione. Anzi. Coloro che scaricano i files di audio, video e testi sono da considerarsi veri e propri rapinatori, perché non si limitano ad appropriarsi di un bene appena nato con la loro utilizzazione, ma scambiandolo acquisiscono altri beni immateriali, cioè sfruttano il diritto sul bene sottratto, in luogo dell’autore.
Allora si riformi e razionalizzi quanto si vuole, ma sempre e soltanto nel senso di rendere effettiva e ineludibile la proprietà intellettuale.

Ferdinando Cionti

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Ferdinando Cionti
Ferdinando Cionti è avvocato a Milano ed è stato professore a contratto di Diritto Industriale per il Management presso l’Università di Stato di Milano Bicocca, facoltà di Economia, dipartimento di Diritto per l’economia. La sua concezione del diritto è sintetizzata nel saggio "Per un ritorno alla certezza del diritto", pubblicato su Libertates. Ha pubblicato numerosi saggi, tra cui "La funzione del marchio" e "Sì Logo" (Giuffrè). Per LibertatesLibri è uscito "Il colpo di Stato", presente nello Store di Libertates. Quale collaboratore dell’ “Avanti”, ha seguito quotidianamente le vicende di Mani Pulite.

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