Nella città dov’è nato il Pci la sinistra è stata duramente sconfitta
E il centrodestra è scomparso nel nulla
Le ultime elezioni amministrative hanno fatto registrare alcuni forti scossoni politici. Il più importante, senza dubbio, è il risultato di Livorno, dove Filippo Nogarin (Movimento 5 Stelle) ha avuto la meglio sul candidato del Pd Marco Ruggeri. Il risultato labronico ha avuto lo stesso effetto di un terremoto, visto che Livorno non è una città come le altre. Tra le toscane è sempre stata la più “rossa” e si è sempre vantata di aver visto nascere il Pci, nel lontano 1921.
Secondo alcuni i “comunisti” livornesi hanno voluto “punire” Renzi per le sue origini democristiane. Ma se così davvero fosse non si spiegherebbe il risultato del Pd alle Europee, che a Livorno ha preso 45mila voti, cioè quasi il 53%. Al ballottaggio, invece, il candidato sindaco della sinistra non ha raggiunto la soglia dei 32mila voti (46,9%). Molto più probabile, dunque, che la città abbia voluto mandare un segnale forte, punendo la classe dirigente locale che ha sempre governato all’ombra dei Quattro mori. In particolare contro l’ultima gestione, quella di Alessandro Cosimi (2004-2014). E qualcuno maliziosamente ha anche sottolineato il fatto che Ruggeri non era un uomo di Renzi…
Un grosso scossone si è verificato anche a Perugia, dove Andrea Romizi (Forza Italia) ha battuto il candidato del centrosinistra con il 58% dei consensi, contro il 41,9% raccolto da Wladimiro Boccali. Anche quella umbra era una storica roccaforte della sinistra. Che dire del risultato di Pavia, dove il giovane Flavio Cattaneo (Forza Italia), considerato il sindaco più amato d’Italia (sondaggio Ipr 2013), è stato clamorosamente sconfitto dal candidato di centrosinistra Depaoli. Che abbia pagato più di quanto si potesse immaginare le faide interne al proprio partito?
La democrazia compiuta prevede l’alternanza. Su questo non ci sono dubbi. Dunque, laddove questa si verifichi al seguito del voto popolare, non può che essere una buona notizia. Quando vince solo e sempre lo stesso schieramento non c’è vera democrazia, o meglio, può anche esserci ma non è compiuta, com’è stato per decenni in Italia a causa del cosiddetto bipartitismo imperfetto, termine con cui il professor Giorgio Galli definì il nostro sistema politico a causa del fatto che il Pci, schierato a fianco dell’Unione sovietica, non avrebbe mai potuto governare il Paese. Di fatto i due partiti egemoni (la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano) per decenni si sono confrontati e scontrati alle elezioni senza che si producesse alternanza alla guida delle istituzioni. Con tutti i danni che ne sono derivati.
Non è la prima volta che si verifica un ribaltamento degli assetti politici nelle elezioni comunali. La legge elettorale introdotta nel 1993, quella che prevede l’elezione diretta del sindaco, infatti, serve anche a questo. E ci sono stati, nel corso degli anni, grandi cambiamenti. Il più forte, sino ad ora, era stato quello del 1999 a Bologna, altra storica roccaforte della sinistra. Quell’anno il comune felsineo passò sotto il controllo del centrodestra, guidato da Giorgio Guazzaloca. I giornali parlarono di “crollo del Muro di Bologna”, a sottolineare che la sconfitta della sinistra sotto le due torri era una svolta epocale, proprio come la caduta della barriera di cemento che per decenni aveva diviso in due Berlino. Un altro scossone forte si era verificato a Milano nel 2011, quando il sindaco uscente Letizia Moratti (Forza Italia) era stato sconfitto dal candidato espressione della sinistra radicale, Giuliano Pisapia.
Ma se il meccanismo dell’alternanza sembra funzionare, grazie anche alla legge elettorale dei Comuni (a detta di molti il sistema che meglio ha funzionato e che andrebbe quindi replicato a livello nazionale), dov’è l’eccezionalità del voto di Livorno? La risposta è molto semplice. Quella che negli ultimi venti anni è stata la maggiore forza politica di opposizione (il centrodestra), non esiste più. Al ballottaggio il suo elettorato in gran parte è rimasto a casa. Chi invece ha scelto di esprimere il proprio voto lo ha fatto optando per il Movimento 5 Stelle. Non per convinzione o adesione al programma, ma semplicemente come gesto di ribellione nei confronti di una classe dirigente che per decenni ha governato (evidentemente non troppo bene) la città toscana. Marco Ruggeri (Pd), il consigliere regionale che aveva stravinto le primarie del centrosinistra (76,5%), è stato sconfitto da Nogarin al ballottaggio. E quest’ultimo, che partiva dal 19% raccolto al primo turno (contro il 40% di Ruggeri), al ballottaggio ha compiuto lo storico sorpasso, sconfiggendo il suo avversario con il 53% dei voti (contro il 47%). Alla fine la differenza è stata di “soli” 4.140 voti. Sicuramente, astensione a parte, ha influito l’appoggio dato al M5S da qualche influente esponente del centrodestra (qualcuno lo ha ammesso chiaramente). Lo stesso si era verificato a Parma nel 2012 con la vittoria, sempre al ballottaggio, di Federico Pizzarotti (M5S).
La domanda sorge spontanea: a parte far perdere i candidati del centrosinistra, non dovrebbe, il centrodestra, puntare a far vincere i propri uomini?
di Orlando Sacchelli