Il problema banche in Italia
Le banche italiane avrebbero buoni motivi per rallegrarsi:
la UE ha concesso la possibilità di un aiuto, se pur temporaneo, in caso di tempesta sui mercati;
la maggiore banca della maggiore economia europea, la Deutsche Bank, è stata apertamente indicata dal FMI come la banca in situazione più precaria in tutta l’economia europea;
in Europa ci si comincia a rendere conto che la Germania non può continuare a fare quello che vuole: ha deliberatamente escluso le banche locali (Landesbanken e Sparkassen) dal campo d’azione della Bce proprio per continuare a gestire tramite loro gli intrallazzi di politica locale, proprio come in Italia…
Ma c’è ben poco di positivo per le banche italiane; la loro crisi viene da lontano, non è dovuta solo alle difficoltà attuali e non sembrano in vista soluzioni valide.
Infatti già quarant’anni fa il non dimenticato Guido Carli definiva il mondo bancario italiano “una foresta pietrificata”: dove nulla si cambiava né si modificava, le poche modifiche erano sono apparenti: pochissime le fusioni (specie tra le popolari e le banche di credito cooperativo); la riforma “epocale” della loro trasformazione in società per azioni si è risolta in un passaggio di poteri dalle banche alle relative fondazioni che hanno sperperato il capitale in sovvenzioni a pioggia anziché investirlo; pochissimi aumenti di capitale (tanto necessari) per non far perdere il controllo ai soliti potenti locali; eccetera.
Le banche sono società come tutte le altre imprese: guadagnano se i ricavi sono superiori ai costi (conto economico) e stanno in piedi se il capitale a disposizione (conto patrimoniale).è sufficiente.
Attualmente il conto economico è in gravi difficoltà perché a fronte di ricavi in diminuzione (meno interessi su prestiti, meno utili da intermediazione) ci sono costi spropositati (una rete di filiali che si è sviluppata in maniera abnorme quando si riteneva che la forza di ogni istituto si misurasse dal numero di agenzie) e il conto patrimoniale si regge su una quantità di prestiti ormai inesigibili (concessi quando era importante aiutare non chi aveva imprese sane, ma gli amici degli amici) e su masse di buoni del tesoro e di obbligazioni Bce comperate per lucrare sulla differenza dei tassi di interesse).
Come si cerca di ovviare? Iniettando capitale fresco e acquistando i “non performing load” (bellissima espressione per indicare prestiti che non verranno più restituiti) a prezzi fuori mercato attraverso un fondo fintamente privato (il fondo Atlante costituito per buona parte dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè dai soldi depositati dai cittadini presso le Poste), rimborsando coloro che hanno basso reddito e hanno acquistato obbligazioni risultate poi fasulle, sperando nelle norme della Bce per convincerle a fondersi, ecc. ecc.
Per Libertates la soluzione dovrebbe essere più chiara e davvero liberale.
Le società che non sono in grado di continuare la propria attività (“non sono in grado di garantire la continuità aziendale” secondo un’altra elegante formulazione) dovrebbero essere lasciate fallire come tutte le altre imprese (perché deve poter fallire un imprenditore qualsiasi e non un banchiere?).
In questo modo:
- si toglierebbero dal mercato aziende ormai decotte che assorbono inutilmente energie e risorse (per non far esempi il Montepaschi per cui non si trova nessun compratore)
- si inizierebbero subito azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori: se ci sono gli estremi per una bancarotta fraudolenta ne risponderebbero sia in sede penale sia in quella civile. Ad esempio tutti coloro che hanno venduto obbligazioni e azioni della propria banca ai clienti ignari modificando i profili di rischio (come la Banca Etruria) dovrebbero rispondere di truffa aggravata. E uno come Zonin (che per vent’anni è stato il padre padrone della Popolare di Vicenza) se fosse stato un banchiere statunitense ora si troverebbe quasi sicuramente dietro le sbarre e non nella sua villa con un’accusa di semplice aggiottaggio
- tutti coloro che sono stati truffati con la vendita di azioni e obbligazioni a prezzi irreali e con promesse (false) di riacquisto potrebbero venire risarciti non con soldi pubblici (perché io cittadino debbo rimborsare chi ha acquistato incautamente obbligazioni della Banca Etruria e non il dipendente dell’artigiano fallito che si trova sul lastrico senza nessuna colpa?), ma con i beni dei responsabili dei fallimenti
- le banche fallite potrebbero riprendere immediatamente l’attività garantendo comunque depositi, prestiti e dipendenti: il caso Banco Ambrosiano resta come esempio.
Si tratta insomma di applicare anche in questo caso regole chiare, semplici e uguali per tutti: chi sbaglia paga e chi non ha colpe viene risarcito; altrimenti, come spesso accade, saremo forti con i deboli (l’artigiano, il bottegaio perseguitati da Equitalia) e deboli con i forti (lo Zonin che continua a vivere nella sua splendida villa veneta.
di Angelo Gazzaniga