Perché l’Islam non crede ai diritti umani (I)

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La prima parte di un saggio in cui un liberale che vive da tempo in Tunisia e che è un profondo conoscitore dell’Islam affronta uno dei temi peculiari di questo mondo: il rapporto con i diritti umani.

Presentare l’immensa materia dell’Islam con un semplice articolo sarebbe estremamente riduttivo e fuorviante. Mi limiterò, quindi, a introdurre le varie realtà che mostra l’Islam di oggi, in particolare quello ortodosso e la sua propaggine “deviata”, partendo della nascita del pensiero e del linguaggio politico islamico delle origini, e proseguendo, quindi, al confronto tra la cultura Islamica e quella Occidentale. Culture che si sono evolute nel corso dei tempi all’insegna della civiltà dei diritti dell’uomo, da una parte, e quella che, ancora oggi, fa esclusivo riferimento al sistema sociale improntato alla legge di Dio: la Sharia.
Alcune considerazioni introduttive potranno meglio inquadrare l’attualità e la concretezza del confronto islam-occidente, partendo proprio da alcuni fatti materializzatisi nell’ultimo periodo:
In Tunisia, in occasione del 10° congresso del partito Islamista Al Nhadha (Rinascita) tenutosi a fine maggio 2016, è stata acclamata e approvata l’apparente definitiva separazione tra la dimensione politica e quella religiosa del partito. “L’Islam politico non ha più alcuna giustificazione in Tunisia. Al Nahdha si occuperà solo ed esclusivamente di attività politica, non di religione. Sarà un bene per i politici, che non saranno più accusati di strumentalizzare la religione. E lo sarà per la religione, mai più ostaggio della politica. …. Da oggi in poi Nhadha sarà una componente democratica musulmana ispirata alla civilizzazione islamica e a quella moderna” (Rachid Ghannuchi, Presidente di Al Nahdha);
il perseverare della guerra di “Religione” all’interno stesso dell’Islam, di cui quella tra Arabia Saudita e Iran (Sunniti contro Sciiti, di cui Yemen e Siria ne sono le massime esemplificazioni) e tra sunniti del Califfato e resto dell’Islam, non hanno fatto altro che ribadire l’attaccamento all’antica matrice “salafita”, per un Sunnismo Deviato (ISIL, ma anche Fratelli Musulmani, Al Qaeda Maghreb, Al Nousra e tutto ciò che si ispira a un Islam violento) inneggiante alla purezza dell’ Islam delle origini e un ritorno alle più restrittive forme di wahabismo salafita;
Le stragi “jihadiste” dell’ultimo periodo (Orlando in Florida, Dacca in Bangladesh, Nizza e lo sgozzamento del canonico a Rouen), tutte rivendicate dallo Stato Islamico, insieme ai numerosi interventi armati e attentati terroristici perpetrati da frange fondamentaliste islamiche (sempre di seconde e terze generazioni di emigrati), in Europa e negli USA, confermano la presenza, anche in Occidente, di una cultura salafita fondamentalista che tende ad affermarsi sempre di più nelle enclave musulmane di molte città (paesi nordici, Francia, Belgio, Inghilterra e Germania), che pretende voler essere di guida e di riferimento per l’affermazione di un Islam Europeo, partendo dalle sue forme più radicalizzare e violente;
Il quadro introduttivo, dunque, è quanto mai caotico, dove politica, jihad, filosofia, teologia, sociologia (ed economia) si fondono in un tutt’uno, creando incertezza e confusione che, nonostante gli sforzi da più parte avanzati, diventano sempre più dominanti nelle attese, in particolare, del mondo occidentale. Occidente che, ahimè, incomincia a manifestare una inconscia “paura”, non a causa del concretarsi di qualche minaccia alla propria identità, ma soprattutto a causa del quasi completo abbandono e quindi della mancanza di quei valori di riferimento che, seppur ne hanno condizionato l’evoluzione, sono state letteralmente superate dal progresso e dall’emancipazione sociale. Quegli stessi valori che, nati dalla tradizione romano-cristiana, si sono poi sincretizzati attraverso, la “magna carta”, l’umanesimo medievale, il rinascimento e l’illuminismo, per convogliare dunque nella dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948. Baluardo e riferimento unico delle carte Costituzionali dell’insieme delle nazioni dell’Occidente.
Ma che cosa si deve intendere per Islam oggi?
Il significato etimologico di Islam è “sottomissione, abbandono completo a Dio”. Quindi, l’Islam indica l’insieme dei popoli che nel corso dei tempi si sono sottomessi al verbo di Dio, secondo la Rivelazione ricevuta da Maometto nel VII secolo d.C.
In particolare, l’Islam di oggi contempla 1,7 miliardi di fedeli, che corrisponde al 25% della popolazione mondiale. In quanto religione monoteista, è la seconda religione del mondo per consistenza numerica e vanta un tasso di crescita particolarmente significativo. Come suddivisione demografica, il 14% dei musulmani vive in Indonesia, che è anche il paese musulmano più popoloso, il 26% nell’Asia meridionale, il 20% in Medio Oriente e il 15% nell’Africa subsahariana. Minoranze considerevoli (in netto aumento in questi ultimi anni) si trovano soprattutto in Europa, ma anche in Cina, Australia, Russia e America.
Per dare subito un parametro di riferimento con la realtà mondiale, riporto le previsioni di crescita della popolazione musulmana rispetto alle altre (in particolare quella cristiana che a tutt’oggi ne detiene il primato con il 33%), secondo uno studio del Pew Research Center di Washington (http://www.pewforum.org/2015/04/02/religious-projections-2010-2050/). Tranne il buddismo, entro il 2050 tutte le religioni saranno più numerose. Ma i più veloci a crescere nelle prossime quattro decadi saranno i musulmani e per quella data ne è previsto il sorpasso sui cristiani grazie all’alto tasso di filiazione che si continua a registrare. Nello studio, i paesi di maggiore interesse che non avranno più la maggioranza cristiana nel 2050 sono così identificati: l’Australia passerà dal 67,3% (2010) al 47% (2050); il Regno Unito dal 64,3% al 45,4%; il Benin dal 53% al 48,5%; la Francia dal 63% al 44,1% (non tutti cristiani); Repubblica di Macedonia lascerà al 56,2% di musulmani la maggioranza relativa; l’Olanda dal 50,6% di cristiani, passerà ad una maggioranza monoteista non ben definita.
Dunque, l’Islam è una “cultura” altra che per indirizzo umano ben si differenzia da quella Occidentale e, soprattutto, è, oltre che una religione, una civiltà, raggruppando in sé il complesso degli aspetti giuridici, sociali e culturali relativi alle diverse collettività che ne fanno parte.
A meno di varianti democratiche significative che sono andate a interessare nazioni quali l’Indonesia, il Pakistan, la Turchia (?) e ultimamente anche la Tunisia, il parametro culturale sulla base del quale viene organizzata la società musulmana è la Sharia. Cioè la conversione in testo giuridico delle norme sociali e religiose fatte da giuristi-teologi (sin dal VII° secolo, esistono quattro scuole giuridiche nell’Islam) di quanto è tracciato da Dio nel sacro Corano. È questo un dettaglio da rimarcare opportunamente, perché l’Islam nella sua evoluzione storica si è da sempre manifestato attraverso la conversione del Verbo di Allah in testo giuridico-sociale (inizialmente interpretato dal solo Profeta Maometto – da cui ne sono derivate le Hadith: detti e modi del Profeta!). L’Islam racchiude tre particolari significati: la Fede che “dirige”, il Retto Comportamento che “obbliga” e la Sottomissione per il corrispettivo “guadagno ultraterreno”. Secondo un filosofo/teologo contemporaneo egiziano, Sayyid Qutb (1906 – 1966 autore del più diffuso e noto commentario al Corano, nonché ideologo dei Fratelli Musulmani e con ogni probabilità anche dell’ISIL), l’Islam è la religione “dell’unificazione tra tutte le forze dell’essere: è la religione dell’Unicità. L’unico suo scopo è determinare il significato dell’adorazione di Dio nella vita umana secondo il Corano. (….) La realizzazione di questo scopo rimane impossibile sino a quando distingueremo nella nostra vita due parti: la materia e la spirituale. L’Islam unifica l’atto del culto e l’atto sociale, il Dogma e la Legge, lo spirito e la materia, i valori economici e quelli essenziali, l’aldiquà e l’aldilà, la Terra e il Cielo”.
Sin dalle origini, come sottolineato dalle stesse scuole giuridiche/teologiche, la retta fede, che viene esercitata attraverso l’”ortoprassi”, comprende anche regole sociali, perché la rettitudine del comportamento esteriore è la precondizione della rettitudine dello spirito e dell’anima. L’Islam è dunque Religione e Mondo, Religione e Stato (teologo Ibn Taymiyya 1263-1328), cioè nell’Islam vi è una stretta imprescindibile interazione tra Religione e Politica. In quanto tale, l’Islam, in particolare nella sua componente ortodossa, è anche una ideologia!
Ne consegue che in ambito musulmano la stessa dizione ‘diritti dell’uomo’ viene contestata, poiché pone l’uomo in posizione superiore se non in opposizione rispetto a Dio. Secondo la cultura islamica si dovrebbe parlare in primo luogo dei diritti di Dio e poi di doveri dell’uomo, che sono tali in quanto concessi da Dio (il concetto di predestinazione è tipico della cultura islamica!) secondo la rivelazione coranica.
Certo è che, per chi si avvicina all’Islam per motivi di studio, il solo leggere il Corano rende chiaro il messaggio politico in esso contenuto. La parola Corano significa “recitazione”, che già di per sé rende l’idea della mera recitazione mnemonica, da parte del fedele. Approfondendo gli aspetti storiografici, ci si rende anche conto che quando le Sure (capitoli) del Corano furono “rivelate all’uomo” attraverso Maometto, l’arabo era solo un insieme di dialetti, tutti appartenenti allo stesso ceppo semitico. Un dialetto che divenne lingua perché per diffondere l’Islam nelle terre lontane si rese necessaria la forma scritta.
Ma è solo cinquant’anni dopo la morte del Profeta che, la necessità di poter fare leggere a tutti il Corano e di impedire errori di recitazione anche da parte dei molti arabi poco colti, fu avviata una riforma ortografica con l’introduzione di ben 12 punti diacritici e segni di vocalizzazione presi dal siriaco (su un totale di 27 caratteri).
Anche dopo questa sostanziale riforma, motivi teologici imposero il solo mero apprendimento mnemonico. Il teologo Al Ghazali (Iran 1058-1111), infatti, proprio per contrapporsi all’antecedente filosofia della scuola Mutazilita (748 d.C., Bassora-Iraq: professava una sintesi tra razionalismo greco e la lettura del Corano) decretò l’incontrovertibilità di alcuni dogmi e l’intoccabilità del messaggio coranico:
Il Corano è la parola di Dio dettata alla lettera e senza intermediazione e rivelata attraverso Maometto (Mohammed);
Rappresenta il percorso predestinato per ogni musulmano;
Il Corano è increato e consustanziale con Dio che è eterno (tesi accettata anche dalla scuola giuridica Asharita). (Questo concetto/dogma ha dato origine all’inclinazione, da parte della quasi totalità dei pensatori musulmani, a considerare l’epoca di Mohammed e dei suoi fedeli amici (i primi quattro Califfi) come l’età d’oro dell’Islam, in cui una unica visione tra religione e politica, etica e comunità ha consentito realizzare la SOCIETA’ ISLAMICA PERFETTA. La politica applicata in quel periodo è quindi da porre come riferimento costante e imitata e perseguita nel tempo);
Il Corano rappresenta il Verbo (Kalam=parola), un Attributo di Dio, diretto senza intermediari a ogni singolo fedele;
Nella sostanza, con Al Gazali fu eliminata ogni possibilità di unire la logica all’interpretazione del Corano, dando libero sfogo sia all’ortodossia sia, ancor di più, alla rigidità del comportamento violento dei Jihadisti islamici che, sin da allora, iniziarono a mirare alla Società islamica perfetta!

di Fabio Ghia

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