Dell’Ucraina si parla sempre meno. Ma attenti alla lezione della storia: se per convenienza si da ragione al Paese più forte c’è il rischio di finire come a Serajevo
Malgrado l’inasprimento del conflitto armato tra forze governative e cosiddetti “filorussi” nelle regioni di Donec’k e Luhans’k nell’Ucraina orientale, accompagnato da un’emorragia costante di morti da entrambe le parti dei fronti contrapposti, e da una fiumana di vittime innocenti (veri “esodati”) che forzatamente abbandonano i propri territori per cercare rifugio altrove, i telegiornali delle reti nazionali italiane tacciono o si dilungano sull’altrettanto intricata e sanguinosa questione di Gaza, evitando di aggiornarci sulla situazione Ucraina. Dopo il breve scalpore suscitato dall’abbattimento dell’areo malese (18.07.2014), faccenda scabrosa che non poteva essere ignorata dai nostri media, la spinosa questione ucraina è passata di nuovo sotto silenzio. Non è necessario essere un esperto di identità culturale italiana e di politica internazionale per comprendere la posizione blanda della politica estera italiana nei confronti della Federazione Russa e la sottovalutazione delle cose ucraine. A questo proposito si incastonano due aspetti strettamente interrelati: da un lato la superficiale conoscenza che si ha in Italia dell’Ucraina, della sua storia e della sua identità linguistico-culturale; dall’altro, la posizione “strategica” del governo italiano nei confronti della Federazione Russa, atta a non alienarsi chi ci ha acquistato “a suon di accordi commerciali”.
Nel primo caso si tratta dell’esito scontato delle riforme universitarie dell’ultimo decennio che considerano le lingue, letterature e culture cosiddette “meno importanti” un gravoso onere da abolire per le nuove “fabbriche di cultura e laureifici” italiani, dimenticando sovente che l’ignoranza di una tale formazione linguistico-letteraria condiziona severamente non solo i futuri filoni di ricerca che, nel caso delle lingue slave, sono dominati dal russo, ma anche i futuri corpi diplomatici e politici. Il fatto poi che una grande fetta della forza lavoro italiana sia costituito da ucraini non agevola l’immagine esteriore che si acquisisce di questo Paese ricco di cultura e storia.
Il secondo aspetto, collegato al primo, comunica alla comunità internazionale, in particolar modo alla Germania, Polonia e altri Paesi dell’ex blocco socialista, oltre che alla stessa Ucraina, un’ingenuità e un’inettitudine di fondo della nostra politica rispetto alla situazione determinatasi ai confini ucraini. Tale posizione è formalmente espressa dalle scelte del governo italiano nel volere imporre all’Unione Europea il ministro¹ Mogherini, la cui inadeguatezza a ricoprire l’incarico conferitole è stato più volte oggetto di dibattito politico in Italia e all’estero. Poiché non intendo essere reiterativo, condividendo appieno la lucidissima analisi condotta da Dario Fertilio su Libertates² sull’utilità politica di siffatte scelte, mi preme semplicemente sottolineare la pericolosità di sostenere il neo-imperialismo russo, in cambio di alcune risorse naturali nell’immediato. Un simile atteggiamento mostra ancora una volta la poca lungimiranza della nostra politica nell’avallare scelte di ampliamenti ingiustificati di territori da parte di Stati militarmente più agguerriti e la tendenza ad aggrapparsi al più forte, errore già commessoin passato.
Inoltre, se noi dovessimo applicare lo stesso principio ispiratore della politica espansionistica russa (annessione della Crimea, intenzione di dividere l’Ucraina, creazione di zone cuscinetto in Transnistria e Ossezia), allora perché non abbiamo richiesto, a seguito dello sfaldamento della ex Jugoslavia, la restituzione dell’Istria? Perché non abbiamo ricordato ai russi che Chersones (odierna Sebastopoli) è stato colonia greca, quindi romana ecc.?
Se si trasmette l’idea che lo Stato militarmente più preparato e più ricco di risorse ha sempre ragione e che i confini stabiliti all’indomani delle due guerre mondiali e alla fine dell’epoca sovietica sono agevolmente modificabili, si corre il rischio di innestare una miccia destabilizzante dell’intero sistema globale: non si dimentichi la lezione di storia avvenuta nel 1914!
Salvatore Del Gaudio