E’ proprio vero che bisogna morire per essere presi in considerazione, o celebrati a dovere. Piero Ostellino se ne è andato nella solitudine della casa in Francia, sempre accanto alla sua Marisa, punto centrale dell’esistenza. Piero era uomo dai principi saldi, liberale vero, integro, severo, alla mano, sapeva capire la qualità di chi gli stava intorno. Corrispondente di successo in Russia e Cina, quando nessuno voleva andarci, si era ritrovato alla direzione del ‘Corriere della Sera’ nei momenti turbolenti del post P2 e fra le divisioni violente ingigantite negli anni di Alberto Cavallari. Ci aveva in gran parte riportato la pace, il senso civile del vivere fra amici e colleghi, nelle riunioni di redazione ci ricordava l’importanza dell’appartenenza al Club del Corsera, del lavoro in gruppo , in condivisione si dice ora, specie fra i desk più litigiosi. Aveva nervi d’acciaio, quando si prendeva arrabbiature furibonde, dopo il lavoro telefonava alla moglie, andava a casa dormiva saporitamente e tornava in redazione sereno. Difficile oggi capire l’importanza di quella calma. Aveva uno sguardo internazionale, diffidava del comunismo, nutriva molta passione per la cultura scientifica oltre che politica, ma si fidava e affidava in libertà i servizi sulla cultura generale letteraria e artistica, puntava su Sciascia di cui aveva pubblicato a puntate il romanzo ‘La strega e il capitano’ illustrato da Alik Cavaliere, aveva chiamato alcuni intellettuali , non solo del suo Centro Einaudi, ma quelli che considerava liberali come lui, Renato Mieli padre di Paolo, Giuliano Ferrara, Giuliano Urbani, Marcello Pera, Saverio Vertone, dava gran voce a Leo Valiani, voleva architetti e designer allora poco noti come Renzo Piano, Mario Botta, infine era fanatico della Juventus. Milano era ai suoi piedi, anche se la coppia Ostellino era refrattaria ai salotti: ricordo il giorno in cui d’improvviso seppe di essere licenziato dall’azienda che amava, non si scaldò: “io non devo certo vergognarmi di niente” disse, e continuò i suoi studi, la direzione dell’Ispi, senza mai lagnarsi, salvo quando la matrigna ‘Corriere dell Sera’ non volle trattenerlo dopo mezzo secolo, e se ne andò al ‘Giornale’. Marisa pianse, lui si rifugiò in Provenza senza mai lamentarsi.
di Fiorella Minervino