Pio XII, un film lo riabilita, ma la stampa cattolica non vuole

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Un coro di proteste da parte della stampa cattolica verso il film della Marabini: perché?

«Un film che fa male alla Chiesa» ha scritto Famiglia Cristiana, un «prodotto ingenuo e di conseguenza poco credibile« ha rincarato l’Osservatore Romano, affiancato da l’Avvenire: stroncature indirizzate non a un film che sminuisce, accusa o calunnia la Chiesa ma, al contrario, a un film che ha il coraggio di riabilitare la reputazione di Papa Pio XII, il papa più calunniato della storia.
Diretto da Liana Marabini con attori del calibro di Giancarlo Giannini e Christophe Lambert, il film “Shades of Truth”, “Sfumature di verità”, si basa sul lavoro dello storico e diplomatico ebreo Emilio Pinchas Lapide, che attribuì a Pio XII il salvataggio di 800 mila ebrei.
Questo dato storico fu attestato dalle più alte autorità del mondo ebraico, a partire da Golda Meir, che alla morte di Eugenio Pacelli scrisse in un telegramma: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i 10 anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime”. E che nessuno tra gli uomini di Stato e le autorità religiose del tempo si fosse prodigato quanto Pio XII per salvare gli ebrei lo testimoniò a suo tempo anche il New York Times, che per due Natali di seguito, nel 1941 e nel 1942, definì quella del Pontefice «una voce solitaria nel silenzio e nel buio che avviluppano l’Europa» e «l’unico capo di stato rimasto sul Continente europeo che osi minimamente alzare la voce».
Dalla stampa americana si ricava anche la smentita delle accuse postume a Pacelli di essere stato amico dei nazisti quando era Nunzio in Germania: il 3 marzo 1939 sul Los Angeles Times la notizia dell’elezione di Pio XII fu data con il titolo «Cardinal Pacelli elected as 262nd Pope; Choice Regarded as a Blow to Nazis», «Pacelli eletto 262mo Papa; la nomina considerata un duro colpo ai nazisti».
Nonostante la dovizia di testimonianze e prove contrarie, fra cui la clamorosa conversione del rabbino di Roma, Israel Zolli, che volle onorare il Papa che tanto aveva fatto per gli ebrei scegliendo di essere battezzato con il nome di Eugenio, questo stesso Pontefice viene accusato di non aver taciuto sullo sterminio degli ebrei, di aver impedito la pubblicazione di una enciclica fatta preparare da Pio XI contro il nazismo, e addirittura di aver coperto i nazisti.
Il voltafaccia data da un dramma teatrale, «Der Stellvertreter», «Il Vicario», uscito in Germania nel 1963, che ritrae l’energico Papa della guerra come un codardo pro-nazista che si interessava solo dei suoi presunti investimenti in Germania. Da allora, le voci in sua difesa sono state ignorate, mentre le critiche sono aumentate di volume in una di quelle efficientissime operazioni di demolizione che rendono la vittima un nome impronunciabile, condannato in partenza.
Il perché, a pensarci bene, non è un mistero. L’autore di “Der Stellvertreter”, Rolf Hochuth, non era ebreo.
Rolf Hochuth era comunista.
Papa Pio XII fu il papa che comminò la scomunica a chi votava comunista. Per questo andava delegittimato.
Certo, la Chiesa cattolica aveva condannato il comunismo a più riprese, a partire dal 1846, prima ancora che uscisse Das Kapital. Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, definì il comunismo “peste distruggitrice, la quale, intaccando il midollo della società umana, la condurrebbe alla rovina”. Pio XI nella “Divini Redemptoris”, 1937, non lasciò adito a dubbi nel definire il comunismo “intrinsecamente perverso”.
Ma poi c’era stata la seconda guerra mondiale. I comunisti avevano guadagnato posizioni e carpito fiducia, l’URSS sedeva fra i vincitori della guerra e nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, in Italia il PCI era stato al governo per due anni con la DC. Su questa situazione aveva influito direttamente e drammaticamente la Chiesa di Pio XII, in tutti i modi, con i “frati volanti” e pressioni morali di tutti i tipi, fino appunto alla scomunica.
Per questo che, a papa convenientemente morto, con in pieno svolgimento il Concilio Vaticano II dove 300 padri conciliari chiedevano inutilmente di intavolare un discorso sul comunismo, la figura di Pio XII doveva essere delegittimata, il suo nome diventare impronunciabile, alla stregua di quello di un nazista, anche a costo di inventarsi delle balle inverosimili di sana pianta.

E si sa, è assai più facile e veloce distruggere che costruire.
Per questo ogni occasione di ricostruire la verità è la benvenuta, perché da dire c’è tantissimo. In questo specifico campo, l’elenco dei meriti di Pio XII richiede molto spazio. Proviamo a dirne qualcuno. Sua la penna che scrisse la più dura ed esplicita condanna contro il razzismo e l’antisemitismo in Germania, l’enciclica «Mit Brennender Sorge» («Con viva preoccupazione»), promulgata dal suo predecessore. Da papa dedicò allo stesso argomento la sua prima enciclica, la «Summi Pontificatus», di cui la Gestapo infatti ebbe ordine di impedire la distribuzione. Per disposizione di Pio XII durante la guerra la Chiesa cattolica rilasciò decine di migliaia di attestati di battesimo falsi per salvare gli ebrei, alcuni dei quali furono messi perfino in veste talare per poterli meglio mimetizzare. In un periodo in cui anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano difficoltà ad ospitare i profughi ebrei, la Chiesa offriva ospitalità nei conventi di tutta Europa.
Quando a Roma il Capo della polizia tedesca dette 36 ore di tempo alla comunità ebraica per consegnare 50 chili d’oro o l’equivalente in denaro, pena la deportazione, la Santa Sede mise immediatamente 15 kg d’oro a disposizione del rabbino capo e prestò il denaro senza interessi.
A Roma, oltre metà degli ebrei trovò asilo nei palazzi vaticani, aperti a questo scopo per espresso ordine dello stesso Pio XII e la Segreteria di Stato Vaticana mandava elenchi di ebrei «battezzati» all’ambasciatore tedesco, Weizsacker, per farli evacuare.
Di questi e di altri episodi esiste una vasta documentazione che è stata raccolta per la causa di beatificazione di Papa Pacelli.
Il minimo che si possa dire è dunque: ben venga la coraggiosa opera di Liana Marabini. Che non si censuri. Andiamola tutti a vedere.

Alessandra Nucci

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