Per politica industriale intendiamo una programmazione di medio-lungo periodo in cui servizi, aiuti, politiche di incentivazione e, perché no, rapporti internazionali vengono indirizzati a ottenere risultati che riguardino tutto o una parte del sistema industriale.
Un esempio l’abbiamo avuto dalla Germania che, sia pure con decisioni discutibili e pericolose, ha pianificato negli ultimi decenni una politica industriale basata su tre pilastri: delocalizzazione nei paesi dell’Est europeo (soprattutto Polonia, Slovacchia e Croazia), energia a basso costo grazie al gas russo (come non ricordare i gasdotti nel Baltico?) e con rapporti commerciali privilegiati con il mercato cinese (la Germania esporta in Cina 106 miliardi di beni a fronte dei 16 dell’Italia).
In Italia invece abbiamo sempre considerato la politica industriale come una sequela di interventi ex post, cioè dopo che la crisi è scoppiata e il cui scopo è quello di salvare posti di lavoro o ditte decotte.
Abbiamo due esempi clamorosi: Alitalia e Ilva.
- l’Alitalia, vittima di una politica industriale e del personale dissennata (basti pensare allo spostamento di decine di aerei a Malpensa con il relativo personale che, ogni giorno, doveva volare da Roma a Milano per prendere servizio o a sedi, vedi Lagos, rimaste aperte per anni quando nessun aereo vi atterrava più) è costata a noi contribuenti più di dieci miliardi e ora sotto forma di Ita continua a perdere circa un milione al giorno in attesa di essere conglobata da Lufthansa.
E come esempio di non politica industriale ecco che Ita abbandona anche l’ultimo volo da Malpensa a New York: uno dei mercati più ricchi d’Europa volerà negli Usa con una delle sei compagnie estere che fanno servizio diretto. O crediamo che un manager italiano preferisca volare sino a Roma per cambiare volo anziché utilizzare un volo diretto?
Ecco l’esempio di un mercato ricco e profittevole come quello dei viaggiatori business abbandonato alla concorrenza mentre si prospetta agli ex dipendenti Alitalia un altro anno di cassa integrazione dopo gli otto già goduti. - L’Ilva è nata come progetto di politica industriale, questo sì un buon esempio, che utilizzava uno stabilimento nato in riva al mare per produrre quell’acciaio che costituisce ancora adesso un elemento fondamentale dell’industria metalmeccanica (che in Italia resta una delle più forti al mondo).
Poi è andata via via spegnendosi a colpi di passaggi di proprietà, sequestri di tribunali, fino a essere ceduta a un’Arcelor-Mittal che aveva chiaramente uno scopo: quello di cancellare o per lo meno ridurre le dimensioni di un concorrente sul mercato.
Risultato: una delle più grandi acciaierie europee ridotta al lumicino e a pietire qualche finanziamento per riuscire a pagare i fornitori. Prospettive future: nuova cassa integrazione e finanziamenti a fondo perduto.
Sono conseguenze inevitabili della mancanza di una politica industriale vera: quella che crea aziende efficienti e posti di lavoro stabili e sicuri e non salva aziende decotte per mantenere posti di lavoro effimeri e destinati a pesare sull’economia della nazione.
di Angelo Gazzaniga