Ho seguito i tre dibattiti tra Barack Obama e Mitt Romney e quello tra i candidati alla vice presidenza degli Stati Uniti, Joe Biden e Paul Ryan. In tutto sei ore di faccia a faccia sui programmi e l’analisi di ciò che è stato fatto sino ad ora. Si è parlato di economia, tasse, lavoro, e delle principali aree di crisi nel mondo. I cittadini americani hanno avuto modo di farsi un’idea sulle peculiarità dei due candidati. Al di là della retorica – che sicuramente gioca sempre un ruolo – sono emerse due visioni dell’America: una che guarda al mito ultraliberista incarnato da Reagan, con lo Stato che cerca di ritrarsi il più possibile lasciando spazio agli slanci del libero mercato, dall’altra parte c’è un Paese che, tenendo a mente Roosvelt e Clinton, considera non solo utile ma necessario il ruolo dello Stato nell’economia e non vuole lasciare indietro nessuno. Sono due facce della stessa America che da decenni si contrappongono e, da angolazioni diverse, rilanciano il mito del “sogno americano”, più volte evocato dai due sfidanti alla Casa Bianca. Alla fine, a quanto pare, la sfida si deciderà con uno scarto minimo. Saranno decisivi gli stati in bilico (“swing state”), quelli non marcatamente di destra o di sinistra.
Politica, non teatrino, scrivo nel titolo. Perché quello che più mi colpisce di questa lunga e stremante campagna elettorale americana, è la serietà. Ci si scontra, con estrema durezza, ma alla fine, chiunque prevalga, a vincere è il Paese. Questo vale sia nelle primarie, per la selezione dei candidati, sia nelle presidenziali. Una politica, quella americana, che presenta anche dei difetti ma che riesce comunque a esprimere sempre, al proprio interno, un profondo rinnovamento. Ma il merito di chi (o di che cosa) è? Possiamo dire che è la combinazione di vari elementi: da un lato il sistema presidenziale, con l’elezione diretta del Capo dello Stato e i grandi poteri ad esso attribuiti, controbilanciati dalle prerogative del Congresso, altrettanto importanti. Poi c’è il sistema elettorale – maggioritario secco – unito al meccanismo delle primarie per la selezione dei candidati. E una stampa, libera, che fa il suo mestiere di cane da guardia, non (solo) di megafono o (inutile) zerbino.
Le “macchiette” e i personaggi da avanguardia dello spettacolo ci sono anche in America, ma difficilmente riescono a prendere il sopravvento. E’ frutto solo delle regole e dei tecnicismi politici? O è merito – soprattutto – dei cittadini e della loro fermezza nel non farsi prendere in giro, come invece troppo spesso, purtroppo, facciamo noi in Italia?
Orlando Sacchelli