“Nanni Moretti è invidioso”.
Ferdinando Cionti
“In Italia si perdona tutto fuorché il successo tranne quando è immeritato”
Indro Montanelli
“La scenografia del film Habemus Papam è splendida, ma tutto il film è completamente inutile”
Piero Ottone
Si può fare della mediocrità una forza, una forma di talento, producendo gli effetti speciali?
Chi ci riesce merita rispetto e ammirazione, e infatti Oscar Wilde diceva “La maggior parte di noi vive nelle fogne guardando le stelle”. Una parola è chiave nella vita giunta al settantesimo compleanno di Nanni Moretti, da sempre in linea con la “democrazia dell’applauso” o la demokratura: benaltrismo.
Si, proprio così: la furbizia del benaltrismo in una produzione – dal punto di vista artistico – complessivamente mediocre. Ma la mediocrità è compatibile con l’opera.
Moretti – un uomo pieno di difetti, e fa anche rima senza nessuna intenzione “precostituita” sia chiaro, è venuto spontaneo a chi scrive – non è al livello di Giuseppe Tornatore, per intendersi o di un Francesco Rosi. Loro sono grandi registi, in senso tecnico anche se – visti da vicino a lato dei loro prodotti, behind the scene – un po’ banali, separatamente dall’immunizzazione regale dell’icona, dalla luce scintillante dei capolavori che hanno prodotto nell’eccellenza monomaniaca del “one track mind”: essi vivono nelle loro opere, e valgono meno rispetto ad esse senza avere un’intelligenza analitica superiore alla media. Ma non si può negarne il genio artistico; orbene, non è questo il caso, o il “cold case” di Nanni il frustrato, aurea mediocritas in grande. Nanni ha narrato il personaggio, la maschera di Nanni Moretti – dietro la maschera non c’è niente – dall’inizio alla fine, nell’eterno ritorno dell’uguale. Il personaggio morettiano era la sceneggiatura, il film che dirigeva identificandosi tout court con esso. Nanni recitava se stesso, narrava se medesimo “usque ad nauseam” con un’autoreferenzialità egocratica quanto insecuritaria a tutto campo, o a 360 gradi: storytelling puro. Contenuto nessuno.
Io sono Nanni Moretti, piuttosto che Io sono l’autarchico.
Appunto, “benaltro” rispetto ai film. Che, a conti fatti, Nanni non è nemmeno capace di fare (sic!) ma egli non lo sa con il “trucco” del diniego che è all’opera in un artista. Non è ironico tutto ciò? Su Wikipedia è scritto, a proposito del significato della parola benaltrismo:
“Il benaltrismo è un espediente retorico che consiste nell’eludere un tema o un problema posto in una discussione, adducendo semplicemente l’esistenza di altre problematiche più impellenti o più generali, spesso senza chiarirle specificamente…”.
Orbene, questa descrizione calza “ad personam” con l’anomalia di Moretti furbescamente morettiano, mi si consenta il giuoco di parole: solo per esserci riuscito con i risultati noti a tutti, egli è un genio, o – per essere più precisi – geniale. Il venditore di se stesso. Che ha sempre avuto poco da dire. E, tra l’altro, Scalfari nel 2003 disse bene – controllate pure gli archivi de “la Repubblica” – che Moretti è un artista, non un intellettuale quando si pensava al suo ingresso in politica con il movimento dei Girotondi, alla luce del birignao del regista con Sergio Cofferati.
Sempre su Wikipedia leggo alla voce Ambiti della tesi benaltrista: “Il termine indica un’affermazione (“tesi benaltrista”) formulata nel mezzo o alla conclusione di una discussione, in opposizione sia all’individuazione di un problema sia di una soluzione allo stesso, sostenendo che i problemi sono “ben altri”. In questo modo l’autore si sottrae a ogni valutazione oggettiva delle posizioni e soluzioni altrui, pronunciando de facto un giudizio di inutilità su ogni risultato nel campo, come sulla legittimità della discussione, rimandando sine die la questione…”. Non approfondita né conosciuta.
Ecco alcuni esempi del benaltrismo morettiano.
Tratto da “Io sono un autarchico” che è privo di valore estetico: inquadrature fisse su Nanni Moretti, eternamente uguali (in teoria alla portata di tutti e infatti detestate da Renzo Martinelli); il soggetto appare con i baffi trentenne in una stanza che poteva essere camera di casa sua, dialogo a due con uno “sfigato” suo coetaneo della Roma pseudobene (non siamo lontani dal buonismo italiota che infastidiva, tra gli altri, il borghese Indro Montanelli ma non il piccolo-borghese Sanguineti); Moretti al coperto dell’“autarchia iconica” che nasconde il peso specifico del regista, dice, prendendosi in giro: “Ci sono dei bancari seri, compagni. Insomma, tutta gente che…”.
Non conclude la battuta, producendosi in espressioni di tipo adolescenziale di chi sfida i massimi sistemi con l’ingenuità della giovinezza autoreferente (ma sarebbe interessante, anche, entrarci ogni tanto nei massimi sistemi!).
E l’interlocutore gli risponde, mostrandogli una rivista che ha trovato con donne nude: “E queste cosa sono?”; Nanni risponde: “E quelle sono riviste; poi io ho i libri (si porta indietro i capelli, ndr), la collana dell’Olimpia Tres ma… solo due sono veramente buoni, poi per il resto poca roba”. E poi, l’interlocutore si siede davanti a lui. Di rimando, Nanni: “Ma perché mi guardi così’?”.
“Ora, per esempio, vado a vedere La lupa mannara”. Al cinema, s’intende. Scena banale, vuotocontenutistica e originale al contempo.
Qui c’è tutto il morettismo nel bene e nel male.
Non sono scene da Tornatore, né da Sergio Leone, ma da Moretti: benaltro rispetto alla struttura di un film inteso nel senso classico; tuttavia si tratta di operazioni geniali (sic!): fare buon uso di poche risorse. La genialità è compatibile con la mancanza del bello, d’altronde.
Si veda il film “The bodyguard” con Kevin Costner e Whitney Houston, che anticiperà di lì a breve una tragedia. C’è poi una scena tremenda dal punto di vista estetico nel film “La stanza del figlio”, dinamico in staticità come tutte le pellicole di Moretti: il fidanzato della figlia dello psicanalista che ha fumato una canna. E lo psicanalista (interpretato da Nanni) ride, avendolo sentito confessarsi apertis verbis, con Laura Morante (che è sua moglie): bravina, ma non brava. Orbene, questo è il buonismo, ed è un killer del Merito.
Sempre nello stesso film, lo psicanalista – dopo la morte del figlio per annegamento durante attività d’immersione – entra in un negozio della Liguria per comperare un regalo (dice) a un amico di suo figlio, e si rivolge all’uomo del negozio di cassette: “Si ricorda di mio figlio? Ecco, vorrei comperare qualcosa per un suo amico. Se lo ricorda? Mi suggerisca lei qualcosa di adatto a un ragazzo della sua età” (canzoni, ndr).
Siamo uguali soltanto all’Inferno, caro Moretti. A 13 anni Mozart sconvolgeva l’allora pontefice romano che lo ascoltava comporre.
Ancora, nel film “Palombella rossa” la famosissima battuta che in realtà è rivelatrice di un retroterra culturalmente piccoloborghese da far paura: “Cheap. “Ma le parole hanno un senso! Ma che cosa dice?”, Moretti si rivolge alla giornalista in piscina che lo intervista. “ E lo schiaffo in faccia. In realtà cheap è una parola che ha senso eccome: vuol dire a basso costo. Parola pronunciata spesso da Piero Ottone, che a differenza di Moretti era cosmopolita mentre Moretti vuol far credere di essere cosmopolitan quando è provinciale (sic!).
Infine, scusatemi la lunghezza, ne Il Caimano si vede una scena memorabile che nella Storia non è mai accaduta: Berlusconi entra nella sede de Il Giornale – correva l’anno 1994 –, e ordina alla redazione di accettare l’ingerenza della Fininvest nella conduzione del quotidiano per asservirlo agli interessi del Cavaliere pre-politico.
Si vede Montanelli che dice: “A lei dei liberali non gliene frega niente. Entra in politica solo perché altrimenti finisce in galera e i magistrati arrivano ai suoi conti in Svizzera”.
Questo è un falso storico. La realtà è ben diversa da come la raccontava Moretti travestito da politologo, e non c’è nulla di male a fare il politologo, ma Moretti distorce sistematicamente la realtà come tutti i piccolo-borghesi sanno fare per forma mentis; vediamo un passaggio cruciale del libro “Preghiera o bordello. Storia, personaggi. Fatti e misfatti del giornalismo italiano” a cura di Piero
Ottone: “… Il successo di Berlusconi era dovuto alle sue qualità personali, ma l’appoggio politico era stato un fattore indispensabile; e ne aveva sempre bisogno. Adesso, a un tratto, il suo massimo protettore, Bettino Craxi, era ridotto con le spalle al muro, e prossimo alla fuga ad Hammamet: faceva fatica a proteggere se stesso… Poteva proteggersi da solo, facendo politica in prima persona; poteva sostituirsi a Craxi e Andreotti, scendendo in campo con lancia e scudo, come un guerriero. Gli amici, i collaboratori più stretti, da Fedele Confalonieri a Indro Montanelli, spalancavano gli occhi e gli chiedevano se era diventato matto. In politica? Da novizio? A farsi infilare?…”.
Vedete, tutto un altro film rispetto a Il Caimano. Montanelli era amico di Berlusconi, che lo pagò profumatamente per vent’anni dandogli anche i capitali per finanziare Il Giornale.
Quando morì Gianni Agnelli, Nanni disse: “Un po’ meglio di Berlusconi”. Ma la classe non è acqua.
Scusatemi l’autocitazione, che è un difetto dal punto di vista estetico: una volta ho scritto che “la caratteristica principale di Moretti è di capire tutto in maniera sbagliata. Ma non è forse vero – aggiungevo, ndr – che la genialità è l’altra faccia della mediocrità?”.
Si, lo devo ammettere contro volontà perché mi sta proprio antipatico: Moretti è geniale ed è l’unico fatto che lo salvi; salvato dal personaggio di Nanni Moretti.
E vi pare poco? Perché, a questo mondo, ci sono i perdenti e i vincenti.
E Nanni, può entrare a pieno titolo tra i vincenti.
Gli suggerisco di vedere i piedi di Cristina Parodi su Internet. Lui capirà. Piedi piccolo-borghesi.
di Alexander Bush