PSICOPATOLOGIA DI MAURIZIO ABBATINO, IL FONDATORE DELLA BANDA DELLA MAGLIANA

Data:

“Enrico De Pedis si faceva chiamare presidente. Ma presidente de che?”
Antonio Mancini a Federica Sciarelli

“La Banda della Magliana non è un’entità metafisica”
Otello Lupacchini a Andrea Purgatori, La 7 “Atlantide”

“Il 14 novembre 1995, nel carcere di Fayrton, il maresciallo Antonino Lombardo – comandante dei carabinieri di Terrasini dal 1980, e passato al Ros di Palermo nel 1994 dopo aver dato un importante contributo all’arresto di Totò Riina – incontra il boss di Cinisi Tano Badalamenti, detenuto nel carcere di Memphis per traffico di droga. Il maresciallo sta cercando di ottenere la collaborazione del boss e quindi di riportarlo in Italia per testimoniare al processo Pecorelli. Badalamenti, durante l’incontro, fa una dichiarazione sorprendente: l’avvento dei corleonesi di Totò Riina al potere, e il loro desiderio di una Sicilia libera e indipendente, sarebbe stato pilotato dalla CIA, e Riina non sarebbe stato altro che un inconsapevole burattino nelle mani dei Servizi segreti americani. Lombardo muore suicida il 4 marzo 1995 e non saranno mai ritrovati i suoi appunti sull’arresto del capo dei capi. Tano Badalamenti non fu più estradato in Italia…”.
Raffaella Fanelli, “Il freddo – La storia. I delitti. I retroscena. L’ultima testimonianza del capo della Banda della Magliana”

You can’t have the cake and eat it.
Crystal Waters – Gipsy Woman (Bs As deep Remix Extended) è la canzone musicale che più si addice alla Weltanschauung romantica di Maurizio Abbatino, che è l’equivalente nella vita di Kim Rossi Stuart de “Romanzo Criminale” al copyright di Giancarlo De Cataldo e Michele Placido.
Il raffinato e colto Otello Lupacchini sarebbe d’accordo con l’autore del presente saggio: è lo Zeitstil dei mitici anni ’80, che per citare Fiorella Minervino in una conversazione con Bettina Ottone rappresentava la cifra della “fin de siècle” del Novecento risucchiando nei suoi buchi neri coloro che erano casualmente in sintonia con lo stesso, come la ragazzina Emanuela Orlandi o il collega di Franco Ferracuti Aldo Semerari; Abbatino, alias “il Freddo”, operava nella “onorata societas scelerum” con la stessa tensione di Oscar Wilde alla fine dell’Ottocento con l’”eteronimo” di Dorian Gray: entrambi alla fine di un’epoca, nel tramonto della civiltà occidentale.
Le differenze tra il Gordon Ghekko di Wall Street – poi travolta dal crollo del 1987, inferiore per gravità al Black Friday del 1929 con la Prima Grande Depressione (la seconda è del 2007) – e i “latin heroes” della Banda della Magliana sono minime, tra i venti dello Spirito dei Tempi che sono catturati – repetita iuvant – dalla canzone danzabile, a ritmo di entusiasmo discotecaro, “Crystal Waters – Gipsy Woman (BS As deep Remix Extended)”: non è solo divertissement, ma è anche sofferenza sia chiaro (almeno per chi scrive, da cronista consumato e scrittore mediocre).
Perché la vita ha un lato di tragedia. La parabola del collaboratore di giustizia arrestato a Caracas nel 1992, mentre la Prima Repubblica incontrava la castrazione violenta dell’Autorità Giudiziaria nella Procura di Milano – che, come ha più volte detto il pirandelliano Vittorio Feltri, ha fatto un ottimo lavoro – s’incontra con il crepuscolo della “reaganomics”, che è fatta di sangue, sesso e merda: ma viene una strana nostalgia per “l’ingenuità rambesca e rimbambita” degli esponenti senza tutela del “mondo di mezzo” nell’80 – chiedendo il copyright al vaticanista Giancarlo Zizola – perché – va detto con franchezza – era gente che praticava il giuoco d’azzardo con lo stesso gambling mentale di Vincent Van Gogh alle prese con il “colorismo arbitrario” (nel vero senso della parola) delle proprie tele.
Tele insufficienti dal punto di vista tecnico, non dal punto di vista umano.
E’ stato dato alle stampe l’impressionante libro di Raffaella Fanelli “Il freddo – La storia. I delitti. I
retroscena. L’ultima testimonianza del capo della Banda della Magliana” edito da Paper First di cui chi scrive ha annusato la copertina, che onestamente fa venire i brividi.
C’è un passaggio formidabile nella pellicola magistrale “Romanzo Criminale” di Michele Placido, il quale – alla luce di tutta l’attività cinematografica svolta da “L’eroe borghese” fino a “Giovanni Falcone”, di Giuseppe Ferrara – andrebbe proposto per il conferimento della nomina a senatore a vita: altissimi meriti culturali e artistici nell’illustrare la patria all’estero.
Stiamo assistendo all’interrogatorio in questura a Roma di Scialoia, che nella realtà era Angelo Caloia, messo in scena da quel prodigio che è Stefano Accorsi, a Maurizio Abbatino nell’ambiguo “post factum” della detenzione ormai finita per l’omicidio di un benzinaio (la detenzione è stata magicamente interrotta dalla “longa manus” dei servizi segreti attivati dall’agente del Sismi Francesco Pazienza: “non esistono i servizi deviati, che sono una cazzata giornalistica: esistono i servizi”, per citare Francesco Pazienza), che assume valore estetico:

“Che c’è da guardarmi? Che, so bello?” (Kim Rossi Stuart dice rivolto a Stefano Accorsi, che sta dalla parte delle guardie, ndr)
“Ne conosco tanti come te, superficiali, ignoranti come capre, senza cuore. Forse nella merda ci sei finito per sbaglio, non lo so. Ma so che non ci stai bene”.
“Hai finito?” (Maurizio Abbatino, ndr)
“Sì, ho finito”.
“Si può ave’ n’a sigaretta? O appuntà, n’a sigaretta!”
“Melussi, lascia stare. Stavolta esci; una che conosci, Patrizia, (Sabrina Minardi, ndr) ha detto che quella notte stavi con lei. Io lo so che non è vero, ma non posso dimostrarlo; come so che sei un assassino e un trafficante di droga. Per te quella polvere è una merce come un’altra.
Che c’entri tu con chi se la spara in vena? Che c’entri tu, con quelle teste di cazzo?”
“Abbiamo ricominciato con le favole”.
“Favole, intanto con uno c’entri: tuo fratello Gigio (Roberto, ndr). Poco fa una volante l’ha trovato dietro Sette Chiese, con la siringa ancora nel braccio. Firma, e vattene”.

Maurizio Abbatino, l’ultimo anello della catena della “Stay behind” della Magliana facente capo ai fratelli Vitalone che a loro volta rendevano conto a Giulio Andreotti (come emerge dalle stesse sentenze di assoluzione al processo per l’omicidio Pecorelli) se ne andò e riparò a Caracas in Venezuela. Dopo essere fuggito da una clinica romana. Ma afflitto dal senso di colpa (anche Andreotti era afflitto dal senso di colpa, e poi tradì Totò Riina appoggiando Giovanni Falcone).
Da che cosa originava il senso di colpa che tormentosamente lo affliggeva?
Dal fatto che egli, come Meyer Lansky, Lucky Luciano, Vito Genovese, Bugsy Siegel, ecc. era rimasto al “principio di piacere”.
Vedeva l’orizzonte, saltando il porto.
Orbene, il Freddo non riusciva ad accettare la volgarità della routine – “Impara le regole come un professionista, affinchè tu possa infrangerle come un artista” diceva Pablo Picasso, che era più equilibrato di Glenn Gould – che è la conditio sine qua non del successo, che pure egli agognava come tutti coloro che vedono l’orizzonte saltando il porto.
Weltanschauunger che s’innamorano di un’immagine, ignorando la realtà.
Ma se una persona dell’intelligenza e anche del “sense of homour” di Abbatino – che ha bruciato le tappe per arrivare prima al successo – avesse accettato la scabrosità del fare un passo alla volta, avrebbe raggiunto lo stesso livello di Luigi Pirandello (sic!): che non fu eguagliato nemmeno dal gambler con il “fiato corto” Aldo Semerari, lo psichiatra criminologo che commise l’errore rovinoso di innamorarsi della propria intelligenza (ma aveva il “fiato corto” anche lo spericolato Franco Ferracuti, solo più fortunato del disgraziato Semerari fatto a pezzi dai camorristi di Raffaele Cutolo che era stato periziato proprio dal professor Semerari: sindrome di Ganser fu la diagnosi).
E’ opinione di chi scrive che l’intelligenza non è gratis, ed è uno stato limite che si può intrecciare con la “tossicomania” del disturbo narcisistico di personalità (una patologia “sub-psichiatrica” che rappresenta una vera “reductio ad unum” del genio che non si manifesta così in maniera completa come potrebbe, a causa dell’idealizzazione distorsiva del Sè da parte dell’enfant prodige di turno).
Tale distorsione della personalità emerge chiarissimamente dalla cosiddetta “Deposizione inedita 12 novembre 2021” alla voce “Temo per la mia incolumità personale” dell’ormai ex collaboratore Maurizio Abbatino, che è la fotografia Polaroid dei momenti più drammatici della storia repubblicana: come l’omicidio di Aldo Moro, che faceva parte del sistema integrato delle tangenti e conosceva Enrico Nicoletti, il cassiere della holding criminale della Magliana recentemente scomparso (dopo la dipartita del novantenne Flavio Carboni).
Quello che l’ex trafficante di droga Abbatino riporta alla giornalista Raffaella Fanelli sul modo di comportarsi dello psichiatra Ferracuti (iscritto alla P2, cioè la “Propaganda 2” che affonda le sue radici nei paralogismi di Immanuel Kant), la dice lunga sul pagliaccesco “manierismo stereotipo” di un professionista noto alla gente ed accreditato presso “Telefono Giallo” di Corrado Augias e Donatella Raffai, in occasione di un approfondimento dedicato alla scomparsa di Emanuela Orlandi nel 1987– non molto diverso dalle piccinerie piccoloborghesi di Enrico De Pedis che si faceva chiamare Presidente in un paese, l’Italia e soprattutto in una città, Roma, per “latin heroes” ieri come oggi:

Il caso Moro
“Ci chiesero di trovare la prigione di Aldo Moro e, pochi giorni dopo, Franco passò l’informazione”.
“Sapevamo dov’era”

“Franco Ferracuti era un criminologo di fama. Fu Alessandro D’Ortenzi, detto Zanzarone, a farmelo conoscere. Potrebbe aver avuto un ruolo nella P2. D’Ortenzi disse in aula che era legato ai Servizi, addirittura alla CIA. Lo incontrai per ottenere l’infermità di Marcello Colafigli, non ricordo se prima o dopo la morte di Semerari.
D’Ortenzi mi disse che, oltre a essere un’autorità, era anche massone. Viveva, o comunque ci ricevette, in una villa ottocentesca a Roma. Rimasi colpito perché durante il nostro incontro arrivò una telefonata e l’apparecchio era nascosto dietro al pannello di un mobile alle sue spalle.
Per tutto il tempo della conversazione parlò in inglese”.
Racconta questo, Abbatino, sul conto di Franco Ferracuti, tessera numero 849 della P2, psichiatra legato sia al SISDE sia alla CIA.
Nel marzo del 1978, subito dopo il rapimento di Aldo Moro, fu chiamato a far parte del “comitato degli esperti” costituito dall’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga per interpretare le lettere di Moro e i messaggi delle Brigate Rosse. Fu lui a progettare il piano Victor: nel caso in cui il presidente della DC fosse stato liberato, sarebbe stato ricoverato al Policlinico Gemelli e sottoposto a cure specialistiche per le gravi conseguenze della prigionia. Ferracuti era il sostenitore della tesi “Moro non è più Moro”.
Stando al professore, durante la prigionia Moro aveva sviluppato la cosiddetta Sindrome di Stoccolma, in base alla quale un soggetto rapito maturerebbe un sentimento positivo nei confronti dei suoi carcerieri e, viceversa, un sentimento negativo verso le forze di polizia e tutte le altre persone impegnate a ottenere la sua liberazione…”.

Viene in mente la psichiatra Liliana Dell’Osso, direttrice della Clinica Psichiatrica di Pisa, intervistata dalla Barbarsa d’Urso per Canale 5, con la consueta distorsione istrionesca del “pensiero bugiardo” del tipo partenopeo che caratterizza la personalità dell’avvenente presentatrice televisiva: “Non si può simulare la follia” (cioè la malattia mentale, ndr): Moro era in stress maniacodepressivo durante la prigionia brigatista, e l’ideazione del Piano Victor – per il “trattamento sanitario obbligatorio” ai sensi della Legge Basaglia – era da egli stesso condivisa.
Siamo nella “dimensione borderline” che c’è nel film “Goldfinger – agente 007” della saga di James Bond, con Sean Connery: nessuno dei personaggi stile Sam Giancana – i cui summit erano inventati da Ian Fleming – aveva le carte in regola.
Alcuni di loro morivano.
In “American Tabloid” di James Ellroy – il più grande scrittore del Novecento, dopo Francis Scott Fitzgerald – da Howard Hughes, “the aviator”, a Carlos Marcello passando per John Edgar Hoover, ecc. sono tutti accumunati sorprendentemente da un tratto di infantilismo connesso al “fiato corto”: ma tra questi psicopatici al margine della società, si nasconde il genio.
Da Bugsy Siegel a Enrico De Pedis.
Su Wkipedia alla voce “Agente 007 – Missione Goldfinger” si legge: “… James Bond si trova ad affrontare il multimilionario Auric Goldfinger, intenzionato a rendere inutilizzabile la riserva aurea degli Stati Uniti conservata a Fort Knox con una bomba al cobalto per scombussolare il mercato dell’oro e di conseguenza far aumentare spropositatamente il valore di quello in suo possesso”.
Al folle piano partecipò Cosa Nostra italo-americana.
Era il 1964.
Ma non era folle anche l’assalto alla Brink’s Securmark il 3 marzo 1984 da parte del geniale Antonio Cichiarelli, come lo definì il cronista di razza Pino Nicotri?
Personalmente sono dalla parte di Abbatino, con tutta la tensione snobistica di cui sono capace. Ecco la trascrizione integrale di un documento prezioso che ha la sua importanza storica e processuale insieme.
Scrive Radio Radicale “Spazio 70” che: “Bologna, 12 novembre 2021. Maurizio Abbatino depone nel corso di un’udienza del processo a Paolo Bellini. L’audio di Abbatino, in collegamento da un sito riservato, nei primi minuti era eccessivamente disturbato. Abbiamo riportato la parte più comprensibile”:

“… Le chiedo, quindi, nel periodo in cui voi vi strutturate come gruppo della Magliana e riunite le cosiddette “batterie”, cioè il gruppo dei Testaccini, il gruppo di Nicolino Selis, che tipo di rapporti intratteneva Carminati con i vari gruppi? Cioè, in sostanza, come si poneva Carminati rispetto ai gruppi coagulati attorno alla definizione “Banda della Magliana”?

“Giornalmente aveva contatti con noi.
C’è stato un periodo in cui io lo incontravo tutti i giorni, perché passavo da loro, mi fermavo da loro, parlavo più che altro con Carminati, e stiamo parlando fino a quando fu ucciso Franco. Franco (Giuseppucci, ndr) fu ucciso nel settembre dell’80.
Nel settembre dell’80, quando morì Franco, lui si mise a disposizione… Insomma, si è messo a disposizione per la vendetta di Franco.
Noi della Magliana… insomma i gruppi erano abbastanza uniti, perché a quel punto era morto anche Nicolino Selis”.

“Ecco, oltre al proporsi diciamo come persona che poteva vendicare questo omicidio (l’omicidio di Franco Giuseppucci, predecessore di Enrico De Pedis alla guida del gruppo della Magliana, forse fu fatto dai Servizi, ndr), Carminati si inserì anche nelle attività illecite e criminose del recupero di crediti, quelle con Danilo Abbruciati, quelle di riciclaggio, di reinvestimento di proventi frutto di attività illecite. Cioè si inserì anche nella parte come dire legata al reinvestimento di capitali sottratti con attività illecite?”

“Allora, parliamo del ’77… A parte che io ricordo che Carminati a un certo punto, il gruppo suo volevano lasciare un po’ questa attività politica, e avevano detto che insomma sarebbero diventati… (incomprensibile, ndr) come delinquenti comuni, e ricordo che quando facevano delle rapine davano una parte dei soldi a Franco, che li investiva nell’usura. Su questo c’è anche diciamo anche un fatto che accadde: quando ci fu quella rapina alla Chase Manhattan Bank – che forse è del ’79, non mi ricordo bene – Carminati ci diede degli assegni (incomprensibile, ndr)…
Forse li avrebbe dovuti riciclare, quindi. E noi fummo arrestati con quegli assegni provenienti da quella banca. Io, Franco e Paradisi. Fummo fermati mi sembra a Piazza Colonna, e ci arrestarono
con quegli assegni provenienti dalla banca rapinata…”.

“Ecco, le chiedo: l’Abbruciati (Danilo Abbruciati fu soppresso a 44 anni da una guardia giurata a Milano, dopo aver attentato alla vita del vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone, ndr) sostanzialmente aveva questa funzione di riciclatore e reinvestitore del denaro; cioè dentro il vostro gruppo, il ruolo dell’Abbruciati era quello?”

“Sicuramente sì; non posso fornirvi elementi, se l’ho fatto anche con il gruppo di Carminati. Comunque lui riciclava, investiva dei soldi mi ricordo, investimenti che facevano in Sardegna; investimenti immobiliari…”.

“Si, nei villaggi anche turistici”.

“Ecco, mi sente? Negli investimenti in Sardegna, ricorda anche se questo denaro venisse investito in costruzioni di villaggi turistici?”.

“Erano delle ville a schiera, che ricordo ci proposero anche a noi se volevamo acquistarle”.

“Ecco, ricorda se Abbruciati – come dire –, mettesse in comune le sue conoscenze o le teneva per sé? In termini proprio di ambiente di riciclaggio di denaro?”

“Va bè, comunque tutti e tre i gruppi avevano qualche cosa, un personaggio che comunque faceva gli investimenti. Loro, quelli di Testaccio, che erano più interessati a questi investimenti, c’era Flavio Carboni (in rapporti con monsignor Pavel Hnilica per l’organizzazione “Pro Fratribus” che finanziava la “Chiesa del Silenzio”, progetto tanto caro a Karol Wojtyla, ndr).
Non l’ho mai conosciuto personalmente, comunque era lui che faceva questi investimenti. Poi c’era Nicoletti (Enrico, ndr)… io personalmente non volevo investire i soldi, perché ero un po’ preso da questa vendetta per Franco… non avevo tempo… Però anche noi abbiamo fatto degli investimenti tramite un altro imprenditore… (è davvero incomprensibile, ndr).
Io e Colafigli abbiamo investito dei soldi. Poi io sono stato detenuto, ho perso anche dei soldi. Venivano portati dei cavalli prima di andare alle corse degli ippodromi. Non so che fine abbia fatto quell’investimento”.

“Si, ecco le chiedo anche adesso Abbatino, Abbruciati le risulta che in queste attività di reinvestimento di denaro di provento appunto di attività criminose mantenesse stabili rapporti con Domenico Balducci, e anche con Flavio Carboni e Pippo Calò?”

“Sì, sicuramente Abbruciati era… faceva parte… lui era un personaggio un po’ strano.
Non si è proprio mai legato con dei gruppi particolarmente. Comunque con quelli del Testaccio era abbastanza affiliato. Lui era, come posso dire, il referente diciamo della mafia a Roma; il referente, il tramite tra quelli del Testaccio e Pippo Calò”.

“Ricorda questo villaggio in Sardegna dove fosse?”

“… Costa Smeralda, insomma qualcosa del genere. Ricordo che erano delle cooperative, ho visto delle fotografie, erano dei villini a schiera. Ecco, guardi, la aiuto nella memoria con questo passaggio del verbale che lei rese appunto al dottor Lupacchini. Spero ecco adesso la lettura si senta: “Danilo Abbruciati”, lei dichiarò, “quando entrò a far parte della banda, oltre a essere particolarmente legato prima a Giovanni Tigani poi a Paolo Frau, che per lui rappresentavano nulla più che dei portaborse, nonché ai vari De Pedis, Marognoli e Pernasetti con cui aveva invece rapporti più intensi di carattere economico-finanziario, oltre che criminale, contava su amicizie di un certo rilievo.
Mi risulta che fosse in ottimi rapporti con Domenico Balducci, con cui fece affari nel mondo dell’edilizia residenziale in quanto interessato anche insieme ai Testaccini nella realizzazione di un villaggio turistico in Sardegna nei pressi di Porto Rotondo, questo mi risulta anche perché ebbi occasione di presenziare a un incontro fra l’Abbruciati e il Marognoli nel corso del quale, il primo mostrò al secondo la fotografia – quello che diceva prima – del suddetto villaggio turistico e dei villini.

“Con Flavio Carboni e con Pippo Calò, anche esponenti della mafia siciliana a Roma.
Ecco, questo è il passaggio: “… Contava, l’Abbruciati, amicizie di un certo rilievo. Mi risulta che fosse in ottimi rapporti con Domenico Balducci, con cui fece rapporti nell’edilizia residenziale… Lo conferma questo passaggio?”

“… Neppure ho conosciuto personalmente Flavio Carboni, di cui sentii parlare dall’Abbruciati “persona ben introdotta, al pari del Balducci, nel mondo politico e finanziario”.

“Ecco, quindi conferma di aver sentito parlare dall’Abbruciati di Flavio Carboni e di Balducci come soggetti ben anche inseriti nel mondo politico e finanziario?”

“Sì, vorrei anche precisare noi avevamo contatti diretti con la camorra di Raffaele Cutolo”.

“Ecco, c’erano anche rapporti, le risulta fra Danilo Abbruciati ed Ernesto Diotallevi?”

“Sì, ho avuto modo di portarlo ai mercati generali (accompagnò insieme a Flavio Carboni e alla sua fidanzata Manuela Kleinszig Roberto Calvi fino al Chelsea Cloisters a Londra, il 18 giugno 1982: poi trovato appeso all’impalcatura metallica del Ponte dei Frati Neri dal postino fluviale Anthony Huntley: se il presidente del Banco Ambrosiano non fosse morto, avrebbe provocato la bancarotta fraudolenta dello Ior e messo in discussione gli equilibri stessi della guerra fredda ormai 7 anni prima della caduta del Muro di Berlino; per il defunto magistrato Mario Almerighi, la morte di Calvi assicurò sonni tranquilli a papa Giovanni Paolo II, ndr).

“… C’è stato un periodo per l’approvvigionamento della droga, in questo caso dell’eroina in cui avevamo due contatti: loro di Testaccio la droga proveniva dalla Sicilia, e parliamo proprio di Stefano Bontade, loro del gruppo nostro: noi avevamo contatto con… un capo dei cinesi…”

… Ricorda, Abbatino, se Carminati le confidò di avere dei conti correnti in Svizzera? E che caratteristiche avevano questi conti correnti?”

“Avvocato, ce l’ha il verbale? Sono passati degli anni, era l’11 dicembre del ’92 e lei parlò davanti ai magistrati di Milano, in questo caso al dottor Guido Salvini. Dichiarò: “In occasione di tali incontri Massimo Carminati mi confidò di disporre di conti segreti presso banche svizzere e un particolare che allora mi colpì molto – data la non usualità della circostanza – fu che a tali conti era possibile accedere solo attraverso un conto segreto. Non saprei dire se costituito da una parola, da un numero o da entrambi… Lei questo lo dichiarò a pag 3 del verbale l’11 dicembre del 1992 al dottor Salvini. Immagino che la sua memoria fosse più fresca all’epoca.”(8 mesi dopo l’inizio di Mani Pulite dove i conti in Svizzera del “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa si intrecciavano con i soldi di Cosa Nostra e rimane un documento fondamentale l’intervista di Giovanni Valentini ad Antonio Di Pietro per Laterza, ndr).

“IL CERVELLO E’ STRANO. CI SONO ALCUNE COSE CHE RICORDO MEGLIO ADESSO. Adesso per esempio io ricordo che incontrai Carminati e Semerari in carcere. Parliamo dell’81, quando sono stato arrestato…
E in quell’occasione, non mi ricordo più perché, (Massimo Carminati, ndr) perché, comunque mi parlò di un conto cifrato in Svizzera. Lui era detenuto perché gli avevano sparato in un occhio e ci incontravamo. E mi sono incontrato anche con Semerari (Aldo Semerari, ndr).

“Ed eravate tutti detenuti nello stesso carcere, lei, Semerari e Carminati, in quel periodo?”

“… No… Dopo la morte di Franco (Giuseppucci, ndr) io incontrai Semerari che era in carcere per la strage di Bologna”.

“Esattamente è così”.

“Ricordo che era una persona completamente distrutta, addirittura mi disse una frase del tipo: “Se non mi fanno uscire”, voleva parlare”.

“Stava cedendo, quindi? Su cosa voleva parlare?”

“Noi sui fatti nostri della banda. Non reggeva il regime carcerario. Parliamo di Regina Coeli”.

“… Io non ho più nessuna forma di tutela”.
Perché Abbatino ha paura di parlare di Aldo Moro, e di confermare – nella reiterazione delle dichiarazioni già rese all’Autorità Giudiziaria tra il 1992 e il 1994 – se aveva intrapreso un contatto con la persona dell’onorevole Flaminio Piccoli? L’argomento è caldo ancora oggi, il 12 novembre 2021 e nel 2022.
Reinserire Maurizio Abbatino nel programma tutela dei testimoni e collaboratori di giustizia è un atto di civiltà giuridica, in una condizione di grave intimidazione del teste tra le revolving doors della vita.
“Essere molte cose significa essere nessuno: lo ha detto Kant”: dice uno degli attori de “Relazione intima”, tratto dal romanzo di Romain Gary.
Al limite del cold case.

Oggi è a rischio la vita di due persone: il magistrato in pensione Giancarlo Capaldo autore del romanzo “La ragazza scomparsa”, e di Maurizio Abbatino, cui è stata tolta la tutela del programma protezione alla vigilia del processo “Mafia Capitale”.
Il Freddo non può parlare della ragnatela del delitto Moro; Capaldo non può parlare delle persone che condussero la trattativa strictly confidential tra la Procura di Roma e il Vaticano nel 2012 per la chiusura dell’indagine sulla tumulazione di Enrico De Pedis nella Basilica Sant’Apollinare – con il benestare del presidente della Conferenza Episcopale Italiana Ugo Poletti e di monsignor Pietro Vergari – in cambio della volontà del Vaticano di impegnarsi a indicare il luogo dove giace il corpo di Emanuela Orlandi.
Crystal Waters – Gipsy Woman (Bs As deep Remix Extended), all’inizio del XXI secolo nell’impasto tra Lux et Tenebrys.
Forse aveva ragione Flavio Carboni, quattro anni prima di morire, nella bella intervista di Fq Millennium fatta da Peter Gomez: “Meglio navigare che vivere”.

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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