“Non c’è mania senza depressione”: Louis Bertagna
E’ tempo di gladiatori che non fanno prigionieri. La chiamata del pubblico ministero palermitano Nino Di Matteo a “Non è l’arena” gladiatoria di Massimo Giletti è un fatto gravissimo, che dimostra come Di Matteo sia in piena megalomania. Tecnicamente il suo comportamento – analizzato con attenzione –è la sindrome di hybris: David Owen dixit. Di Matteo si è identificato in un colpo solo con lo stato, con Giovanni Falcone e con l’antimafia: cioè vede se stesso come lo Stato. Una simile distorsione megalomanica che porta il soggetto a identificare se medesimo con le istituzioni può portare addirittura al suicidio, a causa del passaggio repentino da una fase maniacale dell’umore alla svalutazione totale di se stessi, e conseguente “passaggio all’atto”. Cioè il suicidio. In altre parole, è difficile dire se Di Matteo – oggi componente del Csm – abbia più bisogno di uno psichiatra o di un provvedimento disciplinare. Secondo chi scrive – in “polemica” con il giurista di Bettino Craxi Ferdinando Cionti– Di Matteo ha irrazionalmente violato l’art. 287 del codice penale con esercizio deficitario del logos. Per logos s’intende “logica” che presiede al ragionamento nel dominio causa/effetto. Tentativo cioè di sovvertimento della divisione dei poteri attraverso la delegittimazione del guardasigilli in carica, con l’attribuzione di contenuti di mafiosità al ministro in carica della Giustizia finalizzata “emozionalmente” al rovesciamento del Guardasigilli – associato “extra-ordinem” a inconfessate trattative sotto banco con il “papello” di Cosa Nostra sul 41 bis (sic!). Una persona che realizza un tale comportamento sullo sfondo della emergenza pandemica che dovrebbe richiamare il senso alla responsabilità (tanto più se è un magistrato),è psicologicamente inidonea a ricoprire i suoi incarichi giudiziali.
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, e potrebbe o stuprare una donna o suicidarsi nel passaggio dalla fase up dell’umore alla fase down. Occorre al riguardo fornire un esempio: il discorso in fase ipomaniacale, che l’allora direttore generale del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss Khan tenne il 13 aprile 2011 alla BrooklingInstitution di New York, con il quale annunciava il cambiamento di rotta su basi keynesiane dell’Fmi stesso: precisamente un mese dopo, lo stesso Dsk sarebbe stato arrestato per tentata violenza sessuale a una cameriera dell’Hotel Sofitel a New York e rinchiuso per 6 giorni in isolamento carcerario, con la prospettiva di rimanere in cella per 70 anni; orbene, a prescindere dai risvolti penali dell’intera vicenda – conclusasi con un’assoluzione “on the border”– esiste un nesso di causalità tra l’instaurarsi dell’ipomania del “New Deal di Keynes” annunciato dal super-brillante Dsk che si era identificato con Keynes nella Grande Crisi del 2007 e il suo precipizio agli inferni, per molestie sessuali: è appunto il “delirio dell’ispirazione” e il passaggio alle psicosi. Solo che in un caso il mancato Presidente della Repubblica francese ha indicato in fase megalomanica un cambiamento informato alla Teoria Generale dell’Occupazione di Keynesdell’agenda governativa della Trojka che,– se preso seriamente in esame –, avrebbe reso la società migliore nel suo insieme; Di Matteo ha messo a rischio la posizione di guardasigilli ricoperta da Bonafede. E non si vede quali effetti benefici possa sortire una tale irresponsabilità sulla comunità italiana alle prese con il Covid-19. Veramente censurabile è, oltretutto, anche la recitazione antigiuridica nel ruolo di demo-populista del Quinto Potere da parte di un conduttore televisivo con tendenza antisociale (Giletti) che ha fatto di tutto per legittimare l’assalto alle istituzioni di questopm che – per la peculiare bizzarria –, ricorda molto da vicinoJimGarrison (il prosecutor che accusò Lyndon Johnson di aver ammazzato John Kennedy) – dando obiettivamente l’impressione che la telefonata in questione fosse in realtà una sceneggiatura concordata tra i due attori di provata capacità recitatoria Di Matteo e Giletti.
Come fossimo a teatro. Ecco per sintesi il contenuto criminogeno della telefonata che condensa in un colpo solo giustizialismo, birignao, narcisismo e rivoluzionarismo piccolo-borghese da “latin heroes”: eroi del Sudamerica. Non ne avevamo, e non ne abbiamo alcun bisogno: Giletti quasi grida: “… Devo interromperla, devo interromperla. Mi dicono che c’è in collegamento il dottor Di Matteo, che ha voluto intervenire in trasmissione. Dottore, buonasera. “Buonasera dottor Giletti e buonasera a tutti i suoi ospiti.“Prego”“Ma guardi io ho ritenuto di intervenire, ho chiesto di intervenire soltanto perchéè stato evocato un episodio relativo al giugno 2018, quando venne nominato il dottor Basentini come capo del dipartimento di amministrazione penitenziaria. Ritengo di dover dire come si sono svolti i fatti, perché poc’anzi l’onorevole Gianrussoparlava di trattative tra l’allora ministro Bonafede e la mia persona. Io non ho mai fatto trattative con nessun politico, non ho mai chiesto nulla ad un politico. Le cose sono andate ben diversamente. Venni raggiunto da una telefonata del ministro Bonafede, il quale mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dell’amministrazione penitenziaria o, in alternativa, mi disse quello di direttore generale degli Affari penali. Il posto che fu – come l’onorevole Martelli sa meglio di ogni altro – di Giovanni Falcone.E io chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta, nel frattempo questo è molto importante che si sappia: alcune note informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla Procura nazionale antimafia ma anche alla direzione del Dap, e quindi penso che fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti alla indiscrezione che io potessi essere nominato capo del Dap. Quei capimafia dicevano: “Se nominano Di Matteo è la fine”. Al di là delle loro valutazioni, io chiesi 48 ore di tempo. Andai a trovare il ministro 48 ore dopo, avevo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, lo andai a trovare ma improvvisamente il ministro mi disse sostanzialmente ci aveva ripensato, e che nel frattempo avevano pensato di nominare il dottor Basentini e mi chiese di accettare il ruolo di direttore generale al ministero. Io il giorno dopo gli dissi di non contare su di me perché non avrei accettato. Io nel giro di 48 ore, mi sono trovato ad essere designato come capo del Dap e poi mi sono trovato di fronte a questo dietrofront…”.
“…Io non voglio invadere le competenze e la divisione dei poteri…”: excusatio manifesta, accusatio non petita.
Il magistrato Di Matteoè in pieno delirio megalomanico: speriamo che non soffrirà le psicosi dell’“enthusiasm gap”. Ma intanto, il Csm si occupi di lui. Sarebbe un precedente importante in una sfera, la Magistratura, dove si preferisce lo show teatrale al dovere di lavorare, con testa bassa e senza la notorietà che si riserva alle star.
di Alexander Bush