l’anti islamismo di Putin un modo per creare un fronte che riunisca i regimi occidentali al neo totalitarismo putiniano?
Che in Russia sia in gestazione un nuovo totalitarismo post sovietico, definibile nazicomunismo, è una verità destinata purtroppo a uscire molto presto dal pozzo. Basterebbe a provarlo il tentativo in atto di ripetere la vecchia tecnica propagandistica sovietica “antifascista”: occultare cioè la propria natura dittatoriale e violenta all’interno di uno schieramento più vasto, comprensivo anche di forze sinceramente democratiche, coalizzandolo contro un nemico comune. Il metodo funzionò perfettamente al tempo di Stalin; il “fronte antifascista”, nel quale confluirono miopi e fiduciosi Churchill e Roosevelt, riuscì demonizzando Hitler a nascondere le atrocità commesse dal regime comunista in patria e nei paesi assoggettati, rilanciando l’idea comunista in Europa e nel mondo durante il mezzo secolo successivo.
Oggi, si sa, molto è cambiato rispetto ad allora. Il regime di Putin, pur sforzandosi di recuperare la potenza e lo spazio vitale sovietici, non può (ancora) considerarsi totalitario. Tuttavia, nella sua costante ricerca di espansione, ha individuato un nemico su cui fare leva, quasi un surrogato del nazionalsocialismo hitleriano: l’islamismo radicale.
Ora, è chiaro che quest’ultimo rappresenta il vero, grande nemico delle democrazie d’inizio secolo. Ma la pretesa di creare un fronte globale “antislamico”, di cui facciano parte la Russia e i suoi tradizionali alleati, come il regine di Assad in Siria, somiglia al vecchio piano strategico “antifascista” staliniano, adattato alle nuove condizioni geopolitiche.
Per ora, tuttavia, esso stenta a funzionare. La crescente contrapposizione di Mosca agli Stati Uniti, e la spregiudicata politica di espansione perseguita nell’Europa orientale, hanno messo in allarme non solo i governi democratici. Se ne è avuta conferma recentemente, quando il ministro degli esteri saudita, Adel Al Jubeir, in visita a Mosca, ha respinto l’iniziativa russa di formare una più vasta coalizione, che però non abbia come obiettivo quello di rovesciare il presidente siriano, Bashar Al Assad. Lo scenario ipotizzato da Mosca «non fa parte dei nostri piani» ha detto il ministro saudita durante la conferenza stampa congiunta con il suo omologo russo, Serghiei Lavrov. «L’Arabia Saudita partecipa già a una coalizione che lotta contro i terroristi» ha aggiunto, in riferimento a quella guidata dagli Stati Uniti e impegnata nei raid aerei contro l’Isis in Iraq e in Siria, solo nel primo caso con il consenso del governo locale.
Ma la strategia russa, ora che è avviata, non si arresterà tanto facilmente. Già a fine giugno Putin aveva proposto la creazione di un’alleanza più ampia contro l’Isis, che comprendesse anche l’esercito regolare di Damasco schierato sul terreno – utilizzando pratiche criminali – contro i ribelli, jihadisti e non. Lavrov continua a sostenere l’iniziativa — di recente a Doha, in Qatar — ma paradossalmente con meno successo fra le autocrazie arabe rispetto alle democrazie liberali. «Si tratta di coordinare le azioni di tutti coloro che combattono già i terroristi, ovvero gli eserciti siriano e iracheno, i ribelli siriani e i curdi, affinché prendano coscienza della loro missione principale: lottare contro la minaccia terroristica e rinviare i loro regolamenti di conti. A differenza dell’Isis – ha aggiunto Lavrov – Assad non minaccia alcun Paese vicino».
Stalin, al tempo della “Guerra patriottica” contro il nazismo, avrebbe approvato calorosamente la tattica dei suoi successori. Il guaio è che, oggi come negli anni quaranta nei confronti dell’Urss, gli occidentali desiderosi di dare una mano a Mosca sono una legione. Se il diavolo combatte il mio nemico sono pronto ad allearmi anche con lui, dichiarò pressapoco Winston Churchill, preparando inconsciamente, dopo la disfatta del nazismo, la divisione dell’Europa e la Cortina di ferro. Ancora oggi, a molti europei, la storia sembra non aver insegnato niente.
Dario Fertilio