Putin il nazicomunista

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L’invasione russa dell’Ucraina, e l’occupazione militare della Crimea, hanno scosso per la prima volta dopo molti anni l’indifferenza paga e miope degli occidentali. La spiegazione è probabilmente da trovare nelle somiglianze fra l’ingresso dei carri armati a Sebastopoli e i ricordi paralleli del 1956 (repressione della rivolta di Budapest) e del 1968 (soffocamento della Primavera di Praga). In realtà, però, le somiglianze sono alquanto superficiali.
Anzitutto il presidente-padrone della Russia, Putin, non è un comunista in senso stretto: come ogni agente del Kgb, benché “in sonno”, egli è una non persona: paragonabile a un’acqua che prende la forma del recipiente che la contiene. Non ha preferenze, ricordi, passioni o debolezze reali: l’educazione del Kgb (“mente fredda, cuore caldo, mani pulite”) lo ha sottoposto fin dalla prima giovinezza (quando fu indotto a lasciare la prima fidanzata perché non “adatta” al suo incarico) a un processo totale di spersonalizzazione.
Putin è una funzione, più che un capo di Stato: cioè l’espressione di un’ideologia che nell’Est europeo ha preso il posto del vecchio internazionalismo bolscevico e si può definire nazicomunismo. Nel senso che unisce, sia pure in forma larvata, le caratteristiche totalitarie di entrambi i sistemi: partito unico dominante, capo assoluto, controllo poliziesco, repressione dura, assassinio mirato, irreversibilità del potere, terrore di massa come minaccia sempre possibile, controllo stretto dell’economia. A differenza del comunismo classico, tuttavia, il nazicomunismo ha abbandonato l’ideologia internazionalista (che, certo, in passato serviva come pura copertura, ma costituiva anche un potente strumento propagandistico all’esterno) sostituendola con il mito della superiorità razziale e culturale del popolo (in questo caso russo), l’odio o il disprezzo per il diverso, la politica aperta di potenza, il controllo dell’economia pur senza ricorrere alla statalizzazione integrale. Putin è insomma, strettamente parlando, più nazionalsocialista che comunista. Della seconda ideologia però conserva il mito sovietico mobilitante: espansione imperialistica, inno, storia, successi spaziali e militari, culto della salute pubblica, disprezzo per le “mollezze occidentali”.
Se questo è vero, l’invasione russa dell’Ucraina è molto più simile a quella hitleriana della Cecoslovacchia, nel 1938: anche in quel caso preparata dalla entusiastica accoglienza delle truppe tedesche da parte della popolazione di lingua ed etnia tedesca (nei Sudeti) che invocarono appunto l’intervento dell’esercito tedesco affinché la venisse a “liberare”. Ma non bisogna dimenticare neppure che nel 1943, l’anno dell’invasione della Germania in Italia, tutto era già stato predisposto accuratamente sul Brennero: le divisioni tedesche erano pronte ad intervenire passando attraverso il Sud Tirolo, acclamate dalla popolazione locale di lingua tedesca (Hofer aveva a disposizione 250 mila uomini).
Lecito chiedersi, fatte queste premesse, quali possano essere le prossime, prevedibili mosse di Putin. Memore della lezione hitleriana, e anche di quella leninista-staliniana, egli verosimilmente si mostrerà (parole di Hitler) “inalterabile negli ideali, ferreo nell’organizzazione, duttile nella tattica”. Potrà momentaneamente ritirarsi da un punto geografico (per esempio sospendendo le manovre militari al confine con l’Ucraina) per riprenderle altrove; fomentare attraverso alleati ed agenti infiltrati referendum separatisti nelle regioni ucraine a maggioranza russofona, quindi volgersi verso Oriente (Kazakistan, Uzbekistan), poi di nuovo al Centro Europa (Bielorussia, Moldova), poi chiedere un corridoio per Kaliningrad (come fece Hitler per Danzica) adattandosi di volta in volta al livello delle reazioni occidentali, alternando mano testa e minaccia, aiuto economico e “chiusura dei rubinetti”, trattative per il disarmo e minaccia missilistica, se non addirittura atomica.
Perché ogni totalitarismo (ieri nazionalsocialismo e comunismo, oggi nazicomunismo e islamismo radicale) è figlio di polemos, ha bisogno della guerra, almeno come prospettiva, quanto l’aria che respira. Se manca la mobilitazione della guerra, il totalitarismo è paragonabile a un virus che, non potendo aggredire carne altrui, finisce per volgersi contro se stesso, preparando l’implosione, o aprendo la strada alla rivolta interna.
La risposta europea (non parliamo dell’Italia pateticamente inesistente) a Putin è all’insegna della debolezza. Quella dell’America, con Obama, appare velleitaria. Ma non potrà essere così per sempre, perché Putin ( o chi per lui) interpreterà qualsiasi occasione per spostare un po’ oltre le sue bandierine sulla carta geografica. L’unica logica che il nazicomunista Putin comprende (come gli esponenti di ognil totalitarismo) è quella della forza.

Gaston Beuk

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Gaston Beuk
Gaston Beuk è lo pseudonimo di un noto giornalista e scrittore dalmata. Si definisce liberale in economia, conservatore nei valori, riformista nel metodo, democratico nei rapporti fra cittadino e politica, federalista nella concezione dello Stato e libertario dal punto di vista dei diritti individuali.

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