Dal discorso di Alcide De Gasperi del 12.4.1947 : ”Ce la faremo? Rispondo: certissimamente, purché lo vogliamo. Con fermezza, con tenacia, con solidarietà. E’ inutile che una categoria voglia sopraffare l’altra per arrivare al traguardo. O tutti o nessuno. Ci vuole disciplina, solidarietà ed onestà”.
Dal discorso di Mario Draghi in occasione della presentazione del Pnrr : “L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno uomini disinteressati, pronti a faticare e sacrificarsi per il bene comune”. (26 aprile 2021).
Da Civiltà Cattolica del 19 giugno 2021: “sono richieste una conversione di mentalità, il coraggio di intraprendere una strada di trasformazione e la convinzione che ognuno possa apportare il proprio contributo all’interno di un progetto comune”. E, sempre in Civiltà Cattolica : “la responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d’essere dell’autorità politica”.
In un recente incontro con alcuni giovani maturandi di una prestigiosa scuola di Milano, mi hanno chiesto: “cosa ha lasciato a noi giovani la vostra generazione? perché molti di noi pensano di dover andare all’estero per poter avere sbocchi e soddisfazioni professionale e umane (1)? Che voto darebbe lei alla nostra classe politica?”. (io ho risposto: 6–! Con particolare riferimento agli ultimi anni della Repubblica), ecc. Il tutto lasciava trasparire un forte senso di sfiducia e di rassegnazione , purtroppo!
Ed è stato pensando proprio alla scelta universitaria di questi ragazzi che ho pensato: tra i tanti attori che recitano – in modo spesso insufficiente – sulla scena proprio del nostro Paese, ci si potrebbe chiedere se le nostre Università non possano assumersi uno specifico impegno tendente alla crescita del livello di maturità civile del contesto nazionale.
Mi riferisco :
A) Per quanto concerne gli studenti, non tanto alla capacità accademica di trasferire conoscenze e competenze (dove peraltro anche i nostri atenei più prestigiosi purtroppo non figurano quasi mai in cima alle graduatorie internazionali) , quanto ad una sorta di “educazione civile” dei cittadini nella importante fascia di età compresa tra i 18 e, diciamo, i 24 anni di età. Età appunto, per la maggior parte dei casi, della formazione universitaria. E non intendo solo il saper indirizzare i giovani verso le facoltà più utili ai fini lavorativi, ma – principalmente – il saper spiegare il senso/la necessità di un contributo concettuale e operativo allo sviluppo di una consapevolezza di cosa può/deve essere davvero il proprio ruolo nel mondo, a partire dalla propria città, regione, nazione, e così via a crescere. Quale è infatti il senso dell’attuale sterile dividersi su tutto solo per avere una piccola parte nel confuso dibattito pubblico/televisivo anziché valorizzare la bellezza e l’ utilità di un confronto elaborato sulla base di valutazioni traversali non puramente ideologiche ma il più possibile oggettive/scientifiche e prospettiche ? Perché non abituarsi ad una possibile nuova dialettica costruttiva, onesta e documentata? Come accettare e sforzarsi di comprendere gli aspetti di validità di differenti interpretazioni del mondo senza che ci si debba necessariamente scontrare in modo distruttivo? Come impegnarsi insomma per un mondo migliore per tutti senza cadere nella barbarie della confusione, della corruzione o “semplicemente” di una costoso inefficienza? Quello che attende le nuove generazioni è davvero un compito arduo perché i focolai di infezione interni ed esterni a ciascun sistema sono innumerevoli e pericolosi. E i problemi sono imponenti. Il caso Covid 19 ne è solo una manifestazione. Ecco, le Università potrebbero porsi l’obiettivo, a prescindere dalla specialità di ciascun corso di studi, di creare cittadini nuovi, protagonisti di un cambio di mentalità, accumunati dal desiderio di dare una svolta decisiva alle relazioni umane e tra istituzioni; proprio, banalmente, per un mondo migliore che sopravviva a se stesso. Senza sogni utopici ma sulla base di una semplice consapevolezza: siamo tutti parte di una sola avventura , di un solo, fragilissimo pianeta il cui futuro dipende solo da noi stessi. Non c’è più spazio per stupidi egoismi di parte che ci fanno solo perdere tempo ed energie. Ci vuole più intelligenza applicata e interpretativa. Gli atenei potrebbero dare un loro forte contributo in questo senso? Esiste una materia di studio e un libro di testo “trasversale” da adottare in proposito? Un professore almeno che abbia la capacità e la voglia di affrontare il tema di un insegnamento all’altezza dell’era planetaria, volta a educare alla complessità e a una “cittadinanza terrestre”? (parole alte, queste ultime, del grande Edgar Morin).
B) Per quanto concerne un possibile “ruolo pubblico” per gli atenei. Nel suo discorso del 2 giugno scorso per la festa della Repubblica il presidente Mattarella ha ricordato il ruolo fondamentale dei partiti, delle forze sociali, dei soggetti della società civile nella continua formazione del processo democratico. In un suo bell’articolo del 30 giugno, Galli della Loggia ha sottolineato come “oggi è il tempo delle proposte concrete e dei progetti ambiziosi ma ragionati, è il tempo delle cifre e del calcolo dei tempi di attuazione”. Su temi fondamentali come il funzionamento del vastissimo settore pubblico (dalla pubblica amministrazione, alla sanità , alla giustizia) (2), la gestione dei migranti, le priorità degli investimenti, la scuola e la formazione continua, il divario Nord – Sud, il ruolo dell’Italia in Europa, la lotta alla criminalità e così via…è mai possibile che le università italiane in quanto tali (e non solo come singoli docenti o come organizzatori di pur interessantissimi corsi di laurea o di specializzazione o, ancora, come attività consulenziale) non abbiano nulla da dire, da scrivere, da proporre/sottoporre all’opinione pubblica e al governo (e non certo ai partiti politici)? Possibile che, almeno le grandi e storiche Università italiane si espongano direttamente meno dei quotidiani e dei settimanali nazionali su problematiche di fondamentale importanza per il Paese e per il futuro dei nostri giovani? Non sembra esservi traccia di tutto ciò: non vi sono prese di posizione precise e/o comunicati e articoli specifici nei siti istituzionali universitari. Che i tempi siano maturi per una loro “uscita allo scoperto”? E se in proposito esistessero impedimenti giuridici (come mi segnala il già rettore di una nostra università), si può forse valutare il modo di interpretarli in modo favorevole all’auspicio sopra descritto? C’è forse qualche interessante esempio all’estero? (3)
di Bruno Goatelli
(1) da un articolo del Sole 24h del 19 giugno scorso: quasi un laureato italiano su due è pronto a cambiare paese o continente…in un contesto in cui continuiamo a non attrarre talenti dall’estero.
(2) ibidem : Pubblica Amministrazione: laurea solo per il 24% di amministrativi e tecnici. Spesso sono i diplomati a coprire funzioni destinate a laureati.
(3) Ho trovato qualche spunto interessante ( a prescindere dal contenuto, ovviamente):
*”Università inglese bandisce la carne di manzo per combattere il cambiamento climatico. La carne di manzo è infatti una delle principali cause di dispersione di metano nell’atmosfera . L’università Goldsmiths cercherà di indirizzare i suoi studenti verso carriere professionali che contribuiscano alla lotta contro il cambiamento climatico”. (Giacomo Vitali, web editor, 16.8.2019).
*Oppure: “Harvard e Mit denunciano Trump per il giro di vite sugli studenti internazionali” (Il sole 24 h, 9.7.2020).
*Oppure ancora: “Le facoltà umanistiche delle università americane …sono attualmente attraversate da un movimento neopuritano intollerante, iconoclasta e violentemente anti-occidentale…..I campus americani sono divenuti un terreno di una permanente caccia ai peccati e ai peccatori secondo il decalogo antidiscriminatorio e antirazzista della neo religione politicamente corretta.”.(L’Opinione delle libertà, 19.3.2021).