Alcuni giorni fa è apparso su un importante quotidiano nazionale (“La Repubblica”) un articolo di un altrettanto importante giornalista (Massimo Giannini) in cui si faceva il “punto” sulla storia del Monte Paschi di Siena.
Nell’articolo si sosteneva che la colpa di tutto quanto successo era da ascriversi alla “banda del 5%” che aveva spadroneggiato negli uffici finanziari della banca e nel libero mercato che aveva travolto con i suoi trucchi, la sua mancanza di regole e controlli una banca sino ad allora solida ed efficiente.
Pur ammettendo l’esattezza dell’affermazione che un mercato finanziario completamente libero, privo di regole e controlli non può non portare a grandi guadagni per pochi e rischi gravissimi per molti, non possiamo non notare come questa interpretazione sia fuorviante, ideologica e parziale.
Infatti è sufficiente ripercorrere la storia degli ultimi anni del Montepaschi per vedere come la mancanza, o meglio il non ricorso, al libero mercato abbia portato a questi risultati.
All’inizio della nostra storia il Montepaschi era una media banca italiana di grandi tradizioni molto ben radicata sul territorio (che in Italia va tradotto come: banca molto attenta ai desiderata di politici, forze locali, potentati, gruppi di pressione ecc) che un certo momento decide di fare il grande salto e diventare una delle banche di interesse nazionale. Unico sistema possibile: acquistare un’altra banca di medie dimensioni, l’Antonveneta appunto.
Per farlo occorrevano soldi, tanti soldi: una decina di miliardi.
Per raccoglierli esisteva una sola via chiara, semplice e lineare:
- ricorrere al (tanto famigerato) mercato;
- fare un aumento di capitale con questo scopo;
- chi avesse avuto i soldi e avesse ritenuto l’operazione valida poteva investire e comperare azioni del Monte dei Paschi partecipando così all’operazione con la speranza di futuri guadagni
- Ma c’era un “ma”: la Fondazione Montepaschi non aveva i fondi necessari per acquistare tutta la quota di sua competenza e in questa maniera avrebbe perso quel 50,1% di quota della banca che le permetteva di averne il controllo assoluto
- Ovviamente la Fondazione era l’espressione di quelle forze politiche locali e non che controllavano e gestivano in questa maniera l’economia della città
- Allora è intervenuto il trucco: una parte dell’aumento di capitale lo si traveste grazie alla “finanza creativa” in prestito, così la Fondazione non perde il controllo della banca
- Da qui è cominciata tutta la serie di operazioni strane e discutibili che hanno portato all’attuale dissesto
Se si fossero seguite le leggi del libero mercato non sarebbe successo nulla, tutto sarebbe avvenuto alla luce del sole. Con un solo problema: la Fondazione (cioè la politica) avrebbe perso il controllo della banca: come del resto sarebbe stato giusto e corretto: in una società per azioni comanda chi investe e rischia i propri soldi, non chi ha una carica politica o una tradizione…
Naturalmente nel più puro concetto di statalismo e centralismo l’articolo chiudeva augurandosi un intervento dello Stato per salvare alla fine una banca di così grandi e nobili tradizioni:
come sempre i potenti e i politici incassano e i cittadini pagano.
Solo con libero mercato, concorrenza e trasparenza queste cose non possono succedere.
Angelo Gazzaniga