Quel che insegna la Catalogna

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L’affaire Catalogna ha tanto da insegnare anche a noi

La Catalogna ha un suo Governo e un suo Parlamento, esattamente come le nostre Regioni. In Spagna si chiamano “Comunità autonome” e sono 17.
Applicando per la prima volta nella storia  l’articolo 155 della Costituzione Spagnola il Governo di Mariano Rajoi ha sostituito il Governo eletto dai cittadini Catalani con dei suoi rappresentanti, in particolare col vicepresidente del governo in carica a Madrid. Infatti oggi la Comunità autonoma di Catalogna è guidata dall’avvocato Soraya Sàenz de Santamaria, una signora  che dal 2011 è il vicepresidente del Governo Rajoi.

Il presidente eletto dai cittadini (come dire il Maroni della situazione) si chiama Puigdemont ed è in esilio a Bruxelles con cinque assessori, mentre altri 8  membri del Governo sono stati messi in prigione a Madrid.
La maggior parte (sei)  ha potuto tornare a casa lo scorso 6 Dicembre dopo aver pagato una cauzione (sono state fatte delle collette) , altri 2  sono ancora in prigione.
Dal 16 Ottobre sono  in prigione Jordi Cuixart, il presidente della associazione culturale Omnium (costituita negli anni 60 con l’obiettivo di studiare e promuovere la lingua e la cultura catalana)  e Jordi Sànchez, presidente della associazione culturale “ANC Associazione Nazionale Catalana”, costituita nel 2011 . Sono indagati di “sedizione” , un reato punito con 8 – 15 anni di carcere.
Giovedì 7 Dicembre si è svolta a Bruxelles una manifestazione per il Governo Catalano in esilio. Alberto D’Argenio ha scritto su Repubblica che “mai si è visto a Bruxelles un appuntamento elettorale straniero così affollato”
Confesso che mi sento come un amante tradito: da più di mezzo secolo  leggo tutti i giorni il Corriere della Sera ma esso non ha commentato la manifestazione di Bruxelles. Incredibile. Come è possibile?
Si possono dire tantissime cose a favore o contro quello che sta succedendo in Catalogna, ma penso che la politica di “non parlarne” sia decisamente sbagliata: a mio giudizio riguarda molto da vicino tutta Europa, e certamente non “solo la Spagna”.  Lo penso per almeno tre motivi. Eccoli

1         Il mito del controllo centrale
Nel 1994 Kenichi Ohmae sciveva: “I governi nazionali tendono tuttora a considerare le differenze tra regione e regione in termini di tasso o modello di crescita come problemi destabilizzanti che occorre risolvere , anziché come opportunità da sfruttare.
Non si preoccupano di come fare per aiutare le aree più fiorenti a progredire ulteriormente , bensì pensano a come spillarne denaro per finanziare il minimo civile.
Si domandano se le politiche che hanno adottato siano le più adatte per controllare aggregazioni di attività economiche che seguono percorsi di crescita profondamente diversi .
E si preoccupano di proteggere quelle attività contro gli effetti “deformanti” prodotti dalla circolazione di informazioni, capitali e competenze al di là dei confini nazionali.
In realtà non sono queste le cose di cui ci si deve preoccupare.
Concentrarsi unicamente su questi aspetti significa mirare soprattutto al mantenimento del controllo centrale , anche a costo di far colare a picco l’intero paese, anziché adoperarsi per permettere alle singole regioni di svilupparsi e, così facendo, di fornire l’energia, lo stimolo e il sostegno per coinvolgere anche le altre zone nel processo di crescita.”
Qui voglio ricordare l’articolo 3 della Costituzione Svizzera. Ecco il testo:  “I Cantoni sono sovrani per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale ed esercitano tutti i diritti non delegati alla Confederazione”.
Dunque lo Stato centrale non è il “padreterno” come da noi e come in Spagna.  La sovranità è dei cittadini, e quindi degli enti territoriali. Lo Stato è al loro servizio e svolge i compiti che loro,  i titolari della sovranità, via via decidono di delegargli. E naturalmente come e quando vogliono possono decidere, con lo strumento della “iniziativa popolare”, di togliere e/o modificare le deleghe.
Con questa cultura e con questa Costituzione da sette anni  la Svizzera è il paese più competitivo del mondo davanti a grandi (Stati Uniti,secondi) e a  piccoli Stati (Singapore, terzo).

2    La necessita di entità politiche più piccole
Paolo Magri, il vicedirettore esecutivo dell’ISPI , ricorda sempre che la politica internazionale è un “gioco per grandi”, e gli attori principali restano ancora Stati Uniti, Cina, Russia e Unione Europea, anche se poche volte quest’ultimo attore riesce davvero a parlare con una voce sola. Ma diciamoci la verità.  Non solo non  riusciamo a parlare con una voce sola: in realtà in questo gioco per grandi siamo gli ultimi della classe. Non ci siamo. Dobbiamo crescere. Abbiamo bisogno di una Europa forte.
Ma allora leggiamo il testo coraggioso e  “politicamente scorretto” scritto di recente da  Michele Boldrin: “Detto brutalmente: un’Europa “federale” non potrà nascere finché i quattro (Francia, Germania, Italia e Spagna, che diventano cinque, se contiamo anche la Polonia e sei se il Regno Unito dovesse fare marcia indietro sulla Brexit) non si “frantumeranno volontariamente” in entità politiche più piccole per le quali un’effettiva unione federale europea diventi non solo una convenienza ma un’urgente necessità. Perché l’Europa possa mettere in moto quel processo che da “e pluribus” conduce “ad unum” essa dovrà liberarsi dal continuo ricatto che i poteri politici, economici e burocratici dei grandi stati praticano nel loro tentativo, tanto naturale quanto deleterio, di autopreservarsi. Finché il potere sarà concentrato nelle capitali dei grandi paesi questi penseranno alla UE come al luogo di contrattazioni, compromessi e trattati fra entità che mantengono il proprio potere autonomo. E questo genera sia paralisi che rigetto, come da vent’anni andiamo apprendendo.”
Dunque quello che sta succedendo in Catalogna ci porta anche a ragionare sulla fine degli –stati nazione per avere  una economia europea più forte e competitiva ed una Unione Europea più presente, più forte e capace di parlare con una sola voce. E’ il caso di discuterne! Ma c’è anche un terzo punto. Si tratta di etica e di dignità

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Il 1 Ottobre in Catalogna si è svolto un referendum  dichiarato illegale dal Governo di Madrid. Nella circostanza gli ha fatto comodo dimenticare  che “la giustizia è un capitolo dell’etica, non materia solo di codici”  (
Ecco, dico che si dovrebbe anche discutere e cercare di capire per  quali motivi tante persono fisiche sono andate a votare il primo di Ottobre rischiando le botte della Guardia Civil o hanno percorso i quasi 1.400 kilometri che dividono Barcellona da Bruxelles. Io su questo posso testimoniare: non ho sentito un catalano lamentarsi di tasse o altro, ma solo e sempre di dignità.
La cultura europea non può non discutere di questi argomenti  o parlarne solo alla luce di interessi, o di paure, o di appartenenze politiche. Anche perché in preparazione  alle elezioni del 21 Dicembre si viene a sapere (da Twitter) che la Junta Electoral non vuole la presenza di osservatori internazionali. Probabilmente , a mio giudizio, perché la relazione degli osservatori internazionali al referendum del 1 Ottobre aveva evidenziato il brutale comportamento della Guardia Civile. Ma anche, a giudizio di tanti altri, perché “ a Madrid hanno già deciso chi vincerà”.

di Giancarlo Paglierini

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