Che fare seriamente di fronte al dilemma tra diritto alla pensione e mancanza di fondi?
In Italia la discussione sulle pensioni è eterna. Si fa una legge, la si contesta, la si ridiscute, la si cambia in un clima di eterna lotta: più che comprensibile data la delicatezza del tema e gli interessi in gioco, ma quello che fa specie è che in questo polverone si fatichi addirittura a capire i termini della questione.
Infatti esistono interpretazioni diverse con conseguenze addirittura opposte:
- secondo una tesi abbastanza accreditata l’istituto della pensione non è che un’assicurazione obbligatoria. L’INPS si dovrebbe comportare come una qualsiasi assicurazione, con la sola caratteristica di essere obbligatoria e garantita dallo Stato. Pertanto quello tra INPS e assicurato sarebbe un normale contratto: io verso una determinata somma e ricevo, in funzione di determinati calcoli statistici (le cosiddette “aspettative di vita”), una rendita in rate mensili vita natural durante. Obbligatoria e garantita dallo Stato. Pertanto quello tra INPS e assicurato sarebbe un normale contratto: io verso una determinata somma e ricevo, in funzione di determinati calcoli statistici (le cosiddette “aspettative di vita”), una rendita in rate mensili vita natural durante.
In questo caso come in tutti i contratti assicurativi la rendita è un diritto acquisito e non modificabile. - secondo una seconda tesi (accolta in parte dalla Cassazione) la pensione sarebbe un diritto che ogni cittadino ha di avere un’aspettativa di tenore di vita congruo rispetto a quello avuto nel periodo lavorativo (detto in maniera molto approssimativa).
Anche questo sarebbe un diritto acquisito ma in potenziale contrasto con altri diritti dei cittadini: quali quello alla salute, all’istruzione, alla difesa ecc.. Perché in mancanza di risorse qualcosa andrebbe comunque tagliato: o le pensioni o il resto, o tutti e due.
Quindi un diritto sì acquisito ma non assoluto.
- una terza tesi è quella dell’INPS (e quindi del Ministero delle Finanze): le pensioni non possono non essere proporzionate alle risorse: io Stato ti pago le pensioni sinché ci sono soldi… A questa stregua, ovviamente, non esiste nessun diritto acquisito, salvo quello di avere una pensione proporzionale a quanto rimasto nelle casse dello Stato.
Si tratta quindi in prima istanza di mettersi d’accordo su cosa siano in effetti le pensioni: se si discute di cose diverse tutti saremo d’accordo e contemporaneamente in disaccordo: stiamo semplicemente parlando di cose diverse. Anche qui occorrerebbe quella chiarezza, quella volontà di chiarire gli argomenti che sono l’opposto dei toni da crociata o da campagna elettorale tipiche della nostra politica.
Come la pensiamo noi?
Secondo il nostro parere di modesti ma convinti liberali le pensioni non sono che una specie di assicurazione obbligatoria sulla vita, liquidabile in forma di rendita a partire dal momento della cessazione dell’attività dell’individuo. In altre parole: l’INPS restituisce sotto forma di rendita vitalizia (la pensione) ciò che è stato anticipato dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa (le trattenute).
Sarebbero pertanto contratti assicurativi da rispettare comunque (pacta servanda sunt dicevano i romani) dato che da un contratto (tu mi restituisci quanto ti ho anticipato) non può che nascere un obbligo assoluto.
Fatto salvo il caso dei vitalizi e delle pensioni calcolate con il metodo retributivo: in questo caso non ci sarebbe da parte dell’INPS l’obbligo alla restituzione di quanto prima ricevuto ma un generico impegno a garantire una certa pensione per motivi sociali (o altri…)
Angelo Gazzaniga