Quella della Turchia non è la prima pugnalata alle spalle

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occidentale
Un’analisi della politica turca in rapporto con l’Occidente

Quando ai tempi della Freedom Flotilla Erdogan tradì e scaricò brutalmente l’esemplare alleanza con Israele e si fece portavoce e paladino del più bieco antisemitismo di strada, nessuno in Europa batté ciglio. Al contrario. Le analisi e i commenti si concentrarono sulla forma, anziché sulla sostanza. Si persero cioè in disquisizioni su Gaza e sull’occupazione e sul finto pacifismo anti-israeliano. E così facendo, persero la notizia.

Perché la notizia era invece che un paese fino ad allora vicino all’Occidente, tradizionalmente alleato d’Israele, musulmano di retaggio ma laico nelle istituzioni, all’improvviso aveva voltato casacca, indossato i panni dell’islamismo antisemita, e fatto quello di cui oggi il presidente Putin ha accusato Ankara dopo l’atto di guerra compiuto dall’esercito turco ai danni di quello russo: una pugnalata alle spalle.

Perché con la famigerata Freedom Flotilla Erdogan aveva prestato il nome e il prestigio della Turchia intera a un manipolo di banditi armati e camuffati da operatori umanitari, e salpati alla volta d’Israele per compiere un’azione di guerra vera e propria. Ciò aveva in cambio offerto a Erdogan il pretesto e la scusa per trasformare un episodio di teppismo spicciolo in un incidente diplomatico tra stati, e di esporre Israele al linciaggio internazionale mentre lo stesso Erdogan si faceva megafono delle più trite e becere bugie antisemite e anti-israeliane. Gli europei non se me accorsero. Eppure, la pugnalata era anche per loro, e per l’Occidente intero.

Basterebbe questo fatto per fornirci la chiave di lettura di quanto avvenuto in Siria – l’abbattimento di un caccia russo da parte della Turchia e su ordine addirittura del suo Primo Ministro. Ma c’è molto di più, purtroppo. C’è la fine dell’eccezione turca, decretata dalle trame ottomane di Erdogan e dall’ingenua passività dell’Europa che poteva fare qualcosa, e ha fatto la cosa sbagliata. Perché i nostri leader, prostrati alle sirene malvagie del multiculturalismo, del relativismo, del tedzomondismo e dell’orientalismo, sono rimasti prigionieri dell’incapacità da questi generata di comprendere le dinamiche sociali, politiche e religiose di paesi che non appartengono alla nostra Civiltà.

E così quando Il burattinaio Erdogan ha demolito pezzo per pezzo le fondamenta laiche della Turchia voluta da Ataturk, l’Europa ha addirittura apprezzato, confondendo quella che era in effetti una strategia di prevaricazione da parte dell’islam politico con un’asserzione di tolleranza religiosa e di maggiore democrazia. Quando Erdogan cancellava la garanzia dell’esercito alle istituzioni della Turchia moderna – garanzia ancora voluta da Ataturk perché sapeva, il padre della patria, che la maggiore minaccia alla modernizzazione del paese era rappresentata dall’islamismo latente – l’Europa plaudiva, confondendo una subdola manovra autoritaria in nome dell’islamizzazione, che minava il progresso turco e ne cancellava definitivamente l’eccezionalità, per un’illuminata politica anti- militarista e in favore della società civile.

Un abbaglio continuo, divenuto cecità, e la cui conseguenza è il fatto incontrovertibile che la Turchia europea non esiste più, traghettata da Erdogan nel cuore del Medio Oriente di trame, involuzione e paludi che la nostra ingenuità non riesce a guadare. Abbiamo assistito inerti e rimbambiti all’assassino della Turchia moderna e alla sua resurrezione nel torbido impero di mezzo ottomano-islamista di Erdogan. Ne abbiamo approvato e lodato il veleno. E così abbiamo perso Istanbul, e ci ritroviamo Ankara.

Il guaio, però, è che perseveriamo nell’errore. E c’è un motivo. L’elemento forse più grave dell’aggressione turca ai danni della Russia è il commento immediato di Obama che l’ha definita “giusta”. Cioè il leader dell’Occidente ha dimostrato di essere ancora prigioniero dello schema scellerato per cui la Russia, che combatte anche nel nostro interesse in Siria, è nostra nemica. Mentre la Turchia, la cui ambiguità vergognosa nell’affare dello Stato Islamico è il riflesso torbido della sua deriva traditrice, sarebbe ancora degna del rapporto privilegiato che ha permesso a Erdogan di prosperare mentre continuava a colpirci alle spalle con il suo pugnale di despota.

E’ questo, oggi, il dramma che l’Occidente vive. Perché l’Occidente e’ l’America. Senza Washington, l’Europa e’ un fortino assediato senza più guarnigione ne’ comando. Ma l’America di Obama è stata per le nostre sorti prima delusione, poi disastro, infine incubo. E il conto della sua politica miope e confusa si paga ormai sempre, e soltanto, in euro. Ciò è vero per la politica di isolamento della Russia che divide l’Europa, trasformandola da mercato aperto e processo di integrazione a fortezza rinchiusa nel filo spinato di una nuova cortina di ferro; per la Siria, dove gli americani hanno perseguito scopi ambigui fidandosi ingenuamente di chi li odia e provocando un terremoto che si è tradotto nello tsunami di rifugiati che però non si accalcano disperati a Ellis Island, bensì alle porte esangui dell’Unione Europea.

Il danno per l’Europa è gigantesco, perché i profughi portano con se’ dilemmi terribili, fantasmi che agitano società sconvolte dal terrorismo, motivi di litigio e divisione tra stati membri, radicalizzazione politico-sociale, indebolimento del regime di libero scambio e circolazione. Insomma la faccenda dei profughi mette l’Europa a soqquadro, ne minaccia la stabilità e l’unità, e ne indebolisce la leadership, al punto che persino Angela Merkel trema su un trono che fino a ieri sembrava una roccia. La responsabilità, senza attenuanti, è del pasticcio di Obama. E la Turchia ne approfitta, così come approfitto’ ai tempi della crisi con Israele dei bassifondi antisemiti delle nostre società.

Lo fa perché può. Perché a dispetto dei fatti che indicano che Ankara è oggi al pari di Teheran o Ryadh – lontana, lontanissima da noi – essa continua a godere dell’appartenenza alla NATO, in seno alla quale è quinta colonna e alleato fasullo. E non è un caso che subito dopo aver compito un gesto di pirateria militare ai danni dello sforzo bellico russo contro un nemico che e’ il nostro nemico – lo stato islamico – Ankara ha convocato la NATO. Perché il suo interesse è trasformare la sua ingiustificabile aggressione nella contrapposizione tra Occidente e Russia. E Obama sta al gioco, e rilancia.

Qualcuno allora, per cortesia, dica qualcosa. Se c’è ancora un giudice a Berlino, o a Bruxelles, o a Parigi – che alzi la voce con un’America ormai fuori controllo. Che archivi per sempre, l’Europa, il progetto ormai folle di un’associazione di qualunque tipo con la Turchia islamico-ottomana di Erdogan. Che apra gli occhi, Bruxelles, sul fatto che mentre le sue strade deserte ci raccontano della sconfitta della nostra civiltà, l’esercito russo fa per noi il lavoro sporco in Siria, osteggiato persino da un paese che dovrebbe essere nostro alleato, ma gioca invece chiaramente per la squadra avversaria. L’Europa ha bisogno della Russia così come ne aveva bisogno durante la seconda guerra mondiale. Mentre Ankara è la serpe in seno di cui dobbiamo sbarazzarci. Abbiamo anche la fortuna di non doverci alleare con Stalin, ma con Putin.

Eppure sino a ieri, mentre le portaerei francesi e russe si incontravano nel mediterraneo da alleati e partner in guerra, l’Occidente decideva di estendere le sanzioni contro Mosca fino al luglio 2016. Una schizofrenia imperdonabile. Di cui l’America, e il peggiore dei suoi presidenti, dovranno un giorno rispondere alla Storia.
Da “l’Occidentale” del 26 novembre

Mario Rimini

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