“Io credo che la vita debba essere vissuta fino in fondo, anche se a volte fa venire il mal di stomaco”
Raul Gardini
E’ uscito su il 7 aprile 2021 su La 7 il documentario “Raul Gardini, il corsaro: una storia dimenticata” presentato da Andrea Purgatori con la tensione del cronista di razza che meriterebbe ad avviso di chi scrive di essere nominato senatore a vita per il rigore narrativo alla Seymour Hoffmann, con cui lo ha realizzato: è addirittura inquietante – ancorchè in senso positivo – la lucidità mostrata dal giornalista Purgatori, che supera Giovanni Minoli.
Gardini era una personalità ipomaniacale ad alto funzionamento che stava per diventare lo Steve Jobs dell’economia italiana, con la fusione tra Montedison e Eni che avrebbe creato il primo polo “pubblico-privato” dello Stato Imprenditore a capitalismo renano e fu travolto dal corso degli eventi, proprio mentre stava per avere successo.
Enimont: un gambling “… che creò, secondo il pubblico ministero di Mani Pulite Antonio Di Pietro, non solo una fusione aziendale che avrebbe potuto cambiare la chimica italiana, ma anche “la madre di tutte le tangenti” (dall’articolo di Piero Colaprico “Addio Turani raccontò la Razza padrona”). Non ebbe successo – prima del corsaro della Ferruzzi Raul – anche Michele Sindona, morto suicida nel carcere di Voghera nel 1986. Entrambi nemici irriducibili di Enrico Cuccia, il boss di Mediobanca che non tollerava il Mercato nel Belpaese del Gattopardo e poi travolti dalla famigerata “sindrome di Napoleone”: non fermarsi mai, uccidendo la lucidità iniziale del loro disegno. Come scrisse nei suoi diari Francois Tayllerand, “Se solo Napoleone Bonaparte si fosse fermato, si sarebbe salvato”. L’assalto ingenuo (per citare Gianfranco Piazzesi) della Banca Privata Italiana a via Filodrammatici fallì proprio quando i Chicago Boys decollavano negli States con Milton Friedman e Friedrich Hayek (e chiedevano a Sindona di presenziare alle loro lezioni universitarie).
Come scrisse Piero Ottone nel suo libro fondamentale Il gioco dei potenti, “… Poi, avendo mirato troppo in alto, essendosi troppo indebitato, Sindona ebbe bisogno di raccogliere altro denaro in borsa mediante l’aumento di capitale di una sua nuova società; l’autorizzazione gli fu negata, perchè Ugo La Malfa, Enrico Cuccia e l’establishment finanziario (ma soprattutto La Malfa, con la sua coggiutaggine monomaniaca, così santa e così ammirevole quando era applicata a una giusta causa) decisero finalmente di fermarlo. Era la fine inevitabile di un avventuriero che, mediante operazioni spericolate, ma classiche, aveva avuto il torto di non fermarsi a tempo; il suo giuoco era chiaro e lucido, aveva l’unico difetto di avere oltrepassato ogni limite di prudenza, di decenza, di buon costume…” (La Malfa morirà per super lavoro poco tempo dopo: la monomania è comunque una malattia, ndr).
Tra artisti e imprenditori non c’è differenza, come ho già scritto nel mio saggio su Gianni Agnelli: ma non fermarsi mai è un errore.
Non c’è mania senza depressione.
Non c’è ipomania senza depressione.
“A meno che il maniacale”, come aveva detto Louis Bertagna, lo “psichiatra degli artisti”, “non muoia in un incidente – è chiaro – provocato da lui stesso”. Questo è stato il caso di Raul Gardini, che da giocatore d’azzardo agito passionalmente dalla Mano Invisibile di Adam Smith si scagliò contro l’Establishment, quasi al limite della “furia” di Frances Farmer, l’attrice di Hollywood Babilonia divorata viva dalla sua ambizione.
C’è un’istanza superiore al ragionamento: è l’egoismo; anzi, il demone egoistico è in antitesi al Cogito ergo sum di Immanuel Kant, e viene guidato dalla passione versus “logos”.
Orbene, questo era il limite e il punto di forza insieme del ravennate Raul che aveva un sogno: diventare l’erede di Enrico Mattei nelle geometrie variabili dello Zeitsteil.
Perchè? Non lo sapeva nemmeno lui. Le cose accadono semplicemente perchè devono accadere. Ma fu schiacciato dalle “porte girevoli” dello scandalo del reale che abita le nostre esistenze umane, e dalle mille maschere che era stato costretto a costruirsi: avrebbe detto Denis Mack Smith. Il geniale Matteo Cavezzali nel retrocopertina del suo capolavoro “Icarus, ascesa e caduta di Raul Gardini” scrive: “Ho sentito parlare della vicenda di Gardini da decine di persone, e ognuno raccontava una storia completamente diversa. Colpevole o vittima? Inebriato dal potere o incastrato da un complotto? Visionario o pazzo? Sognatore o assetato di denaro? A Ravenna tutto è un mosaico, ma a differenza di quelli bizantini, che visti da lontano tratteggiano volti di imperatori e santi, questo mosaico è molto più ambiguo. Ci sono dentro sia imperatori che santi, ma è difficile, quasi impossibile identificarli”.
La fusione tra Eni e Montedison fu intralciata dal giudice Diego Curtò (reo confesso durante la detenzione a Brescia, piangendo) dietro pagamento di tangente e addio al polo chimico nella partnership pubblico-privata da Adenauer 2.0: le azioni di Gardini erano sequestrate ad accordo raggiunto. E lui, come nella “Fiera delle vanità”, comincia a sbagliare.
Acquisisce un’importanza fondamentale l’intervista di Andrea Purgatori a Piercamillo Davigo, quoziente superiore alla media ed esponente di maggior rilievo dopo Saverio Borrelli nel cosiddetto “pool della procura di Milano”: ricordiamo che Gardini si tolse la vita con un colpo di pistola Walter PPK nella sua abitazione di Belgioioso a Milano, il 23 luglio 1993 nell’anticamera del suo interrogatorio “garantista” a 24 carati da parte del magistrato Di Pietro (che rischiava nel frattempo di essere eliminato, come egli stesso ricordò alla Susanna Turco nel febbraio del 2020 per l’Espresso), e che sul “passaggio all’atto” suicidario di Raul ci sono pochi dubbi: se fosse stato interrogato da Antonio Di Pietro, avrebbe molto probabilmente confermato – in cambio della libertà – la confidenza riservata di Tommaso Buscetta a Giovanni Falcone sul reinvestimento di denaro sporco nelle casse delle holdings Ferruzzi: non solo, come ha spiegato Di Pietro alla Susanna Turco, la Procura di Milano avrebbe avuto gli elementi sufficienti per chiedere al Parlamento l’autorizzazione all’arresto di Giulio Andreotti che era il destinatario finale della maxi-tangente Enimont: 150 miliardi di lire. Nel conto “Spellman” intestato allo Ior, Istituto delle Opere di Religione: Marcinkus contro Martin Lutero (questo è il dramma dell’Italia che non ha conosciuto la contro-riforma). La storia d’Italia oggi lo sappiamo, sarebbe stata diversa: poiché ad essere colpito sarebbe stato il Divo, non il Ghino di Tacco. Cioè Giulio, non Bettino. Manette ai polsi.
Questo è il mistero dello Zeitsteil, nella selezione darwinistica tra vincenti e perdenti.
Il caso la fa da padrone. Togliendosi la vita, il romantico dal volto tremebondo Gardini salvò Giulio Andreotti dalla galera (sic!). Un’altra curiosità: sia Gardini che Berlusconi erano nello stesso periodo, nel “biennio horribilis” 1992 – ’93 stretti tra gli stati misti dell’umore, i più pericolosi: eccitazione e depressione contemporaneamente; uno si è suicidato e l’altro ha fondato Forza Italia arrivando a Palazzo Chigi. Temperamenti ipomaniacali Silvio e Raul: sono le potenze celesti di Johann Wolfgang Goethe.
Ecco la trascrizione integrale dell’intervista imperdibile di Andrea Purgatori a Piercamillo Davigo, apologeta della “Mano Invisibile” di Adam Smith in contrapposizione a Gherardo Colombo – dove l’ex magistrato di punta di Mani Pulite arriva a un giudizio molto simile a quello di Claudio Martelli sull’uomo Raul Gardini: “Piercamillo Davigo, intanto buonasera. Magistrato, membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura: però qui – diciamo – lei è in qualche modo un protagonista della stagione di Tangentopoli, perchè faceva parte del pool; di quello che veniva definito il pool di Mani Pulite. E’ così, vero?”
“Sì, buonasera”.
“Senta, Davigo. Adesso – senza voler fare del revisionismo, senza voler diciamo riscrivere la storia – retrospettivamente, sono passati ormai tantissimi anni – lei ha diciamo la consapevolezza di qualche errore che avete commesso sul piano umano? E mi riferisco diciamo alle conseguenze delle azioni che ci furono in quel periodo di tante persone che si tolsero la vita, prima, durante o dopo essere stati indagati? Lei non ha – diciamo – un pensiero rispetto a quello che era accaduto in tempo reale rivedendolo oggi?”
“No, assolutamente no. Noi abbiamo fatto il nostro dovere rispettando le regole. Queste cose tra l’altro accadono nei processi molto più di frequente di quanto si pensi. Io rimasi scioccato la prima volta volta che un imputato si suicidò, e mi fu risposto: ti abituerai. Queste cose accadono.
E mi fu anche detta una cosa di cui poi mi sono convinto fosse fondata: cioè le conseguenze dei delitti ricadono su coloro che li commettono, e non su coloro che li scoprono. Ma il punto non è questo: sentivo il professor Fortis che parlava del tentativo di sottrarsi all’abbraccio della politica.
Io ho la sensazione che ci fosse per la verità un abbraccio ben più mortale della sola politica.
Quando il gruppo Ferruzzi scala Montedison, intanto si scontra con la finanza tradizionale italiana.
“Con Mediobanca, certo (Enrico Cuccia, ndr)
“I salotti buoni del capitalismo. In secondo luogo, quando Montedison fa l’accordo con Eni per dar vita a Enimont, c’è un episodio inquietante riferito nel suo volume “A conti fatti” da Franco Bernabè: Lorenzo Necci, che era stato l’artefice di quell’accordo, consegna al professor Reviglio e a Raul Gardini firmatari dell’accordo Enimont, due capsule d’argento con simboli massonici. Questo per far capire intanto chi c’era anche a vegliare su quell’accordo.
Terzo, nella maxitangente Enimont che viene pagata usando soldi creati attraverso falsità contabili … allo Ior da Luigi Bisignani, soggetto appartenente alla P2. Adesso, poi tornerò su questa questione dello Ior perchè a mio giudizio è particolarmente importante. Per di più, abbiamo avuto segnali inquietanti che si collegano a questa vicenda sia pure in modo lato e cioè che l’amministratore di Calcestruzzi, che era un’altra azienda del gruppo, pagò tangenti in Sicilia.
E ci disse che in Sicilia le cose andavano più o meno come in Lombardia, solo che là c’era molta più disciplina. Poi un collaboratore di giustizia siciliano spiegò che esisteva il cosiddetto tavolino.
Non era una cosa materiale”. “ (Purgatori, ndr) No, per spiegarlo. Era un sistema ideato da Angelo Siino (Ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra, ndr) che era la persona che aveva detto: “Facciamo una rotazione tra tutte le imprese in maniera tale che non c’è concorrenza e noi possiamo prendere soldi da tutti quanti a seconda del turno con cui gli facciamo vincere gli appalti. L’ho detta bene?” “Sì. Ma il problema è che al tavolino sedevano i politici e i mafiosi. Oltre agli imprenditori. Allora, torniamo alla questione dello Ior. Ci fu una decisione molto risalente nel tempo della Corte di Cassazione che disse che lo Ior – l’Istituto delle Opere di Religione, la Banca del Vaticano – era un ente centrale della Chiesa cattolica, e come tale sottratto alla giurisdizione italiana. Quindi dovemmo fare una rogatoria allo Stato della Città del Vaticano, perchè anche se i dirigenti dello Ior erano residenti in Italia non avremmo potuto convocarli e sentirli, in ragione di quella decisione della Corte di Cassazione. Fummo sorpresi quando lo Stato della Città del Vaticano diede corso alla rogatoria, ci rispose. Ci mandò atti e documenti, da cui fu possibile individuare una parte del denaro poi usato per pagare tangenti. Ho però saputo – molti anni dopo – leggendo un libro scritto da un giornalista, Gianluigi Nuzzi – che ha avuto a disposizione le carte di monsignor De Bonis, un prelato deceduto che aveva avuto incarichi nello Ior.
Era De Bonis che gestiva lo Ior in quel periodo.
Era uno di quelli che gestivano lo Ior. Bisognerebbe pur sapere i ruoli perfetti, ma questo non lo posso sapere. Posso immaginarmelo. Sta di fatto che – secondo quello che scrive Nuzzi – lo Stato della Città del Vaticano ritagliò la risposta su quello che ipotizzava avremmo potuto scoprire, e non ci disse molte altre cose.
Per esempio tacque su un conto verosimilmente riconducibile a Giulio Andreotti, dove sarebbe finita un’altra parte di questa tangente.
“Si, era il conto Spellman”.
“E questo ci riporta ai rapporti tra Giulio Andreotti e le organizzazioni mafiose, che è un altro capitolo oscuro di questo Paese. Allora, è evidente che io immagino che nessuno degli attori – certamente non Raul Gardini – si fosse reso conto quando ha cominciato la partita, chi erano i giocatori e di quale caratura erano questi giocatori (mentre Davigo fa queste affermazioni, nel documentario di Purgatori scorrono le immagini di Andreotti, Craxi e Forlani: il CAF, ndr).
Scontrarsi contemporaneamente con la politica, con la mafia e col Vaticano credo sia un’impresa che supera le forze di chiunque”.
“Si, senta però proprio a questo proposito come, per esempio, per quanto riguarda diciamo l’azienda Calcestruzzi che era in Sicilia controllata dal gruppo Ferruzzi, mi risulta che Gardini cercò di liberarsi, quando si rese conto che poteva essere inquinata dalla mafia, le società potevano essere inquinate dalla mafia cercò di liberarsene, ma non ci riuscì. Nel senso che era un momento dove era molto difficile fare un passo indietro, rispetto ai tanti passi che si facevano, e mano a mano che si andava avanti, quella morsa di cui lei parlava prima di tutti questi poteri messi insieme, era sempre più stringente…”.
Dal conto Spellman n.001 – 3 – 14774 – C intestato al Gobbo, come scrive Gianluigi Nuzzi “… escono 400 milioni per l’avvocato Odoardo Ascari, difensore di Andreotti nei procedimenti aperti a Palermo per concorso in associazione mafiosa…”.
La metà di questi soldi finisce a Francesco Pazienza, l’agente del Super – Sismi chiamato a deporre nel processo di Palermo a carico del Divo. Racconta Giuseppe Pipitone nell’intervista “Parla Francesco Pazienza “Io, Andreotti, gli 007 e quell’avvocato che lo infastidiva”: “… Quello del Divo è un nome che torna spesso nei racconti di Pazienza. E spesso sono racconti inediti e pericolosi. “Un giorno Santovito (direttore piduista del Sismi, ndr) mi mandò da Andreotti. Io vado e il presidente mi fa: c’è questo avvocato di Sindona che sta dicendo un sacco di stupidaggini (Rodolfo Guzzi, ndr). Come si fa a farlo smettere? Gli consigliai, con un po’ d’ironia, di rivolgersi alla divina provvidenza. Rispose dicendo che l’aveva già fatto e per questo ero lì”. Un racconto che Pazienza non ha fatto a suo tempo, chiamato a deporre ai processi del sette volte presidente del consiglio. “Prima della deposizione di Palermo mi chiamò l’avvocato della Democrazia cristiana, Giuseppe De Gori, e mi offrì duecento milioni. Giuro: aprì la cassaforte e tirò fuori una busta piena di mazzette con scritto Banca d’Italia. Queste, mi fece, te le manda il presidente (Andreotti, ndr).
Io presi un pacco di banconote, tirai fuori quattrocentomila lire per le spese di viaggio e andai via”. Un altro fatto che l’ex 007 si è ben guardato dal raccontare in aula: “Se lo raccontavo succedeva un casino. Al processo ho risposto a tutte le domande, ma se avessi voluto potevo fare male veramente”… “.
A casa mia si chiama “corruzione in atti giudiziari”: così Andreotti è stato assolto con la formula 530 comma c.p.p.
Con i soldi della maxi-tangente Enimont – “la madre di tutte le tangenti” – ha comprato il silenzio di Pazienza.
Su questo sfondo la Iron Lady Margaret Thatcher detestava il Gobbo. Il Times ricorda come “non fu mai apprezzato dalla Lady di Ferro, che lo considerava un uomo senza principi”.
Da una parte il business, dall’altra The Godfather.
Ha scritto Matteo Cavezzali nel suo libro splendido alla Scott Fitzgerald “Icarus, ascesa e caduta di Raul Gardini”: “Io immaginavo un dialogo. Un dialogo tra Gardini, che stava diventando uno degli uomini più potenti dell’epoca, e un uomo che invece il potere aveva paura di perderlo, e lo avrebbe mantenuto con il terrore, a costo di uccidere molte persone con attentati eclatanti. Vorrei immaginarmi un incontro tra Gardini e Totò Riina. Nel giugno 1992 il pentito Leonardo Messina raccontò a Paolo Borsellino che Riina usava la Calcestruzzi S.P.A dei Ferruzzi per riciclare i suoi soldi… Un anno dopo quella confessione, sia Borsellino che Gardini erano morti. Cosa si sarebbero detti Gardini e Riina se si fossero incontrati in quegli anni cruciali? Prima delle stragi di via d’Amelio?”
“… “Attento, c’è un gradino”, gli dice una voce diversa da quella del ragazzo di prima. Entrano in una casa, forse una villa. “Ora può togliersi il sacco”. La sala è spaziosa, illuminata da piccole finestre. Davanti a lui un uomo tozzo, vestito con un maglione largo a scacchi rossi e bianchi, le guance grasse e cadenti e due piccoli occhi scuri senza espressione. “Trasite”, gli dice con una voce sottile, quasi femminile, che stona con il suo aspetto. “Dunque lei è il famoso Totò Riina”, dice Gardini.
“E lei è il famoso Raul Gardini. Vede che bello, siamo tutti famosi qua dentro”, risponde Riina, tirandosi su i pantaloni per la cintura.
Riina si mette a sedere su un divano foderato di rosso, a pois viola.
“Non mi guardi con quell’aria di diffidenza, io e lei facciamo lo stesso lavoro”.
“E’ che non sono abituato a essere circondato da persone armate”.
“Ci farà l’abitudine. Noi due abbiamo molte cose in comune, dottore. L’ho vista in televisione, l’altra sera, da Minoli, e sono d’accordo con lei. Lo Stato è il nostro comune nemico. E’ lo Stato che ci rovina, che ci perseguita, che ci vorrebbe umiliare. Ma sa perchè lo stato odia tanto le persone come me e lei?
Perchè dimostriamo che le cose funzionerebbero meglio senza di loro. Senza questi politicucci parra parra, che fanno tante chiacchiere, ma poi senza di noi sono perduti. Solo una cosa buona c’è nello Stato. I soldi. Tanti soldi che non sono di nessuno. L’ho chiamata qui perchè io e lei, caro Gardini, ci prenderemo quei soldi…”.
Ps – “Non abbiamo una Thatcher”: così disse Mario Draghi a una folla di investitori della City sul Panfilo Britannia della Regina Elisabetta, il 2 giugno 1992 a Civitavecchia. Pochi giorni dopo la strage colombiana di Capaci nella quale persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i cinque agenti della scorta.
Un anno dopo, il 23 luglio 1993, Raul Gardini si sarebbe tolto la vita nella sua residenza di piazza Belgioioso, a Milano con un colpo di Walter PPK.
Sbagliò a non ascoltare Claudio Martelli: si sarebbe dovuto fermare.
di Alexander Bush