Quando è stato istituito il reddito di cittadinanza, un’iniziativa almeno come concetto ecomiabile, aveva come cardini principali l’aiutare coloro che erano in difficoltà a vivere e il far trovar loro un lavoro.
Poi sappiamo com’è andata: se ha funzionato come assistenzialismo, è stato un autentico fallimento come aiuto a trovare un lavoro: un lavoro, forse solo precario, lo hanno trovato solo i famosi “navigator” che sono andati a ingrossare la massa di burocrati inutili e nullafacenti.
A loro, per onestà, andrebbe aggiunto anche l’ineffabile Parisi che è riuscito a piazzare un programma inutile e a farsi lautamente rimborsare viaggi e spese varie…
Ma ora siamo in una situazione drammatica e tra i settori più in sofferenza c’è quello agroalimentare: mancano quasi totalmente gli stagionali che assicuravano la raccolta, o perché sono rimasti nei loro Paesi d’origine o perché, essendo irregolari, non possono andare a lavorare. Perché allora non “offrire” questi lavori a chi ha firmato un patto che li impegnava, in cambio di un reddito, ad accettare un lavoro?
Risolveremmo due problemi insieme: far ripartire l’agricoltura e far lavorare chi cerca un lavoro.
Oppure dobbiamo classificare il reddito di cittadinanza come “reddito di divano”?
di Guidoriccio da Fogliano