Luci e ombre sul jobs act di Renzi
Quello che dovremmo chiamare, da buoni italiani, “provvedimenti sull’occupazione” evitando il solito inglese (tra l’atro spesso massacrato come job acts) è stato un provvedimento che ha avuto indubbiamente successo.
Ma in una direzione diversa, o comunque complementare, rispetto a quella sbandierata e venduta come grande riforma: ha permesso l’assunzione a tempo indeterminato di molti precari ma non ha recato molto aiuto alla lotta contro la disoccupazione (che infatti è cresciuta in questo mese).
Infatti un imprenditore ha un grosso vantaggio ad assumere a tempo indeterminato un precario. Risparmia tre anni di tasse e può comunque licenziarlo se cala la produzione. Viene cioè meno proprio la motivazione ad assumere un precario: minori costi e la possibilità di licenziarlo quando non serve più. Mentre restano i problemi tipici del precariato: una forza lavoro un continuo cambiamento, poco motivata e poco incentivata.
Ma questo rimane comunque un provvedimento che modifica la tipologia di contratto, ma non combatte la disoccupazione: meno precari e più occupati a tempo indeterminato , ma ben pochi nuovi assunti.
Quale imprenditore infatti pensa di assumere nuovi dipendenti perché può risparmiare tre anni di contributi e tasse? Nessuno.
Un imprenditore assume solo se prevede di poter aumentare il proprio giro di affari e quindi di aver bisogno di più dipendenti: altrimenti rischia sì di risparmiare le tasse ma di pagare stipendi senza aumento del giro d’affari.
La disoccupazione si combatte con la crescita economica, non con i decreti sul lavoro: quindi occorre quello che Libertates da sempre chiede: meno pastoie burocratiche, meno leggi inutilmente complesse, meno burocrazia, più fiducia da parte di banche e Stato verso chi rischia in proprio, magistratura più efficiente ecc ecc.
Solo così ripartiranno economia e assunzioni. Insieme perché sono inscindibilmente legate
Angelo Gazzaniga