Ho un ricordo preciso del 2006. Allora tutta la sinistra, con il soccorso volenteroso di Casini, osteggiò il referendum costituzionale che avrebbe cambiato l’Italia. Oscar Luigi Scalfaro, l’ineffabile presidente che aveva violato la Costituzione organizzando il ribaltone per il governo Berlusconi, il moralista schiaffeggiatore di donne troppe scollate, presiedette il comitato “Salviamo la Costituzione” cui aderirono i partiti del centro-sinistra, i sindacati, i Comitati Dossetti, Libertà e Giustizia, Anpi, Acli e i principali media. L’Udc di Casini tappezzò i muri dell’Italia con un manifesto in cui il territorio nazionale era diviso come ai tempi precedenti l’Unità, con lo slogan: diciamo No a chi vuole dividere l’Italia. E, a disdoro dei riformatori, il fronte reazionario di sinistra vinse la sua battaglia, facendo credere che chissà quali guai si sarebbero abbattuti sul Paese e, insieme con la Casa della Libertà, fossero prevalsi i sostenitori del sì.
Oggi, sette anni dopo, ecco la verità fuori dal pozzo: quelle riforme sarebbero stati utilissime, anzi indispensabili, tanto che oggi le invocano i “nuovisti” alla Renzi, come se prima di loro fosse stata al potere soltanto la casta.
Che cosa proponeva il referendum del 2006? Molte cose, certo non tutte perfette, ma la sostanza c’era e come.
Votando sì quel giorno ( e io mi onoro di averlo fatto) si sarebbe concessa alle Regioni una potestà legislativa esclusiva in molti campi (federalista) ma con alcune clausole di interesse nazionale che avrebbero comunque consentito allo Stato di intervenire in caso di inadempienze e abusi degli enti locali.
Si sarebbe stabilito l’obbligo di nuove elezioni in caso i caduta del governo, salvo la sfiducia costruttiva con l’indicazione di un nuovo premier.
Il Premier stesso avrebbe avuto un potere fortemente accresciuto (che adesso si vorrebbe ottenere mediante la riforma elettorale) mentre il presidente sarebbe stato il garante dell’unità federale dell’Italia.
E ancora (udite! Udite!) si sarebbe ridotto il numero dei deputati (da 630 a 518) e quello dei senatori (da 315 a 252), e si sarebbe eliminato il bicameralismo perfetto, differenziando in maniera sostanziale le funzioni di Camera e Senato.
Più o meno le cose che ora, con l’aria di inventare cose nuove, invoca propagandisticamente Renzi e populisticamente Grillo.
I discendenti di quella sinistra che ha paralizzato le riforme, ora vorrebbe farsene paladina. Ma con quale credibilità?
Gaston Beuk