Ricostruire la storia del conflitto Russia-Ucraina

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Un regime, ormai totalitario, come quello russo, erede diretto di quello sovietico, non si accontenta di riscrivere la storia: riscrive il presente e cancella il passato. Se oggi Putin afferma che l’obiettivo è il Donbass, allora l’obiettivo è sempre stato il Donbass e non è mai esistita l’intenzione russa di annettere o “pacificare” e “denazificare” l’intera ucraina.
Dunque, se l’obiettivo era il Donbass, perché Putin non si è fermato il 22 febbraio? Quel giorno infatti, dopo il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Luhansk da parte del Cremlino, le truppe regolari russe sono ufficialmente entrate nel territorio. C’erano già dal 2014 ed era un segreto di Pulcinella, ma con il riconoscimento formale, con tanto di discorso televisivo alla nazione e l’ingresso delle truppe, con bandiere al vento, è iniziata la separazione definitiva del Donbass dal resto dell’Ucraina. Se l’obiettivo era il Donbass, la Russia non avrebbe dovuto far altro che fermarsi a quella fase: l’Ucraina, visti i rapporti di forze, non avrebbe mai avuto la possibilità di scacciare i russi. Invece la guerra non si è affatto fermata al Donbass. Il 24 febbraio, dopo un altro discorso televisivo in cui Putin condannava senza appello l’esistenza stessa dell’Ucraina e negava ogni legittimità al suo sistema politico, iniziava un attacco su tutti i fronti: dalla Bielorussia e dalla Russia verso Kiev, vero Sumy, verso Kharkiv, ovviamente nel Donbass, dalla Crimea verso Mariupol, dalla Crimea verso Kherson e navi dispiegate al largo di Odessa.
Cosa dobbiamo dedurre, dal discorso di Putin e dalla modalità dell’attacco? Che l’obiettivo fosse solo il Donbass, sin dall’inizio? Immaginiamo che la Germania, dopo aver annesso l’Austria, voglia appoggiare l’indipendenza dell’Alto Adige, attaccando però anche in Veneto, cercando di prendere Milano, lanciando paracadutisti a Roma per prendere la capitale con un blitz e poi sbarcando pure in Sicilia: a quel punto sarebbe ancora credibile il pretesto della protezione dell’Alto Adige dalla presunta “persecuzione” italiana? O non penseremmo piuttosto che l’intento della Germania sia quello di invadere l’Italia intera?
Su Kiev, i russi hanno tentato non uno, ma due blitz. Il primo, con un’operazione aviotrasportata sull’aeroporto secondario di Hostomel, è fallito, stroncato subito dalla resistenza di forze di reazione rapida ucraine. Il secondo, una colonna corazzata lanciata verso il centro cittadino, appoggiata da infiltrati interni, è stato stroncato dalla resistenza nelle strade di accesso e dalla liquidazione immediata delle cellule di infiltrati. Insomma, l’impressione che l’obiettivo iniziale non fosse “solo il Donbass” non è solo alimentata dalla “russofobia”. Era abbastanza evidente, sia nel discorso di Putin, sia nelle prime mosse dei russi, che l’intento iniziale fosse quello di rovesciare il governo di Kiev, occupare militarmente tutte le città-chiave a Est del fiume Dnepr e imporre una pax russa al Paese. Nelle indiscrezioni (che sono e restano tali) sui primi negoziati in Bielorussia, si apprende anche che Mosca avesse proposto, dopo aver già perso il blitz, una soluzione di compromesso: un governo scelto dalla Russia e Zelensky ancora presidente, ma con poteri ridotti. Per non parlare dei tentativi di uccidere lo stesso Zelensky: i russi ci hanno provato almeno quattro volte, secondo quanto sappiamo finora. Il terzo giorno di guerra, Putin spronava i soldati ucraini a sollevarsi contro il governo, senza alcun effetto. Evidentemente era convinto che, spontaneamente o grazie ad infiltrati, l’esercito ucraino fosse pronto a ribellarsi a Zelensky e schierarsi dalla parte del “liberatore”. Il 26 febbraio la Ria Novosty mandava online, per errore, un proclama della vittoria in cui si dettagliavano i due obiettivi: la “soluzione della questione ucraina”, attraverso la riunificazione di russi, bielorussi e ucraini e “il ritorno della Russia nella sua posizione di grande potenza nel mondo” a scapito delle democrazie occidentali. Vero? Falso? Non verificabile. Ma considerando come furono condotte le prime operazioni militari, è quantomeno plausibile che fosse questo il vero obiettivo dei russi e che dovesse essere conseguito entro i primi tre giorni di guerra.
È anche possibile che Putin non abbia cambiato subito obiettivi. Altrimenti non si capirebbe come mai, nelle successive sei settimane, l’esercito russo abbia continuato a premere su tutti i fronti. E senza mai riuscire a sfondare. Ha conquistato una sola città, Kherson ed ha posto l’assedio a Mariupol, non è riuscito a sfondare a Sumy né a Kharkiv, non è riuscito a circondare Kiev, non è riuscito a chiudere le truppe ucraine in una sacca nel Donbass, non è riuscito neppure ad avvicinarsi ad Odessa. Solo dopo settimane di guerra di attrito, abbiamo assistito ad un cambio di passo, ad una razionalizzazione della conduzione delle operazioni militari. Le truppe attorno a Kiev sono state ritirate, lasciando dietro di loro una scia di devastazione e di sangue (le stragi di Bucha, Hostomel, Irpin e Borodyanka) di cui tuttora i russi non si assumono alcuna responsabilità. Hanno ritirato le forze anche dai fronti di Sumy e in parte anche da Kharkiv. Il grosso delle forze è stato assegnato al fronte del Donbass, Mariupol inclusa. Il comando è stato affidato al generale Dvornikov, veterano della Siria. Non ha sostituito nessuno: prima ogni settore del fronte aveva un comando indipendente che riferiva direttamente a Putin. Altro segnale che i russi pensavano ad un’operazione breve e di natura più politica che militare. E poi hanno dovuto cambiare idea.
Però la tesi ufficiale è che il Donbass e solo il Donbass è sempre stato l’unico obiettivo russo. E che l’assedio di Kiev, così come gli altri attacchi, fossero solo “pressing per convincere Kiev a trattare”. Finora Mosca “ha scherzato”, ora combatte una guerra seria, “costretta dal rifiuto ucraino e occidentale” a cedere. E se al Donbass aggiungesse, come obiettivo, anche la costa ad Ovest della Crimea, fino a Odessa, è per dimostrare che l’Ucraina, non volendo piegarsi sul Donbass, pagherà amaramente le sue scelte.
Ricostruire questa storia sarà importantissimo per tutti noi. I partiti e i governi che prenderanno per buona la versione russa, trarranno la conclusione che la resistenza è inutile e dolorosa. “Se solo gli ucraini avessero ceduto il Donbass, quanti morti e distruzioni avrebbero risparmiato?” si chiederanno i tanti russofili. La prossima volta che Putin chiede qualcosa, dunque: diamogliela subito. Ricostruendo bene i fatti e le parole di questa invasione, invece, non possiamo che trarre una lezione opposta: l’aggressione non paga e solo grazie alla resistenza e all’aiuto occidentale, Putin ha dovuto rinunciare alla conquista dell’Ucraina. E ha dovuto ripiegare su un obiettivo territoriale minore. Un obiettivo che, per altro, i russi avevano già ampiamente conseguito il 22 febbraio. Non fosse stato per la megalomania di Putin e la leggerezza con cui ha lanciato l’invasione, i russi, più che gli ucraini, avrebbero potuto risparmiarsi migliaia di morti.

di Stefano Magni

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