Nel 1983 siamo stati davvero a un passo da una guerra nucleare? Il libro di storia alternativa di Stefano Magni (pubblicato da Libertateslibri) è anche uno sguardo sulla situazione di tutti coloro che nel 1983 erano adolascenti giunti al momento delle scelte
è un breve romanzo di storia alternativa (dunque una storia fatta con i se), il secondo che propongo per i Libri di Libertates dopo Piazza Caporetto. Stavolta si parla di un pezzo di storia contemporanea ancora molto poco frequentato dai nostri manuali di storia. E’ ambientato in uno dei momenti più caldi della Guerra Fredda, fra l’agosto e il novembre del 1983. In quel periodo mancò veramente poco allo scoppio della guerra calda, caldissima, nucleare. La tensione fra gli Usa di Reagan e l’Urss di Andropov era molto alta e bastava una scintilla per far scoppiare l’incendio. La scintilla ci fu, ma la guerra non scoppiò. Nella realtà. Nel mio romanzo, invece… Senza anticipare troppo, dico solo che il filo conduttore principale per narrare la vicenda è un ragazzo milanese di 17 anni, Giorgio Bastiani, che sta per compiere diciotto anni e in quell’autunno caldo del 1983 sta iniziando il suo ultimo anno di liceo scientifico. Lontano da ogni centro decisionale, subisce i grandi eventi come tutti gli altri. Nel frattempo, altri personaggi a Mosca, Londra, in Germania e negli Usa, decidono le sorti del pianeta a seguito di una serie di sfortunati eventi. Perché il filo conduttore è un ragazzo di 17 anni? Perché la Guerra Fredda era essenzialmente una scelta di campo fra due stili di vita opposti. E la tarda adolescenza, alla vigilia della maturità, è l’età delle scelte di campo per eccellenza. (oltre al fatto che, visto con gli occhi di un 17enne, è tutto molto più semplice, tutto molto più tratteggiato a chiari-scuri). Qual era questa scelta di campo? Quella fra individualismo e collettivismo.
L’individualismo, la base della società aperta del mondo libero, è all’apparenza spietato. C’è chi ha successo, con le donne, con i soldi, con la carriera. E chi rimane emarginato. Giorgio Bastiani è, nel suo piccolo, un emarginato. Viene rifiutato dai compagni di scuola e subisce un trauma nel momento in cui viene respinto anche dalla ragazza di cui è sempre stato segretamente innamorato. Quindi subisce la fascinazione, sia estetica che culturale, del collettivismo conosciuto tramite suoi amici di sinistra e soprattutto grazie al carisma di una militante di origine tedesca. Era l’anno di massima espansione del movimento pacifista e Giorgio vi aderisce di buon grado, credendo di partecipare ad un progetto nobile, per sventare il pericolo di una guerra nucleare e contribuire a costruire una società più giusta. In realtà scopre ben presto che, alla base di questi ideali apparentemente nobili, c’è una ideologia violenta, sostenuta da veri delinquenti. Quando il gioco si fa troppo duro, è troppo tardi per chiamarsi fuori.
Questa scelta, molto ardua per ogni adolescente, è la Guerra Fredda, il suo significato più profondo. Nella società aperta non necessariamente sono premiati i meritevoli. La libertà è essenzialmente libertà di scegliere. In amore vince chi viene accettato dal partner, negli affari chi produce beni e servizi che vengono scelti dal maggior numero di clienti e consumatori. Spesso il successo è una questione di intuito, ma anche molto di fortuna. Lavorare duro per raggiungere un obiettivo aumenta sicuramente le chance di successo, ma può essere una frustrazione non ripagata. Quindi puoi amare di amor sincero, ma non essere ricambiato. Puoi essere il miglior lavoratore del mondo, ma se ciò che produce la tua azienda non piace al pubblico, rimarrai comunque disoccupato. In compenso, dal profondo della sua frustrazione, il perdente vede avanzare persone che reputa più mediocri o anche del tutto indegne, per motivi che non si saprà mai spiegare. Proprio perché la natura delle scelte è inspiegabile. In amore vedrà il buzzurro impresentabile aver più successo, negli affari magari vedrà il cafone in Ferrari e il laureato all’angolo che chiede l’elemosina. Questo, si noti, è il motivo di frustrazione che accomuna l’operaio analfabeta dell’Ottocento, convinto che il padrone gli rubasse il profitto, così come l’intellettuale borghese frustrato di fine Novecento, convinto che il rozzo gli rubi le donne e la carriera. E da qui nasce la volontà di rovesciare la società come un calzino, per “raddrizzarla”, nel nome di un ideale di giustizia sociale.
Questa giustizia sociale consiste nel tentativo di realizzare una società e un modo di produzione radicalmente differenti, basati sull’equazione di Karl Marx: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Che è esattamente quel che la libertà di scelta impedisce di realizzare, perché non è detto, appunto, che qualcuno desideri il prodotto delle tue capacità, né che il tuo bisogno venga soddisfatto da altri. Questa società “giusta” è sicuramente attraente. Anche esteticamente accattivante. Aderire a questo progetto dà comunque la sensazione di essere superiori, intellettualmente e moralmente, rispetto a chi vive una vita da individualista. Ma quel che non si percepisce all’inizio, diventa ben presto chiaro. Una società di questo genere non può realizzarsi. E il tentativo di costruirla contro le scelte individuali contrarie, implica sempre una discreta dose di violenza. Anche nel loro piccolissimo, Giorgio e i suoi compagni pacifisti credono realmente di portare la pace, con il loro impegno civile, in barba a tutti i ragazzi che si godevano semplicemente una vita consumista. Ma la pace non arriva, la battaglia fallisce clamorosamente, prevalgono interessi nazionali che esulano dalla loro volontà. E quindi? Resta l’arma della violenza politica, prima solo interna al gruppo, poi contro il mondo esterno. Questo nel micro-cosmo di un gruppo di giovani milanesi.
A livello macro, l’Urss in quegli anni si sentiva assediata e in procinto di essere aggredita in uno scontro finale. Ma perché questo? Per lo stesso motivo. Perché dal 1917 i comunisti sovietici avevano cercato di cambiare il mondo e nel 1983 era già assolutamente chiaro che non ci sarebbero riusciti. Quindi si sentivano circondati e assediati da nemici. Interpretavano ogni singolo evento nel mondo libero, ogni singolo discorso dei leader occidentali, come un sintomo della guerra imminente. Quindi si tenevano pronti a colpire per primi. Quando lanciarono la campagna per la pace e il disarmo unilaterale, nei primi anni ’80, tentarono per l’ultima volta di condizionare i governi del mondo libero senza ricorrere direttamente alla violenza militare. Il tentativo fallì definitivamente proprio in quell’autunno del 1983. Quel che successe dopo, lo abbiamo visto tutti: sei anni di fallite riforme e agonia e poi il collasso del sistema sovietico. I sovietici, in ultima istanza, ebbero troppa paura di usare le loro immense risorse di violenza e portarono il loro sistema al suicidio. Questo nella realtà. Nel mio romanzo, invece…
Comunque erano questi i termini dello scontro, durato dal 1917 al 1989, con ben poche pause di riflessione e temporanee alleanze: un confronto a tutti i livelli fra individualismo e collettivismo, dal piano personale a quello planetario. La volontà collettivista di ricostruire la società in base a criteri di giustizia sociale è clamorosamente fallita. E nel suo fallimento avrebbe potuto trascinare il mondo in una guerra devastante. La guerra non è scoppiata e alla fine l’individualismo, tanto vituperato, ha trionfato. Un individualismo la cui logica è: “Da ciascuno secondo come sceglie, a ciascuno secondo come viene scelto”. Una società tutt’altro che perfetta, ma che, per lo meno, non rende necessaria la violenza. E’ questo forse l’unico grande vantaggio. E dici poco! La società aperta, quella basata sull’individualismo, è una società che non necessita alcuna violenza per stare in piedi. Ed è proprio questa sostanziale emarginazione della violenza che ha fatto sì che le società aperte siano anche le più prospere: le persone hanno una più solida prospettiva di sicurezza, dunque possono pensare più concretamente a progettare il loro futuro. Pur con tutti i suoi svantaggi, dunque, l’individualismo ci fa vivere in pace.
Leggendo questo libro, spero che il lettore si renda conto che oggi viviamo in tempi di gran lunga meno pericolosi. Per quante preoccupazioni ci possano essere, fra terrorismo, una Russia sempre più aggressiva e una Cina che emerge come potenza militare, abbiamo il dovere di essere ottimisti. Nel 1983 il rischio di annientamento era molto più concreto.
di Stefano Magni