Salerno-Reggio e non solo. Lavori in corso, l’Italia delle opere incompiute

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Per quale motivo in Italia i lavori pubblici restano sempre incompiuti?

È un gigantesco cartello di “lavori in corso” l’esemplificazione più nitida dell’attitudine tutta italiana a lasciare le cose a metà. Autostrade, gallerie, ponti, stadi, palazzetti sportivi, ospedali, piscine. Qualcuno ha contato fino a 600 opere pubbliche incompiute. Da nord a sud è una corsa ad ostacoli tra cantieri annunciati e mai iniziati, o più banalmente, lasciati a metà.

Le ragioni di questa immane lentezza non sono solo economiche. L’ostacolo costituito dall’opposizione crescente dell’ambientalismo più radicale, che si agita al motto di “Nimby” (Not in my back yard: Mai nel mio giardino) si fa sempre più consistente. E basta sfogliare le cronache per averne conferma.

Uno studio di Confcommercio ha denunciato che le strade pubbliche incompiute valgono 31 miliardi di euro, con ritardi accumulati che vanno dai 7 ai 50 anni. In un viaggio poco raccomandabile per il nostro Stivale, tra i grandi classici incompiuti del Belpaese troviamo la Pedemontana Veneta; l’autostrada Roma-Latina; la Salerno-Reggio Calabria; e dulcis in fundo il ponte sullo stretto di Messina in Sicilia.

La Pedemontana Veneta è un progetto di superstrada a pedaggio. Dopo una gestazione durata 46 anni, il progetto dovrebbe essere completato entro il 2016. Iniziato nel 1966, un susseguirsi di revisioni e varianti hanno posticipato la realizzazione dell’opera e fatto lievitare il budget necessario. Al 2014, i costi dell’opera, un finanziamento misto, pubblico-privato, sono all’incirca di 2 miliardi e 258 milioni di euro, con un contributo pubblico di 614,9 milioni.

C’è poi l’opera che tutti dicono di voler finire ma nessuno riesce mai a concludere, la A3 Salerno-Reggio Calabria. La cerimonia d’inaugurazione della nuova autostrada risale ai  tempi di Fanfani, i lavori iniziarono nel 1962 e avrebbero dovuto concludersi nel decennio successivo. Ma ancora nel 1987, l’allora Ministero dei Lavori pubblici stanziava mille miliardi per “lavori di somma urgenza” e nel frattempo, per via delle infrastrutture inadeguate, il Sud Italia rimaneva scollegato dal resto del Paese.

Negli anni Novanta, il caso della Salerno-Reggio divenne europeo. Nella seconda metà del decennio il Governo Prodi annuncia finanziamenti per seimila miliardi del vecchio conio e seimila persone impiegate, ma nel 2012 i chilometri completati erano 248, 110 quelli in fase di ammodernamento o ricostruzione, 75 quelli ancora non toccati. Le previsioni erano che entro il 31 dicembre 2013 si arrivasse a 358 chilometri completati, ma così non è stato.

Dalle cifre ufficiali emerge che i costi – a opera non ancora finita – sono di 10,5 miliardi di euro più un altro miliardo per pagare i numerosi contenziosi con le imprese e otto nuovi svincoli che ad oggi non hanno copertura finanziaria. Matteo Renzi di recente ha dichiarato: “Sulla Salerno-Reggio ho detto a Graziano Delrio che se non la risolve guido io fino a lì”.

Ma se raggiungere la Sicilia dalla Calabria non è cosa facile, attraversare l’isola è un altro viaggio tra spese fuori controllo, incuria e opere mai terminate. C’è chi se la prende con le inefficienze dei concessionari ANAS che dovrebbero garantire la manutenzione e lo sviluppo delle infrastrutture stradale dell’isola, fatto sta che tra il 2000 e il 2007 è stato stimato che la differenza tra quel che avrebbe dovuto essere e quel che effettivamente è stato investito è pari a 84 miliardi di euro.

Tra lentezze burocratiche, passi falsi, ritardi, sindrome del NIMBY, nel nostro Paese quando si inizia un’opera infrastrutturale non si sa mai bene a che santo votarsi. Nelle settimane scorse, Renzi ha tenuto a puntualizzare che il Ponte sullo Stretto di Messina si farà, ma solo dopo aver chiuso i tanti dossier ancora aperti come la Salerno-Reggio Calabria, perché a quel punto “la storia, la tecnologia e l’ingegneria andranno nella direzione del Ponte”. Visto il quadro che abbiamo descritto, viene da chiedersi quant’è lontano il futuro di cui si parla.

Lorenza Formicola
Da “l’Occidentale” del 14 Dicembre 2015

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