Che cosa hanno in comune Salvini e Flores d’Arcais?
Non voglio impallinare Tizio o Caio, ma constato che se la destra italiana, nella sua mostruosa insensibilità, ha perlomeno il pregio di una mostruosa coerenza, la sinistra paga ormai di uno stato confusionale a suo modo altrettanto mostruoso.
La lezione del filosofo italiano – nonché direttore di «MicroMega» – Paolo Flores d’Arcais sta infatti recentemente raccogliendo adepti anche presso l’ineffabile destra dell’intransigenza «presa sul serio». Non direttamente, poiché alla sacra alleanza fra «MicroMega» e «Il Giornale» manca ancora il passo dell’impudenza. Ma «stiamo lavorando per voi», recita la scritta di questo bizzarro cantiere degli ossimori, «dateci ancora un po’ di tempo e, in nome del comune nemico islamico, saremo finalmente affratellati».
Per singolare che possa sembrare, il fenomeno di una sublime intesa fra l’oltranzismo ateistico di «MicroMega»e l’oltranzismo razzistico del «Giornale» non è affatto inattesa. Da anni Flores e i suoi seguaci lavorano a una «difesa del relativismo» – anzi a una promozione di quel sedicente «purismo del relativismo» che lo stesso Flores ha più volte confessato coincidere con un «assolutismo del relativismo» – che suo malgrado strizza l’occhio alla «difesa della razza» di cui si fa nostalgica promotrice la destra salviniana. E laddove «Il Giornale» non esita a qualificare la propria posizione come coerentemente «alla Salvini», «MicroMega» la reclama più sottilmente come espressione di una «compiuta laicità».
Ora, laddove «laicità» evoca l’imperativo della difesa del «potere dei senza potere» (come si esprime lo stesso Flores richiamando Havel), questo che è di fatto un “laicismo” richiama viceversa i «senza potere» al potere senza «relativismo etico» dello Stato laico: impone cioè il suo «assolutismo del relativismo» rigettando come «eretico» (laicamente o ateocentricamente) chiunque non vi si assoggetti.
Da questo afflato «assolutistico» deriva perciò, oltre a un insopprimibile bisogno di affermare la «subordinazione» di ogni fede (islamica in primis) alle istanze della laicità, l’altettanto insopprimibile tentazione di sospingere la «subordinazione» entro le strettoie del «rifiuto», essendo, in coerenza con il termine «assolutismo del relativismo», ogni espressione culturale o religiosa estranea al verbo laicista passibile de facto di intrasigenza e – guarda caso con termine salviniano – di «respingimento».
Risultato? Dalla laicità «presa sul serio» – talmente sul serio da smentire le proprie originarie vocazioni – si arriva al «rifiuto del multiculturalismo» e a quell’espressione di dichiarata intransigenza culturale che una «seguace» di Flores, Cinzia Sciuto, pone a titolo del suo ultimo saggio: Non c’è fede che tenga (Feltrinelli), non a caso sottotitolato Manifesto laico contro il multiculturalismo. Un libro che altrettanto poco casualmente Alessandro Gnocchi ha incensato sul «Giornale» ribadendo che finalmente tra destra e sinistra estreme «un terreno d’incontro c’è», e stigmatizzando, con risaputo mantra giornalistico, come «il Partito Democratico non sia in grado di formulare una politica chiara sul tema dell’immigrazione».
Bingo. Il principio di accoglienza trova nel Giano bifronte MicroMega-Giornale il suo più compiaciuto avversario.E nella tarantella dei distinguo possono finalmente dispiegarsi in tutta la loro opacità grimaldelli terminologici come «buonismo» – applicato ai buoni – e «teorie economiche discutibili» – applicato a chi rinuncia alla placidità della «teoria economica indiscutibile» del respingimento – per una definitiva reificazione del fascismo intellettuale e la finale consacrazione di un «assolutismo del relativismo» che svela il proprio più autentico volto: quello della vocazione illiberale.
Certo, la legge, le regole, la civiltà, i princìpi di ordine e stabilità, il rispetto degli italiani, il primato della laicità. E se vogliamo mettiamoci pure il fallimento del «multiculturalismo». Ma la domanda più che mai assillante è ora: visto che a fronte della Grande Migrazione non c’è e non ci sarà «MicroMega» o «laicismo oltranzistico» che tengano, in questo desolante aut aut abbiamo dunque confinato la nostra capacità filosofica di costruire la convivenza e il «relativismo»? O con il razzismo di destra o con quello di sinistra? L’antirazzismo è dunque ormai solo «buonista», «irrealistico», «antistorico», «patetico», «contrario alla laicità»?
di Marco Alloni