Santo Ingrao? Ma fateci il piacere

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Perché quando muore qualche personaggio importante deve essere incoronato eretico?

Non siamo un paese di eretici: a quei pochi  nati per caso nel bel paese non ha certo arriso la fortuna, come insegna la vicenda di quel Giordano Bruno che  (Trilussa). Eppure ogni volta che muore un personaggio di spicco della politica e della cultura  è quasi doveroso porgli sul capo la corona d’alloro dell’eresia. Persino di Pietro Ingrao, un misto ciociaro di  Andrey Zhdanhov e di Roberto Bellarmino, si è celebrato lo spirito eretico, anche se, direttore dell’Unità, il 27 ottobre 1956 aveva difeso i carri armati sovietici nell’editoriale Il coraggio di prendere posizione. Non sarà che il pregiudizio positivo nasconde un senso di colpa? In  realtà, se la libertà di pensiero va difesa sempre e comunque, non si vede perché dovrebbe comportare l’obbligo di apprezzamento morale e di stima intellettuale riservati allo , a prescindere da quel che nega. Erano eretici gli enragés che accusavano Robespierre di non tagliare abbastanza teste, i fascisti alla Farinacci che trovavano troppo blando il confino per gli oppositori, i comunisti che accusavano Stalin di aver chiuso il rubinetto delle misure rivoluzionarie, i redattori del ‘Manifesto’ che al modello sovietico contrapponevano quello cinese in cui violenza e repressione venivano erogate a getto continuo. Davvero dovremmo ammirare quanti paventavano in Giorgio Amendola un traghettatore del PCI sulla sponda socialdemocratica? Anche Pino Rauti era un eretico nel MSI che, a suo avviso stava diventando un partito liberalconservatore: siamo per questo tenuti a onorare, commossi, la memoria del nostalgico di Salò e dell’Asse Roma-Berlino? Forse non è un caso che la retorica dell’eresia sia un costume della mente tutto italiano e che non trovi riscontri in altre culture politiche occidentali. Nell’Europa civile la libertà d’espressione è un diritto assoluto—anche se nel caso dei negazionisti sembra venir meno—ma non tramuta ogni eretico in una figura esemplare, che , come scrive Paolo Franchi di Ingrao

Dino Cofrancesco

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Dino Cofrencesco
Dino Cofrancesco è uno dei più importanti intellettuali italiani nel campo della storia delle dottrine politiche e della filosofia. E' autore di innumerevoli saggi e tra i fondatori dei Comitati per le Libertà. Allergico all'ideologia dell'impegno, agli "intellettuali militanti", ai profeti e ai salvatori del mondo, ai mistici dell'antifascismo e dell'anticomunismo, ha sempre visto nel "lavoro intellettuale" una professione come un'altra, da esercitarsi con umiltà e, nella misura del possibile, "senza prendere partito". Per questo continua, oggi più che mai, a ritenere Raymond Aron, Isaiah Berlin e Max Weber gli autori più formativi del '900; per questo, al tempo dell'Intervista sul fascismo di Renzo De Felice, si schierò, senza esitazione, dalla parte della storiografia revisionista, senza timore di venir accusato di filofascismo.

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