Quali speranze per l’Italia di oggi?
“Penso che i comunisti abbiano imboccato la strada di un suicidio ineluttabile”. Lo scrisse Leonardo Sciascia, che nel 1978 a Nico Perrone dichiarò: “Non sono mai stato comunista, però ho pensato e agito secondo comunismo” e con amara preveggenza aggiunse: “Ora non c’è che la sinistra per fare una buona politica di destra”. All’epoca il Partito comunista italiano (PCI) implorava il “compromesso storico”. Nell’“affare Moro” si schierò “dalla parte della morte”. Adesso, trentacinque anni dopo la lucida profezia di Sciascia, il politologo Ernesto Galli della Loggia descrive un Partito Democratico scalato dal malaffare, mentre secondo il saggista Massimo Franco il PD romano è “marcio” e sin dalle primarie del 2013 Marianna Madia, oggi ministro, denunciò le “piccole associazioni a delinquere sul territorio” che avevano in pugno il partito. “A questo punto”, sentenzia della Loggia, “non servono le parole e neppure l’accetta. Serve il lanciafiamme”: che un po’ ricorda il “fuoco purificatore “ invocato da Gabriele d’Annunzio. Sappiamo come finì nel 1915-1925. Con radici affondate nel conformismo, nell’opportunismo e nella menzogna sistematica, l’albero del totalitarismo rosso, come fece quello nero, dà nel tempo i suoi frutti velenosi.
Sciascia previde il collasso civile dell’Italia: un destino millenario, probabilmente irrimediabile. Chi ha in mano il mazzo del potere, fa il solito gioco delle tre carte. Regola numero uno? Intossicare la comunicazione, usando anziché l’italiano il gergo straniero: oggi anglicizzante, come un tempo fu francofono “à merci” e germanofono durante l’occupazione, quando l’obiettivo primario dei più non fu riscattare l’indipendenza ma il compromesso, scamparla anche a costo di vendersi.
Oggi il Potere – che non è più “nazionale”, cioè controllato dai cittadini e dal Parlamento, bensì soprannazionale – straripa: entra nel foro domestico, nell’intimità delle comunicazioni personali col pretesto di tutelarci. “All’ombra dei palmizi/san far mille esercizi”, scriveva il supposto poeta della Scuola Siciliana. Oggi a “far mille esercizi” sono i retori dell’imbonimento. Da una parte criminalizzano la ricerca libera, bollandola come “negazionismo”; dall’altra pretendono l’oblio, se e quando il ricordo può dare fastidio. La prevaricazione del potere sui cittadini fu possibile prima dell’avvento di internet. Ora è inaccettabile. La rivendicazione del “diritto all’oblio” viene accampata con argomenti e per faccende del tutto banali, ma il suo vero obiettivo è ben altro: imporre il silenzio su fatti e misfatti dei potenti di turno affinché nessuno ne veda e ne metta a nudo la pochezza.
Questo accade in un Paese miracolato nel 1860 con l’unità nazionale: un sogno finito nel 1945 con l’istituzione delle regioni a statuto speciale e poi polverizzato con la cessione all’Unione Europea (senza contropartite) della sovranità sui suoi conti economici: unica indipendenza residua per uno Stato che già aveva perduto l’autonomia in politica estera e quindi militare.
Aldo A. Mola