Se il Veneto sceglie l’autodeterminazione

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“Carlo Lottieri in un articolo per Albatros sostiene che l’autodeterminazione del Veneto può essere un mezzo per salvare l’Italia”.

albatros-smallEsiste ancora la possibilità di “salvare l’Italia”? È ancora in grado di rimettersi in sesto un Paese come il nostro, che ha ormai più cittadini che lo abbandonano (emigrando) di quanti siano gli stranieri che lo scelgono (immigrando), con un debito pubblico che ha sfondato la soglia dei duemila miliardi di euro, che ha una burocrazia pletorica e del tutto inefficiente, oltre a una tassazione che impedisce alle imprese di sopravvivere?

Da qualche tempo cresce il numero di quanti a tali domande rispondono negativamente. E c’è chi pensa che il fallimento di ogni riforma federale debba convincere a imboccare la strada della secessione: anche per offrire un futuro a quei bambini che oggi, appena nati, si trova ad avere sulle proprie spalle un debito (tra Stato, previdenza ed enti locali) che si colloca intorno ai 100 mila euro.
Quando è stata unificata l’Italia, un secolo e mezzo fa, lo Stato si occupava di poco: e non poteva fare troppi danni. Allora il bilancio pubblico era assai più modesto e di conseguenza la tassazione pesava molto meno. È vero che già allora – basti pensare alla tassa sul macinato o anche, un po’ dopo, alle norme protezionistiche – non mancarono scelte che causarono molti danni alla società italiana: in particolare, la chiusura del mercato industriale – voluta da alcuni grandi imprenditori del Nord – danneggiò gravemente l’economia meridionale e obbligò molti poveri contadini del Sud a lasciare la propria terra e tentare la fortuna all’estero. E poi, certo, fu l’Italia unita e il nazionalismo di cui essa era impregnata a trascinare tanti giovani in quell’inutile strage che fu la Grande Guerra.
Il collasso che abbiamo dinanzi, però, è qualcosa di assolutamente nuovo, dato che è con l’imporsi del welfare State che le storiche diseguaglianze tra Nord e Sud finiscono per generare una redistribuzione che danneggia l’economia settentrionale con un assurdo taglieggio e quella meridionale con una spesa pubblica volto solo a finanziare l’assistenzialismo, il lavoro improduttivo e le mafie.
In questo quadro non ci si deve stupire se, per salvare gli italiani, qualcuno pensa che sia ormai necessario fare a meno dell’Italia. E infatti lo scorso 28 novembre – nell’indifferenza quasi generale dei media nazionali – il Consiglio regionale del Veneto ha approvato quella Risoluzione 44 che delinea un processo volto a individuare un percorso verso l’autodeterminazione. Il governatore Zaia e il presidente Ruffato hanno avuto l’incarico di agire, presso l’Unione europea e l’Onu, affinché in Veneto si possa presto chiedere alla popolazione se vuole restare in Italia oppure no.
Finché l’economia reggeva, i veneti hanno accettato tutto senza troppo reagire. Ma ora che gli operai perdono il posto, gli artigiani si suicidano e le aziende si trasferiscono in Carinzia, non ci si può sorprendere se cresce l’irritazione di fronte a quei 20 miliardi di euro circa che misurano la differenza tra quanto i veneti versano allo Stato e il costo dei servizi che essi ricevono. Ma il legittimo “egoismo” di quanti non vogliono più pagare per il Sud e per le regioni a statuto speciale è solo una parte della faccenda, perché è sempre più chiaro che solo con una pluralità di stati indipendenti e obbligati a competere si può sfoltire la funzione pubblica, privatizzare e liberalizzare interi settori, abbassare il prelievo tributario a livelli molto inferiori, e via dicendo.
D’altra parte, la penisola italiana è stata il cuore della civiltà occidentale quando è stata divisa: al tempo di Genova, Firenze, Mantova, Ferrara, Milano, Siena e, naturalmente, Venezia. E non è un caso se proprio nei territori della Serenissima vi è oggi una mobilitazione crescente (soprattutto per iniziativa di gruppi politici che si chiamano Indipendenza Veneta e Veneto Stato) a favore di un referendum che permetta a quest’area di autodeterminarsi.
Per giunta, lo scenario europeo è molto propizio. Mentre in Italia crescono le spinte centrifughe e le difficoltà di una Lega orfana di Bossi aprono spazi alle nuove realtà politiche, il contesto europeo più generale vede Scozia e Catalogna dirigersi verso un 2014 che potrebbe vedere, in entrambi i Paesi, un voto sull’indipendenza. L’esito più probabile è che la Catalogna conquisti l’indipendenza e la Scozia no, ma certamente i due passaggi elettorali radicheranno nel diritto pubblico europeo questo diritto all’autodeterminazione che da decenni è stato formalmente accolto da tantissimi Paesi (Italia compresa), ma che trovato applicazione solo in rare occasioni.
Non è possibile dire se tra dieci anni avremo una rinascita della Repubblica di Venezia e quali conseguenze questo potrà avere sull’Italia nel suo insieme. Ma è fuori discussione che adesso la questione è parte integrante del dibattito politico, così che di autodeterminazione e indipendenza si parlerà sempre più. I miti nazionalisti e statolatrici appartengono al passato e, ormai, gli unici che esibiscono di continuo il tricolore sono quanti hanno le proprie radici nel partito comunista di Togliatti.
Il mondo, però, va in un’altra direzione e cresce la convinzione che l’unica maniera per salvare gli italiani consista nel lasciare al suo destino l’Italia: un’opinione, questa, che in talune aree pare avere il vento in poppa.

Calo Lottieri

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6 Commenti

  1. Giusto, però prima bisognerebbe restituire al Sud tutto il maltolto. A cominciare dai fondi Fas destinati al meridione ma poi dirottati verso il Nord.

      • Caro Cesare, dal 1861 a oggi le varie classi politiche che si sono succedute hanno puntato a uno sviluppo industriale e infrastrutturale solo del nord e a un assistenzialismo improduttivo al sud. Questa è storia, non è un’opinione.
        Se si vuole bene a questo Paese ci si dovrebbe battere per un sano e vero federalismo. Il rifiuto dell’unità nazionale, la secessione e roba del genere lasciamola alla demagogia!

  2. A me pare demagogico dire che al Meridione non vengano distribuite risorse, quando in numeri di quanto viene indirizzato nelle regioni meridionali è sproporzionatamente più alto di quanto indirizzato in quelle settentrionali oltre a tutti gli evidenti sprechi di tutti gli enti locali, ASL, Comuni, Province ecc.
    Ma al di là di ciò, inutile far polemiche, si cerca la soluzione. Nei primi anni ’90 la Lega parlava di federalismo e la TV pubblica e tutti i meridionali, ma anche quei settentrionali dei partiti grossi, facevano finta di confondere federalismo con secessione. Il tipico meridionale pure sembrava non capire la differenza fra le 2 cose, invasato dalle stupidaggini della propaganda antileghista e sinceramente in Sicilia, in Basilicata, ecc., non capivo come non potessero capirla. Poi nel 1997 Bossi parlò di secessione e allora tutti gli altri cominciarono a parlare di federalismo. Dopo un po’ di anni Bossi disse che se non avesse in quel momento detto “secessione” nessuno avrebbe accettato la possibilità del federalismo. Peraltro fu fatta una riforma costituzionale in senso federalista, seguita dal referendum, ma un’altra volta gli italiani si lasciarono fregare dalla propaganda dei grossi partiti, tutti unitaristi (pure il PDL, a parole era alleato di governo della Lega, nei fatti nel referendum non ha pubblicizzato la riforma appena approvato, anzi). Quindi se non ce l’abbiamo è colpa degli italiani.
    Sembra ridicolo ora leggere di un meridionale che dice che “ci vorrebbe un bel federalismo”. Proprio i meridionali vent’anni fa avrebbero dovuto spingere per una riforma federale, anzi di più, una secessione, una federazione di stati. Il sud ha perso l’opportunità di essere il paese adatto per gli investitori europei (che invece han dirottato tutto in Romania). Gli USA non sono uno stato federale, bensì una federazione di stati; eppure quando si parla di federalismo o di secessione sembra che i meridionali non vogliano accettare il vantaggio dei “costi comparati”, la cosa che rendeva produttivo il Sud prima dell’unificazione, e preferiscano i sussidi di Stato alle loro regioni (la cui classe dirigente li sperpera). Dovrebbe essere il Sud a promuovere la secessione, nel suo stesso interesse.

  3. Risultato dello stato unitario? Ad esempio la recente risoluzione europea che le arance non si compreranno più in Sicilia, ma l’Europa si è obbligata a comprarle in Marocco… Come non vi potete render conto che la scelta italiana in Europa di essere un paese industriale danneggia voi in quanto l’Europa decide di comprare in altri paesi? Boh…

  4. Mah, gli scandali delle Asl, Comuni e Provincie hanno sempre riguardato tutta l’Italia e la storia di questi giorni parla di scandali in enti locali del Nord se non erro.
    La Lega nel ’92 diceva tante cose di cui sinceramente non andrei tanto fiero: vedi il razzismo nei confronti degli immigrati, nei confronti dei meridionali (che non si dimentichi hanno contribuito in modo decisivo alla ricchezza del nord). In più, sempre in quegli anni, i leghisti sventolavano il cappio in Parlamento, per poi dimostrare dopo 20 anni che non sono tanto diversi dai cd. grandi partiti.
    Caro Pinco, di federalismo al sud c’è chi ne parlava prima che io e lei nascessimo. Gaetano Salvemini tanto per fare un nome.
    Poi sarà un fatto culturale ma io mi sento italiano. Quindi dico sì al federalismo e sorrido quando mi si parla di secessione.

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