“L’economia è superiore alla psicologia”
Claudio Resta
“L’ex presidente della Riserva Federale Americana, Alan Grenspan, è stato accusato, nei suoi diciotto anni di gestione, di aver deregolarizzato il mercato, puntando tutto sul fatto che “i banchieri, curando i propri interessi, avrebbero offerto la migliore protezione”. Ma a chi obbediscono dunque i banchieri, se non ai loro interessi? Sigmund Freud (1865-1939) aveva una risposta a questo problema: la “pulsione di morte”, come scrisse in Al di là del principio di piacere (1920). L’economista John Maynard Keynes (1883-1946) avrebbe invece risposto così a questa domanda: “a causa di un amore irrazionale per il denaro…”
“Capitalismo e pulsione di morte. Freud e Keynes a confronto”
Giuliana Proietti Ancona
Il 1 maggio 1886 Chicago era teatro di scioperi: si reclamava il diritto a riposarsi, anziché lavorare senza rendersi conto che era già cominciato il tramonto dell’Occidente; più diritti, meno doveri.
Ottanta anni dopo sarebbe stato dato alle stampe l’instant book La tirannia dello status quo a firma dei coniugi Friedman, che ad avviso di chi scrive non entra in contraddizione tout court con la Teoria Generale dell’Occupazione ma la ridefinisce: l’importante è non cedere sul “concetto di equilibrio”.
In occasione della ricorrenza della festa del Primo Maggio, lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati già autore del masterpiece “Van Gogh. Tra melanconia e creazione” ha sviluppato una riflessione dal titolo “Primo Maggio, i medici e il valore umano di cui avere cura”, che a mio avviso è culturalmente sbagliata.
Prima di tutto farei un inciso: il 1 maggio 1947 si verificava la strage di Portella della Ginestra, che è causalmente collegata alla rinnovata celebrazione di questa festività rovesciata nel sangue.
Orbene, se si assume il principio della riflessività intrinseca ai fenomeni umani occorre rivedere freddamente l’evento, come un “incidente” più positivo che negativo (sic!), ancorchè rendendosi conto che è terribile fare un’affermazione del genere: il bilancio della strage terroristico-mafiosa fu di 11 morti e 27 feriti. Il prezzo della democrazia. Su Wikipedia è scritto con molta chiarezza:
“La strage di Portella della Ginestra fu un eccidio commesso il 1 maggio 1947 in località Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, da parte della banda criminale di Salvatore Giuliano che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori, provocando undici morti e numerosi feriti.
Le motivazioni della strage, che dette inizio in Italia alla crisi del maggio 1947 e che nei giorni successivi fu seguita da assalti a sedi dei partiti di sinistra e delle camere del lavoro della zona, risiedono, oltre che nella dichiarata avversione del bandito nei confronti dei comunisti, anche nella volontà dei poteri mafiosi e delle forze reazionarie di mantenere i vecchi equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo la seconda guerra mondiale.
Nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani, con l’aiuto di alcune frange statunitensi, interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per il Blocco del Popolo nelle elezioni del 1947…”
Il livello superiore del banditismo gangsteristico era rappresentato da Mario Scelba e James Jesus Angleton, poeta e spia – un degno predecessore di Howard Hunt –, con il concorso di Bernardo Mattarella, padre dell’attuale capo dello Stato.
Non è corretto dire che la strage di Portella della Ginestra abbia salvato l’Italia impedendone lo scivolamento verso Est nell’orbita dei satelliti del Patto di Varsavia, ma era compatibile con la stabilizzazione del fragile assetto repubblicano all’interno del Patto Atlantico. You can’t have the cake and eat it.
Così come la strage di Capaci non era il primum movens dell’elezione di Oscar Luigi Scalfaro, ma era compatibile con essa e ha spianato la strada alla trattativa Stato/Mafia.
Secondo quanto riferito da Gaspare Pisciotta al processo a Viterbo – ma in seguito avrebbe ritrattato la dichiarazione –, Mario Scelba avrebbe scritto una lettera drammatica a Salvatore Giuliano: “Caro Giuliano, noi siamo sull’orlo della disfatta del comunismo. Col vostro e col nostro aiuto noi possiamo distruggere il comunismo. Qualora la vittoria sarà nostra voi avrete l’impunità su tutto.”
L’eccidio di Portella della Ginestra era compatibile con la prevenzione della disfatta possibile del comunismo, che sarebbe stata una tragedia per l’Italia; se non è diventata una repubblica sovietica fondata sulla schiavitù è un fatto positivo, o no? Il terrorismo – oltretutto – non ha impedito le successive conquiste civili e sociali nel processo di democratizzazione culminate nello Statuto dei lavoratori, ma non nell’esercizio del deficit spending: vera fissazione per chi scrive.
Pisciotta morì avvelenato in carcere con un caffè corretto alla stricnina, perché Scelba, maestro di realpolitik, lo tradirà: ma il doppio giuoco non è una scelta, rientra nell’eteronomia del comportamento; non è forse vero che Piersanti Mattarella e Salvo Lima facevano il doppio giuoco poiché stavano dalla parte della legalità?
Scusatemi queste riflessioni in libertà, ma con il massimo della serietà possibile e forse anche un pizzico di sofferenza. Sono sicuro che il docente Giuseppe Carlo Marino non respingerebbe in toto i presenti rilievi.
Orbene, scrive Recalcati su “La Repubblica” il 1 maggio 2023, portando il freudismo psicanalitico al “punto di equilibrio” in un’analisi che però ha la pretesa di essere economica, e qui c’è tutto il velleitarismo di uno psicanalista che fonda la psicologia come “primum movens” alle scelte politiche prese, quando l’interpretazione freudiana non tiene conto della riflessività ed è insufficiente alla comprensione della realtà; ma non solo: Recalcati, ormai totalmente calato nel personaggio della “super star” della “psicobanalisi” in linea con il populismo piccolo-borghese della “démocratie des applaudissements”, ha violato il consiglio fondamentale di Robert Skidelsky: non scrivere troppo; egli scrive un libro al mese (sic!), e io mi chiedo come sia possibile; l’incipit della requisitoria recalcatiana parte da premesse condivisibili per giungere a conclusioni sbagliate:
“La giornata del Primo Maggio celebra non solo il diritto ma anche il valore umano del lavoro.
Da questo punto di vista tutti i lavori dovrebbero avere pari dignità. Ma sappiamo che esistono lavori che hanno un impatto sulla nostra vita individuale e collettiva più significativo di altri.
Tra questi è necessario ricordare il lavoro dei medici. Non solo perché la recente esperienza della pandemia lo ha visto protagonista di una lotta senza esclusione di colpi, ma perché il lavoro del medico, più di altri, ha come meta la cura della vita.
Il recente fatto di cronaca della psichiatra uccisa crudelmente da un ex paziente non è solo un episodio che suscita sdegno, ma dovrebbe farci riflettere sulla responsabilità enorme che i medici affrontano occupandosi della nostra cura”.
Aggiungeva Recalcati: “Il nostro Paese trascura invece senza vergogna questa responsabilità. Si tratta di un vero e proprio svilimento che si manifesta innanzitutto in una retribuzione inadeguata al punto da risultare offensiva. Gli stipendi dei nostri medici sono anche tre volte inferiori di molti loro colleghi che in altri Paesi europei svolgono le stesse mansioni.
Ma i loro magri stipendi non solo non compensano undici anni di studi, ma non tengono conto, appunto, dell’estrema responsabilità che accompagna ogni decisione e ogni atto di cura al quale il medico è chiamato quotidianamente nell’esercizio della sua professione.
Non è però solo un problema economico, quanto culturale. La progressiva burocratizzazione del lavoro medico e il rischio di denuncia o di aggressione fisica dei pazienti, uniti a turni di lavoro spesso massacranti, aggravano ulteriormente questa condizione di svalutazione generalizzata della professione medica di cui anche l’insano blocco delle iscrizioni a Medicina è una espressione paradossale. Ma non è rimasto proprio nulla del terribile magistero del Covid? Il valore insostituibile di tutto il personale sanitario… è già stato dimenticato come accade per un incubo alla fine della notte?… Lasciare cadere nell’incuria l’intero sistema sanitario nazionale, trascurare tutti i lavoratori impegnati nelle professioni di assistenza al malato, rivela quanto la logica del profitto governi da capo a piedi le nostre vite alimentando un fantasma di potenza che respinge ai margini della comunità la malattia e coloro che se ne occupano. Non è allora questa rimozione fondamentale – la rimozione della nostra natura vulnerabile – ad accompagnare e forse ad ispirare le politiche miopi che non riconoscono la priorità che dovrebbe avere la sanità pubblica? Non è lo stesso che accade per il nostro pianeta o per le nostre scuole?
La spesa che non appare direttamente connessa al potenziamento del profitto e della produzione viene considerata come secondaria. Sanità, ambiente e scuola sono dunque le prime vittime designate dalla politica assoggettata dalla volontà di potenza?…”.
Questo è un errore di prospettiva.
Non si può parlare di spesa in disavanzo, se essa non è direttamente connessa al potenziamento del profitto: altrimenti non è spesa; non è la rimozione della nostra natura vulnerabile ad ispirare politiche miopi, ma è l’estraneità idiosincrasica alla logica del profitto (sic!) da parte dei politici e in ultima istanza del Governo Meloni. Cioè, l’esatto contrario! Il business e il Welfare State non sono due entità separate, se non nella mentalità deteriore del collettivismo che nega il Merito; ma sono due facce della stessa medaglia. Se uno psicanalista nega il merito, lo farà anche con i suoi pazienti in sede di lettino: le credenze sbagliate hanno conseguenze.
Sul tema è intervenuto “Affari e Finanza” con un’importante intervista di Luca Piana a Massimo Monacelli, general manager di Generali Italia. Nota Luca Piana: “Investire sul benessere dei collaboratori significa investire sull’azienda, c’è una correlazione diretta con la produttività.”, dice Massimo Monacelli… “I più giovani oggi chiedono servizi, smart working, flessibilità”.
“Siamo di fronte a una grande trasformazione. Nelle ricerche di mercato più dell’80% delle persone indica la salute come la principale preoccupazione. Dalla pandemia viene percepita come essenziale, più di quanto avvenisse prima. Questo fenomeno si accompagna ad altri due fattori. Il primo passo è la crescente volontà di preservare la salute con stili di vita e controlli che ci consentano di vivere bene il più a lungo possibile. Il secondo è l’invecchiamento della popolazione, con l’emergere delle malattie neuro-degenerative che rende necessario un sistema di assistenza a lungo termine, con una pressione senza precedenti sul sistema sanitario pubblico. Ecco perché un gruppo assicurativo come Generali è stato portato a fare scelte innovative, integrando ai prodotti servizi di prevenzione e assistenza”.
“Quando è stato introdotto, nel 2016, il welfare aziendale si concentrava su buoni spesa e fringe benefits. Ora c’è un’evoluzione?”
“Il nostro osservatorio che elabora il Welfare Index ci dice che il sistema ha vissuto un processo di grande maturazione. Da un’applicazione sporadica si è arrivati a una diffusione ampia anche fra le piccole e medie imprese, capaci ormai di intermediare i bisogni di salute delle persone. C’è una correlazione diretta con la produttività. Gli imprenditori lo hanno capito bene: investire sul benessere dell’azienda. Tra le imprese mi colpisce la volontà di alzare continuamente l’asticella del welfare messo a disposizione dei dipendenti e la comprensione del valore generato da questo sforzo”.
“In Italia le retribuzioni crescono poco e il welfare gode di un vantaggio fiscale. Le persone non sarebbero contente di avere salari più alti e libertà di spendere?”
“Non ho mai visto le due cose in competizione tra di loro. Il welfare è un metodo estremamente efficace per ingaggiare le persone e legarle alla vita dell’azienda, che prescinde dall’aspetto puramente economico. Per le generazioni più giovani assume un valore distintivo: quando facciamo i colloqui, prima di chiederci informazioni sui percorsi di carriera, ci chiedono che cosa garantiamo in termini di servizi, smart working, flessibilità, welfare, bilanciamento tra lavoro e tempo libero. Non vedo contrapposizione con gli aumenti retributivi: i due sistemi si arricchiscono l’un l’altro”…”
Stefania Radoccia, Managing partner Ey Tax e Legal nella sua timida avvenenza osserva: “Il welfare aziendale può dare un contributo fondamentale ai diversi progetti, a partire da quelli del Pnrr, nella sanità, nell’assistenza, nell’istruzione e nelle politiche per il lavoro”.
Il Pnrr, come nota Piana, non è sufficiente ma è lo strumento per affermare l’orizzonte inedito del business nel Belpaese: avere finalmente un’economia di mercato. E se si ha un’economia di mercato, si ha l’ascensore sociale. E’ il mercato, non la psicanalisi che salverà l’Italia.
Ma, forse, sarebbe il caso di concludere con una frase di Alberto Ronchey che è rimasta nella memoria di chi scrive: “Esaurito il mito dell’ideologia marxista, deve finire quello della psicanalisi”.
“Le parole hanno un senso”, come dice qualcuno. C’è una frase freudiana di Recalcati che costituisce il focus criminogeno delle sue pubblicazioni decennali: “… L’idolatria ipermoderna dell’Io si ribalta così nel suo contrario…”. Anni fa, sulle colonne de “l’Espresso” nella sua rubrica “Il vetro soffiato” Eugenio Scalfari, osservava che è un errore tendere all’indebolimento dell’Io: concetto ribadito nel libro edito da Einaudi “Scuote l’anima mia eros”. Rovesciando un falso assunto illuminista, non è l’Io a presiedere l’azione che colma l’insensatezza del reale, ma è l’azione che definisce l’Io: non c’è ragione, c’è la realtà, di cui una sezione è la Mano Invisibile. Gli psicanalisti non lo capiranno mai… Perché Leonardo da Vinci ha fatto la Gioconda? Perché William Shakespeare ha scritto l’Amleto? Essi hanno una risposta scabrosa: l’inconscio; lo stesso Recalcati ha parlato dell’“inconscio come taglio in atto che resiste alla significazione” come del momento fondante dell’opera. Dunque l’inconscio preesisterebbe al testo d’arte, non il mistero.
Consentitemi di autocitarmi, per quanto non bello: è un errore in senso tecnico vedere la proiezione come la realtà; la proiezione è parte della realtà.
Ma lei non lo accetta, caro Recalcati poiché porta la proiezione al “punto di equilibrio”.
di Alexander Bush